Termoli

In memoria dello Zuccherificio del Molise: la mia verità

Giacomo Mario Di Blasio, già Direttore Tecnico di Zuccherificio del Molise SpA e Nuovo Zuccherificio del Molise Srl, ripercorre la storia dell'azienda che era una fondamentale fonte di reddito e una realtà indispensabile all'economia del territorio fino alla morte (annunciata e forse perseguita) della fabbrica. Una riflessione dall'interno, che ha il valore di una testimonianza diretta.

La recente inaugurazione dell’impianto a biometano di Guglionesi mi ha spinto a ripercorrere la vicenda Zuccherificio de Molise, dalla sua nascita fino al suo tracollo, per riflettere e ricercare i motivi veri che hanno portato al fallimento societario.

Lo Zuccherificio del Molise ha rappresentato fin dal suo insediamento – era il 1969 periodo storicamente lontano, diverso e distante – una realtà socio-economica peculiare per la regione Molise. Poche famiglie del Basso Molise possono dire di non avere avuto a che fare con lo stabilimento termolese, direttamente o indirettamente. Dipendenti, agricoltori, trasportatori, ditte esterne, professionisti; chi più chi meno ha beneficiato del reddito esso prodotto.

 

La famiglia Tesi, che ha gestito l’attività lavorativa ininterrottamente fino alla fine del primo decennio del 2000, ha caratterizzato la sua azione con contraddizioni ma certamente ha saputo tenere in equilibrio un sistema complesso di relazioni con i vari settori della filiera riuscendo a coniugare necessità industriali e rapporti politici.

Come noto la Regione Molise è stata socio di maggioranza della Società e ha condizionato spesso le assunzioni del personale per ricavarne prioritariamente consenso elettorale non consentendo però una selezione basata su competenza e capacità. I Tesi si sono inseriti in questo gioco di relazioni e nel complesso hanno saputo ottenere sempre redditività dall’attività lavorativa. Certamente non hanno avuto tra i propri obbiettivi prioritari la qualificazione del personale ma hanno provveduto progressivamente all’ampliamento e all’ottimizzazione degli impianti di fabbrica riuscendo ad ottenere margine operativo dalla complessiva attività di trasformazione della barbabietola in un contesto diverso ma più favorevole di mercato. La Regione da parte sua, in veste di socio, ha contribuito in maniera continua ai finanziamenti riversando nella Società importanti risorse pubbliche. È stato un sistema discutibile ma certamente ha tenuto in vita una attività lavorativa indispensabile per il nostro territorio.

 

L’anno 2006 è stato il punto di discrimine. La riforma dell’OCM zucchero, scaturita dalla globalizzazione dei mercati, ha comportato tra l’altro la perdita della garanzia del prezzo minimo dello zucchero. Questa riforma riduce ulteriormente il cosiddetto “contingente” all’Italia, vale a dire la produzione zucchero nazionale, a 500.00 ton/anno a fronte di un consumo interno all’epoca pari a circa 1.500.000 ton/anno. Un assurdo. Un’economia nazionale strategica e consolidata sarebbe stata smantellata smentendo alla prova dei fatti gli obiettivi della globalizzazione che si prefiggeva, tra l’altro, la ridistribuzione della ricchezza nei paesi del sud del mondo. Di fatto si sarebbe rivelata una manovra volta ad arricchire la sola commercializzazione senza neppure arrecar vantaggio concreto al consumatore finale. Inoltre alcune operazioni di dumping messe in atto nella nostra nazione da società saccarifere estere forti ha fatto crollare in maniera definitiva il suo prezzo di vendita industriale. Sono stati immessi nel mercato italiano quantitativi di zucchero a prezzo decisamente basso artefacendo la concorrenza leale di mercato. Parecchi zuccherifici italiani non ce l’hanno fatto, hanno valutato che non c’era più le condizioni preferendo chiudere ed incassare la quota di ristrutturazione prevista dalla riforma.

Perciò ora era necessario attrezzarsi con interventi strutturali che consentissero di aumentare la redditività e a compensare la contrazione del prezzo di vendita industriale dello zucchero.

L’AD dello Zuccherificio del Molise SpA, l’ing. Luigi Tesi, aveva pensato di contenere gli effetti negativi della riforma ipotizzando l’aumento dei livelli produttivi che, insieme ad un miglioramento impiantistico dello stabilimento, avrebbe consentito di abbattere i costi base, ridurre i costi di produzione e rendere ancora remunerativa l’attività lavorativa. Ostinatamente aveva richiesto al governo italiano l’assegnazione di una quota di zucchero maggiore ma vanamente. Gli sono stato vicino in questo percorso pur convinto che non bastasse.

