Sanità allo sfascio

Solo metà dei medici in corsia: ore extra per garantire le cure. I pensionamenti mandano gli ospedali in tilt

Ma i camici bianchi, che sono la metà di quelli necessari, sono già allo stremo. Da caso straordinario a emergenza quotidiana: la carenza degli organici sta rendendo di fatto impossibile il lavoro dei camici bianchi nei presidi sanitari regionali. Per garantire i turni e per evitare l'interruzione di pubblico servizio si è deciso di fare ricorso alle 'prestazioni aggiuntive' che dal prossimo 3 febbraio saranno autorizzate dal direttore sanitario Dino Sassi. "Probabilmente il budget previsto l'anno scorso non sarà sufficiente: ci sono altre variabili negative da dover gestire come i pensionamenti o i trasferimenti dei medici",

La spia che lampeggiava a intermittenza ora è diventata fissa. La carenza di medici che sembrava un fatto straordinario, legato soprattutto all’estate e al periodo di vacanze, alla fine è diventata un’emergenza quotidiana. Tutto è cominciato con gli anestesisti. Poi via via, in un implacabile effetto domino, sono andate in affanno Pediatria e Neonatologia. Infine, il Laboratorio Analisi.

Piano piano la carenza di medici ha riguardato tutti i reparti“, sottolinea il direttore sanitario del presidio ospedaliero unico Dino Sassi. In corsia opera la metà dei medici che servirebbe, con situazioni particolarmente critiche ad esempio in Neonatologia dove “la carenza supera il 50%”.

“In carenza di organico, non riusciamo a coprire i turni. In alcuni casi – spiega il dottor Sassi a Primonumero – sono state già fatte scelte di riorganizzazione diversa dei turni ad esempio con la pronta disponibilità e la guardia attiva. Per ottimizzare i pochi medici rimasti abbiamo fatto ricorso alla pronta disponibilità notturna, che comunque provoca uno stress perché la pronta disponibilità spesso corrisponde a dei turni di guardia attiva, cioè ad una chiamata nel cuore della notte, che poi costringe il medico a rimanere l’intera nottata. E’ una soluzione che col tempo logora”.

Per evitare turni scoperti e quindi l’interruzione di un servizio pubblico come quello sanitario la soluzione si chiama “prestazione aggiuntiva“, espressione tecnica per indicare quelle che comunemente definiremmo ore di straordinario. Ossia i medici potranno, su base volontaria, lavorare più delle 38 ore settimanali previste nel contratto. Ovviamente a fronte di una retribuzione che sarà a carico dell’Azienda sanitaria regionale. 

“Questo sistema resterà in piedi fino a quando ci sarà la voglia dei medici di vendere le ore lavoro professionali”, dice con un certo rammarico il direttore sanitario del presidio ospedaliero unico che sta incontrando i primari dei reparti dei principali nosocomi molisani: il 28 gennaio era a Isernia, ieri a Campobasso, oggi sarà la volta di Termoli.

Sarà lui che dal prossimo 3 febbraio autorizzerà le prestazioni aggiuntive. L’ultima parola spetta attualmente al commissario dell’Asrem, Virginia Scafarto (prima di lei era di competenza della ‘triade’ Sosto, Forciniti e Lucchetti).

Per pagare le prestazioni aggiuntive prevedendo le somme extra nella busta paga dei medici ci sarà un budget che “è pari alla spesa dell’anno scorso”. Ma “sono convinto che quel budget non sarà sufficiente – incalza il dottor Sassi – dal momento che ci sono altre variabili negative da dover gestire: i pensionamenti o i medici che decidono di trasferirsi, ad esempio. Se poi vengono attivati i concorsi o le altre procedure che rimpinguano l’organico degli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Agnone, riusciremo a sopperire ad una situazione drammatica”.

Fino a quando si può resistere? “Non voglio fare previsioni”, commenta Sassi. “Camminiamo su una lama. Basta una malattia e bisogna fare i carpiati all’indietro”.

Emergenza che si è materializzata, ad esempio, al San Timoteo tra Capodanno e l’Epifania, quando sono stati rinviati gli interventi programmati. E’ successo anche al Veneziale di Isernia tra il 27 e il 28 gennaio. Ora nel nosocomio pentro si sta tornando alla normalità.

“In alcuni settori – la chiosa finale del direttore sanitario – la continuità ordinaria (e parliamo anche degli interventi programmati in sala operatoria) dipende dalla volontà dei medici di vendere il proprio lavoro. Le prestazioni aggiuntive avvengono dunque solo su base volontaria e quando non c’è questa volontà, ad esempio nel caso degli anestesisti, viene ‘tagliato’ quello che si più tagliare. In pratica vengono rinviati gli interventi programmati“.

Le vie d’uscita per affrontare l’emergenza degli organici sono del resto sempre di meno: impossibile reclutare i medici pensionati o assumere specializzandi. I concorsi? Forse finora sono pochi rispetto ai ‘buchi da tappare’. E quando vengono espletati, i candidati si contano. Inesistente la convenzione con la Facoltà di Medicina dell’Università del Molise che dista pochi metri di distanza dall’ospedale Cardarelli di Campobasso e che potrebbe dare una mano ad alleviare il carico di lavoro in corsia.

Con i medici che quotidianamente stringono i denti per assicurare il diritto alla salute dei pazienti, negli ospedali molisani si respira un’aria di sfiducia.

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