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Il tempo della rinascita e le prigioni invisibili di cui liberarsi

di Don Michele Tartaglia

 

Liberatelo e lasciatelo andare (Gv 11,1-45).

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Allora Gesù, commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Due passi mi colpiscono di questo racconto: il primo è l’affermazione di Gesù riguardo al male che ha colpito Lazzaro: questa malattia non porterà alla morte ma è per la gloria di Dio. E’ duro in questi giorni di contagio e di blocco totale di tante attività umane in tutto il mondo ascoltare parole di questo tipo; il credere cioè che dietro una dramma di questo tipo ci possa essere anche un insegnamento, un’occasione per riflettere su come rimettere in ordine le nostre vite personali e sociali, il ridare il giusto posto a Dio, per chi crede, e ai valori veramente importanti per chi non crede.

Per entrambe le categorie questa è un’occasione per riflettere e comprendere chi veramente siamo: esseri fragili e mortali, non divinità immortali, anche se possediamo tanti beni. La morte è il limite estremo della nostra esistenza e può accadere anche con una certa facilità.

Tuttavia è un’occasione proprio per pensare, ed è l’altra verità del nostro essere. Per dirla con Pascal: di fronte al cosmo noi siamo come una canna sbattuta dal vento, ma una canna che pensa.

E qui veniamo all’altra parola di speranza: questo tempo per quanto duro e difficile finirà e ci sarà il tempo della rinascita: Lazzaro, vieni fuori! E’ il grido che vogliamo sentire al più presto per tornare ad assaporare la nostra liberà di movimento e di incontro. Però questa rinascita dovrà essere anche un’esperienza di liberazione non dalla costrizione in cui viviamo, ma dalle tante prigioni invisibili in cui ci siamo chiusi nella nostra vita di prima e delle quali non ci rendevamo neppure conto: dipendenze, pregiudizi, risentimenti, egoismi.

E’ questa la parola più grande che desidero che tutti noi possiamo sentire: l’invito a liberarci dalla bende che molto prima del virus ci hanno impedito di vivere veramente. Liberateli e lasciateli andare, anzi correre liberamente, pronti a riprendere in mano la propria vita da condividere con gli altri perché oggi sentiamo sulla nostra pelle che vivere senza gli altri significa non vivere pienamente. Non a caso lo stesso Gesù, appena
risorto, ha voluto andare incontro ai suoi discepoli, nonostante le loro imperfezioni.

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