Occorreva una nuova visione aziendale che richiedeva ben altre competenze gestionali, più innovative e più adeguate ai tempi. Il nuovo scenario socio-economico del settore imponeva la modifica dei modelli organizzativi del lavoro e la definizione di nuove e più performanti gestioni dei processi produttivi per poter competere in termini di costi e redditività.

Allo stesso tempo era necessario un approccio mentale al lavoro disancorata da statiche e retrogradi posizioni sia per gli imprenditori sia per i lavoratori. Se i primi debbono dimostrare capacità di scelte competitive, i lavoratori debbono caratterizzarsi come fattore della produzione attivo e sempre impegnato nell’ottimizzazione del rendimento aziendale, contrariamente a quanto spesso le maestranze nostrane avevano dimostrato.

zuccherificio archivio Di Blasio

Nel 2009 i Tesi lasciano la gestione dello Zuccherificio vendendo la propria quota ai Perna attraverso una procedura che ha avuto anche dei riflessi giuridici. Viene designato un nuovo CdA e viene nominato AD il dott. Claudio Di Florio, giovane moderno e dinamico che, analizzato lo stato di crisi della Fabbrica, riscrive il Piano di rilancio Industriale modificandolo sostanzialmente, uno strumento a mio parere complesso ma di ampie prospettive che avrebbe potuto rappresentare la svolta. Crea l’unità di staff dell’AD in cui mi inserisce attribuendomi specifiche funzioni fiduciarie, con ruolo di interfaccia tra l’AD e la struttura tecnica dello Stabilimento, nonché la responsabilità della realizzazione dei nuovi impianti.

Per parte mia condivido da subito le nuove strategie gestionali. Ancora oggi è mia convinzione che il nuovo AD aveva capito che bisognava implementare l’attività classica saccarifera con nuova produttività. La conservazione della tradizionale lavorazione della barbabietola da zucchero richiedeva necessariamente un efficientamento tecnologico per l’innalzamento dei livelli produttivi e il contenimento dei costi, ma da sola non bastava.

Per creare valore aggiunto era indispensabile la differenziazione e la diversificazione della produzione attraverso lo sviluppo di nuove linee dirette ai mercati alimentari e green oltre che alla produzione di bioenergie, senza trascurare le esigenze ambientali.

Perché non sfruttare le ampie superfici dei tetti dei magazzini, gli spazi dei parcheggi e le superfici delle vasche di lagunaggio per la realizzazione di un impianto fotovoltaico?

Il Piano Industriale prevedeva la realizzazione di impianto di questo tipo che, uno studio appositamente commissionato, garantiva per una potenzialità pari a ca 4,5 MW.

L’automazione del conferimento e dello scarico delle barbabietole e tutta la linea del confezionamento zucchero avrebbero portato a significative economie gestionali.

La dismissione dell’impianto Quentin, un “impianto a rischio” che richiedeva una costosa e complicata gestione necessaria per eliminare i cattivi odori delle acque reflue ricche di cloruri, ha rappresentato un primo importante intervento di contenimento dell’impatto ambientale.

Ma la vera peculiare novità del Piano Industriale consisteva nella valorizzazione dei sottoprodotti. Questi, in alternativa alla vendita a prezzi di mercato sempre più ristretti, potevano essere utilizzati come materia prima per la produzione di bioenergie realizzando valore aggiunto alla produzione complessiva. Era prevista per questo la realizzazione di diversi impianti a biogas ciascuno da 1 MW – 3 interni al perimetro di fabbrica, altri dislocati nel bacino bieticolo – che avrebbero utilizzato come materia prima una matrice composita di polpe fresche e melasso, entrambi sottoprodotti della lavorazione saccarifera.

Sperimentazioni su campioni di questa matrice indicavano una buona capacità “metanigena”, vale a dire attitudine a produrre un biogas simile al metano attraverso un processo di digestione anaerobica, quindi senza alcun processo combustivo con produzione di CO2 o polveri.

Il biogas prodotto sarebbe stato utilizzato per generare energia elettrica da immettere nella rete nazionale realizzando reddito durante l’intero l’anno consentendo di estendere l’attività produttiva dei 3/4 mesi/anno abituale del settore saccarifero. Un impianto di questo tipo era stato realizzato a S. Quirico, in provincia di Parma, dalla Eridania Sadam (gruppo Maccaferri) e funzionava efficientemente.

