L’allarme che arriva dalla cattiva consumazione della carne di cinghiale si chiama Trichinellosi, e in Molise si chiama anche epatite E.
La prima è una malattia infettiva che colpisce la fauna selvatica, attraversa l’apparato digerente per poi attecchire a muscoli e altre parti del corpo. L’infezione si trasmette all’uomo tramite il consumo della carne cotta male: i primi sintomi sono la diarrea, gli spasmi addominali e il vomito. Subentrano poi dolori muscolari, debolezza, sudorazione, edemi alle palpebre superiori, fotofobia, febbre.
La trichinellosi colpisce oltre 2.500 persone all’anno in periodi statistici considerati normali.
A verificare l’infezione in atto, gli Istituti zooprofilattici di Lazio, Molise, Sardegna e Toscana e Piemonte a seguito dei prelievi dei veterinari delle Asl di questi comprensori a seguito di decine di ricoveri per malori.
Il rischio è che la carne di cinghiale possa essere consumata al livello domestico oppure venduta a ristoranti e macellerie per la preparazione di pietanze tipiche locali.
L’attenzione è alta soprattutto per la realizzazione degli insaccati che prevedono l’utilizzo di carne cruda.
Per evitare il contagio, i suggerimento delle aziende sanitarie sono di cuocere la carne almeno tre minuti sopra i 70 gradi, oppure congelarla per almeno un mese a -15 gradi. Temperature estreme che sterminano i batteri.
E poi l’epatite E. Casi si registrano anche nella nostra regione. Si tratta di una forma di epatite contratta anche tramite la carne di cinghiale non adeguatamente cotta che può essere letale e deriva dal fatto che i cinghiali bevono dalle fognature o in acque infette. E il virus si trasmette all’uomo mangiando, appunto, la carne degli ungulati non controllata.
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