Termoli

Donne e uomini allettati nella stessa camera d’ospedale: l’emblema dello sfascio della sanità pubblica

Una lettera lucida e dura di Pasquale Spagnuolo, storico direttore di Medicina Trasfusionale al San Timoteo, che affronta senza ipocrisia l’emergenza dell’ospedale di Termoli dove la riduzione di posti letti impone perfino stanze “unisex”, nelle quali pazienti maschi e femmine sono divisi da un semplice separé. “E’ successo a mia moglie in cardiologia”. Una riflessione amara che tocca i punti nevralgici della caduta a picco della sanità pubblica, tra pensionamenti, inefficienze e decisioni maturate senza alcuna conoscenza del territorio.

Nei giorni scorsi ho ricoverato mia moglie presso il Reparto di Cardiologia dell’Ospedale di Termoli per una coronarografia, indagine che in quel nosocomio viene effettuata da diversi lustri da mani esperte che la rendono procedura del tutto sicura.

Il reparto è tra i più efficienti del San Timoteo e gli uomini e le donne, medici e personale non medico, guidati dal dottor Nicola Serafini meritano un plauso per l’alta professionalità.

La disavventura capitata a mia moglie è stata che, per la riduzione dei posti letto e degli spazi a disposizione imposta da incapaci amministratori, si è ritrovata in una stanza di cinque letti con tre donne e due uomini.

E’ vergognoso che nel 2020 possa accadere quello che, probabilmente, non accade nemmeno nel Burundi.

Chiedere spiegazioni a qualcuno che amministra e gestisce la sanità in Molise è del tutto inutile: nessuno ha gli attributi per rispondere. Eppure vorrei vedere lor signori o loro parenti immobilizzati in un letto dover pisciare o fare altro in una pala o in un pappagallo avendo di fronte una persona dell’altro sesso dalla cui vista si è protetti da un semplice separè. E’ inaudito!

Eppure le responabilità ed i nomi sono noti, ovvero quell’esercito di direttori generali, amministrativi, sanitari, commissari, sub-commissari e chi più ne ha più ne metta che si sono succeduti in questi anni, dei quali gli ultimi due-tre sono stati devastanti per la nostra Sanità.

La storia moderna del San Timoteo nasce alla fine degli anni ’70 quando un amministratore del posto, Carmine Rucci, nel cui curriculum non comparivano studi bocconiani o master specifici, ebbe una intuizione che gli attuali più blasonati manager nemmeno immaginano. Fu quella di girare l’Italia per riportare a Termoli professionisti di valore. A Roma prelevò Giampaolo Tagliaferri Chirurgo, Marzano Radiologo e Leone Rianimatore, a Bologna Sabetta Ortopedico e Iva Bovani Anatomopatologo, ad Ancona Dante Staniscia Cardiologo, mentre il bizzarro Vito De Palma si era formato all’Università di Siena. Mise su una squadra, della quale mi onoro di aver fatto parte, che diede lustro al nosocomio bassomolisano che divenn riferimento di una intera Regione ed anche di quelle limitrofe di Abruzzo e Puglia. Il “modesto” Rucci aveva creato qualcosa di grandioso.

Poi venne l’aziendalizzazione della Sanità con l’arrivo di manager (sic!) forestieri che non sapevano nulla del Molise, confondendolo spesso con l’Abruzzo o, addirittura, con la Basilicata. Gli ultimi dieci anni sono stati una giostra di personaggi la cui permanenza in regione è stata, a volte, di pochi mesi. Uno di questi, il bolognese Pirazzoli, comunicò a tutti i Primari che non avrebbe ricevuto nessuno ed avrebbe parlato solo con i Direttori Sanitari dei presidi ospedalieri: assurdo!

Da oltre dieci anni siamo in piano di rientro per l’enorme deficit accumulato. Un piano di rientro deve avere la durata di uno, massimo due anni; non può durare in eterno e diventare alibi per non fare concorsi e bloccare un settore che è in continua evoluzione scientifica e tecnologica. E qui veniamo alla nota dolente: pensionamenti. Questi stanno decimando i Reparti, alcuni dei quali sono a rischio per chi ci lavora a causa di turni massacranti e per l’utenza che non trova risposte adeguate ai bisogni. Ma come mai alla riduzione dei costi del personale che va in pensione non corrisponde un miglioramento dei bilanci che continuano ad essere drammaticamente deficitari?

La politica, rigorosamente con la p minuscola, non è in grado di prendere decisioni. Abbiamo assistito al balletto del punto nascita di Termoli dove sono stati i giudici del Tar a decidere se tenerlo aperto o chiuso.

Ma come fa un Ospedale di frontiera, che serve il territorio più produttivo della Regione e che per tale motivo presenta il più elevato numero di coppie giovani a non offrire a queste la possibilità di far nascere il proprio figlio nel proprio ospedale? Gli ospedali di zona, ovvero il primo gradino dell’assistenza ospedaliera, avevano obbligatoriamente i reparti di Medicina, Chirurgia, Pediatria ed Ostetricia!

Oggi, in nome di una razionalizzazione che però non produce economie di scala, i Reparti sono depotenziati ma nessuno prende la decisione di chiuderli. Allora viene spontanea la domanda : Ma a me semplice cittadino cosa importa se la Sanità è pubblica o privata? Io cerco qualità delle prestazioni e risposta ai miei problemi. Se la Sanità privata è più capace di fare questo che ben venga. La Sanità pubblica è fallita e lo dice chi ci ha lavorato una vita e credeva in essa. Nel pubblico, accanto a personale ammirevole per capacità e dedizione, vi è anche un esercito di fannulloni che approfittano della Legge 104, degli esoneri dai turni per patologie fantasiose , incollati alla propria sedia dalla quale non li sposti nemmeno con le cannonate, persone che nessuno mai licenzierà.

Il pubblico deve entrare in competizione col privato che è decisamente più efficiente, non il contrario, e se non è all’altezza è bene che chiuda o ne affidi ad un privato la gestione.

Come fa una Regione di trecentomila abitanti ad avere ancora oggi sei ospedali pubblici, che continuano ad essere aperti anche se si è cambiata la loro denominazione in ospedale di comunità (ma che vuol dire?) che continuano ad essere illuminati, riscaldati e manutenuti e c’è del personale che spesso non si sa cosa fa.

Ma c’è qualcuno capace di staccarne la spina? E’ illusorio che tali considerazioni trovino risposte da parte di qualcuno. Il padrone del vapore non vuole essere disturbato. E’ questo il motivo per cui i Comitati pro non sortiscono risultati. Anni fa ad un amministratore che aveva bloccato l’acquisto di farmaci e materiali di consumo cominciai a mandare i pazienti per protestare; fui subito contattato dalla sua segretaria che mi disse : ”Dottore però non ci mandi i pazienti!”. Ma gli acquisti si sbloccarono.

Un ultimo pensiero va al Tribunale per i diritti del malato. Non dovrebbe essere compito di tale organismo battersi perché non succeda che donne e uomini condividano la stessa stanza? O nasce solo per denunciare gli errori dei Medici la cui causa può essere proprio la cattiva organizzazione che pessimi amministratori impongono a tutta la comunità? I parigini sono riusciti a bloccare una riforma delle pensioni che ritenevano ingiusta; in Molise non siamo in grado nemmeno di evitare situazioni impresentabili, che gridano vendetta.

Evidentemente questa è la Sanità che ci meritiamo e questa dobbiamo tenerci: amara conclusione!

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