Inoltre l’impianto a biogas avrebbe consentito di ottenere reddito aggiuntivo e, prevedendo di eliminare il consumo di energia meccanica e di combustibile Btz, necessari per la pressatura e l’essicazione delle polpe fresche – operazioni non richieste dall’impianto a biogas – e l’emissione di CO2 prodotta dal processo di combustione, avrebbe contribuito al contenimento dell’impatto ambientale. Avrebbe consentito anche di spalmare i costi del trasporto delle barbabietole perché gli automezzi, che normalmente viaggiavano vuoti nel ritorno nei campi, in questo tragitto avrebbe trasportato la polpa da utilizzare negli altri impianti biogas dislocati opportunamente nel bacino bieticolo.

 

Non era da escludere poi una possibile sinergia con i comuni che attuavano la raccolta differenziata che avrebbero potuto “smaltire” la frazione organica negli impianti a biogas ricavandone reciproco profitto. Da qui lo stimolo suscitatomi dalla realizzazione dall’impianto di Guglionesi.

Per l’attuazione del P.I. era necessario evidentemente la disponibilità di importanti risorse. Pertanto fu richiesta una linea di credito ad alcune banche. Queste, avendo giudicato positivamente il piano di rilancio di Di Florio, assicurato i finanziamenti richiesti sollecitando però la Società per un aumento del capitale sociale. La Regione Molise, parte pubblica che aveva l’esigenza di dare seguito alla scelta politica di dismissione nella partecipazione in società private, si dichiara disponibile all’ulteriore finanziamento per la ricapitalizzazione mentre la parte privata ha perplessità a immettere ulteriori liquidità. Il sistema creditizio va in stand-by e con esso l’attuazione del Piano Industriale

L’Azienda rinnova gli organi gestionali procedendo alla nomina del dott. Francesco Perna nel ruolo di AD e la Fabbrica svolge la campagna saccarifera 2011 con la nuova gestione.

Risultati vani i tentativi di mediazione tra parte pubblica e parte privata sulla ricapitalizzazione, la Regione Molise acquisisce le quote dei Perna e designa come nuovo AD il dott. Alberto Alfieri, pare su indicazioni ministeriale.

Alfieri venne presentato dall’allora assessore regionale Vitagliano come esperto in soluzioni di crisi aziendale con la mission di dare attuazione alla exit-strategy della Regione con l’obiettivo finale della vendita dello Stabilimento.

zuccherificio archivio Di Blasio

Insieme ad un suo sodale alter ego, certo dott. Feligini, Alfieri entra in Azienda tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. In questo anno viene creata una nuova società Nuovo Zuccherificio del Molise srl a cui è trasferita una parte del personale dello Zuccherificio del Molise SpA e quello in esubero, creatosi dopo la creazione dei cosiddetti rami di azienda in cui viene suddivisa la SpA, viene licenziato. La NewCo prende in affitto gli impianti dalla vecchia società Zuccherificio del Molise SpA per continuare a produrre zucchero in attesa della vendita.

Con l’arrivo di Alfieri il mio percorso lavorativo si caratterizzerà per due momenti diversi e contraddittori. La fase iniziale è di piena, totale e reciproca collaborazione. Abbiamo incontri e/o contatti telefonici giornalieri, riunioni private e collegiali con gli altri tecnici di stabilimento, un proficuo scambio di informazioni, opinioni e programmazione. Prima della campagna saccarifera ho partecipato insieme ad Alfieri e al resto del management aziendale alla presentazione del nostro stabilimento ai rappresentanti di una società estera interessata al suo acquisto, durante una visita presso la nostra fabbrica.

 

Insomma un corretto rapporto fiduciario tra l’AD e la DT. Poi, nel mese di settembre, terminata la campagna saccarifera 2012, l’ultima svolta in attivo con un utile di 1,6 Mil di euro, avverto un raffreddamento nei rapporti. Contatti sporadici e diradati, nessuna indicazione sulla gestione della manutenzione e quindi un progressivo accantonamento che sconfina nella disposizione ad utilizzare obbligatoriamente le ferie, terminate le quali, mi viene comminato il licenziamento a firma di Feligini che nel frattempo aveva ricevuto una delega di rappresentanza da Alfieri. Le argomentazioni da mio punto di vista erano strumentali e fuorvianti, evidentemente non ero funzionale alla sua logica gestionale. Ad ogni modo presento ricorso contro il provvedimento adottato e il Giudice del Lavoro nell’ottobre 2014 emette l’ordinanza di reintegrazione. Considerato lo stato di crisi conclamata dell’Azienda, prendo la decisione di non rientrare al lavoro optando per la corresponsione dell’indennità sostitutiva prevista dall’allora vigente art. 18 della L.300/70.

Il mio rapporto lavorativo con lo Zuccherificio praticamente finisce allora.

La NewCo svolge un paio di campagne saccarifere accumulando debiti sempre più consistenti e nel settembre 2015 presenta al Tribunale di Larino domanda di ammissione a concordato preventivo cui seguirà il fallimento. Alfieri viene allontanato dalla Regione. Al di là della vicenda personale appare evidente, alla prova dei fatti, l’incapacità di Alfieri a raggiungere gli obiettivi assegnatigli.

 

In definitiva è mio parere che i vari management succeduti nella gestione dello Zuccherificio di Termoli al dott. Di Florio non hanno saputo attuare la differenziazione e l’implementazione produttiva prevista nel suo Piano Industriale ostinandosi a proseguire l’attività lavorativa del solo settore saccarifero ormai irrimediabilmente fuori mercato. Gli impianti poco performanti, i costi elevati delle materie prime e le condizioni generali de settore portavano a un costo specifico di produzione dello zucchero significativamente superiore al suo prezzo di vendita. Non c’era più margine operativo, l’attività saccarifera era divenuta definitivamente insostenibile. D’altronde il settore bieticolo saccarifero era ormai praticamente scomparso dalla nostra nazione.

Non rimaneva che il FALLIMENTO.

E fallimento è stato. Nel 2015 è fallita lo Zuccherificio del Molise SpA e nel 2016 fallisce il Nuovo Zuccherificio del Molise srl.

Il mondo agricolo perde una fetta di reddito certo garantito nel tempo dall’Azienda e deve abbandonare una importante coltura agricola rotazionale utile nella rigenerazione dei terreni.

La categoria dei trasportatori deve rinunciare a un riferimento economico, in alcuni casi vitale, che costringe i piccoli imprenditori alla chiusura.

Le numerose e diverse ditte esterne, dei settori più disparati (carpenteria – impiantistica elettrica, strumentale, meccanica, edile, movimento terra ecc.) subiscono un contraccolpo mortale.

I lavoratori avventizi perdono una fonte di reddito che, pur discontinua, aveva costituito una fonte di sostentamento.

I lavoratori a tempo indeterminati si avviano ad affrontare la durezza della cassa integrazione e della mobilità e poi la disperazione della mancanza di reddito. Le condizioni in generali del mercato del lavoro e l’età avanzata della maggior parte di essi rende difficile una loro ricollocazione lavorativa. Qualcuno ci riesce, i più tornano ad affidarsi alle vacue promesse dei politici di turno reiterando litanie e percorsi di un passato che sarebbe dovuto essere tramontato. E invece…

 

Le buone retribuzioni, l’omaggio delle gite aziendali, il premio zucchero a Natale, la Befana aziendale con la consegna dei regali ai figli dei dipendenti e i riconoscimenti ai lavoratori.

Solo un amaro ricordo, un sogno sfumato nell’oblio. Ora c’è da arrangiarsi; ciò che prima sembrava una realtà di altri, lontana e distante, diviene sofferenza con cui convivere quotidianamente.

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E poi altro colpi al cuore. Quelle immagini di Primonumero.it che mostrano lo spettro di un rudere diroccato, vuoto e cupo, il fabbricato principale senza più il cosiddetto piano quota 7,50 ormai demolito. Spazi e luoghi vissuti in una vita precedente che sembra non sia esistita. I rumori, le temperature insopportabili, i cattivi odori, disagi diventati abituali nel bene e nel male accettati. I macchinari, i tempi e la frenesia della lavorazione, le relazioni interpersonali. Niente più, tutto evaporato. Il lavoro, qualche volte anche criticato ma che aveva dato dignità e sicurezza, ha lasciato il posto a dolore e rimpianto. E anche pianto e disperazione.

La fabbrica “…volano dello sviluppo economico del Molise”, come orgogliosamente scritto sulle pareti del primo magazzino zucchero, il locale abituale della festa della Befana, svanita nel nulla.

Un pezzo di Molise non c’è più.

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