Il rapporto del censis

Più smartphone che televisori, gli italiani sempre più dipendenti. E ansiosi – SONDAGGIO

Il 73,8 per cento degli italiani possiede uno smartphone (era poco più del 15% nel 2009) e il numero dei ‘telefoni intelligenti’ ha superato quello dei televisori. Il Censis fotografa lo stato sociale del Paese e non è una bella istantanea: a farla da padrona sono incertezza e ansia

Gli italiani di oggi? Incerti, disincantati e ansiosi. E dipendenti dallo smartphone. È questo il quadro piuttosto fosco che emerge dal 53esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese.

Tra le pieghe dell’articolato studio, un’ampia disamina è dedicata al mondo dell’informazione e all’ormai principale mezzo utilizzato per accedervi: lo smartphone. Una storia – quella con il telefono intelligente – lunga dieci anni e che ormai ha profondamente mutato non solo l’innovazione digitale nel nostro Paese ma anche i nostri desideri, le nostre abitudini e finanche i nostri stati d’animo. La percentuale degli utenti in Italia che lo utilizza è passata da un irrisorio 15% nel 2009 all’attuale 73,8%. Sono stati i giovani under 30 i pionieri del consumo, passati da un’utenza pari al 26,5% nel 2009 all’86,3% dell’ultimo anno. Ma a partire dal 2016 si registra una impennata anche tra i giovani adulti (30-44 anni), fino ad attestarsi oggi al 90,3%.

“La diffusione su larga scala di una tecnologia personale così potente ha contribuito a una piccola mutazione antropologica che ha finito per plasmare i nostri desideri e le nostre abitudini. Il 25,8% dei possessori dichiara di non uscire di casa senza il caricabatteria al seguito. Oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire” si legge nel rapporto Centro studi e investimenti sociali. Gesti ormai acquisiti, quasi automatici, sulle cui conseguenze però è difficile non interrogarsi e sui cui Primonumero.it – da fonte informativa online qual è – intende soffermarsi.

I numeri ormai dicono tutto: nel 2018 il numero dei cellulari ha superato quello dei televisori. Oggi nelle case degli italiani ci sono 43,6 milioni di smartphone e 42,3 milioni di tv. È stata coniata l’espressione ‘dieta mediatica’ per indicare la varietà di mezzi informativi utilizzati. Le diete mediatiche povere, quelle di chi utilizza prevalentemente radio e televisione, sono scese e oggi riguardano meno del 18% della popolazione.

Al contrario, è salita la quota di chi ha una dieta ricca ed equilibrata, ovvero di chi si informa utilizzando tutti i principali media (audiovisivi, a stampa e digitali). Le diete più complete, però, restano appannaggio di alcune classi (30-44enni e 45-64enni) mentre i giovani under 30 si collocano sotto il dato medio. Non serve molta fantasia per capire quale strumento utilizzino pressoché esclusivamente.

Il Censis rileva anche un nesso interessante tra i media utilizzati e l’umore degli utilizzatori. “Confrontando gli stati d’animo degli italiani e i mezzi di comunicazione utilizzati, emerge che gli «arrabbiati» si informano prevalentemente tramite i telegiornali (il 66,6% rispetto al 65% medio), i giornali radio (il 22,8% rispetto al 20%) e i quotidiani (il 16,7% rispetto al 14,8%).

Tra gli utenti dei social network definiti «compulsivi» (coloro che controllano continuamente quello che accade sui social, intervengono spesso e sollecitano discussioni) troviamo punte superiori alla media sia di ottimisti (22,3%) che di pessimisti (24,3%). Per leggere le notizie scelgono Facebook (46%) come seconda fonte, poco lontano dai telegiornali (55,1%), e apprezzano i siti web di informazione (29,4%). Facebook (48,6%) raggiunge l’apice dell’attenzione tra gli utenti classificati come «esibizionisti» (pubblicano spesso post, foto e video per esprimere le proprie idee e mostrare a tutti quello che fanno)”.

Dipendenza da smartphone, il Molise non fa eccezione. Conoscete qualcuno che vive senza?

Tornando ad alcuni dei tanti aspetti del Rapporto Censis, vien fuori come sia predominante l’angoscia rispetto al futuro e il quadro che gli italiani si formano del domani è tutt’altro che roseo e cristallino. Il 69% guarda al futuro con le lenti dell’incertezza, il 17% è addirittura pessimista e solo il 14% riesce a progettare e immaginare il domani con un po’ di ottimismo.

Nell’ormai ‘obsoleto’ ascensore sociale non crede più quasi nessuno. Sia gli operai che gli imprenditori e i liberi professionisti temono la scivolata verso il basso e si figurano condizioni anche peggiori delle proprie per figli e nipoti. Ma come si è arrivati a ciò? Il Censis ricollega questo ‘smarrimento generale’ ad un percorso che ha a che vedere con lo smantellamento del welfare pubblico. Cartina di tornasole è il fatto che sempre più italiani si rivolgano alla sanità privata per i propri bisogni di salute. Nel Molise dello stillicidio della sanità regionale questo dirà qualcosa a molti.

Tutele che vengono meno, lavoro che anche quando c’è è sempre più precario: basterebbe solo questo per capire come a mano a mano si sia introiettata ansia che oggi viene fuori anche nella sfiducia nella classe politica e nell’emergere di tendenza antidemocratiche.

A tutto ciò si aggiungono i dati sul calo demografico che mostrano un’Italia sempre più rimpicciolita e invecchiata, con oltre 100mila giovani che fuggono all’estero.

Tante le convinzioni radicate nella “pancia” sociale del Paese che generano uno stress esistenziale, intimo, logorante, che “si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico: il 74,2% degli italiani dichiara di essersi sentito nel corso dell’anno molto stressato per la famiglia, il lavoro, le relazioni o anche senza un motivo preciso; al 54,9% è capitato talvolta di parlare da solo (in auto, in casa, ecc.); e per il 68,6% l’Italia è un Paese in ansia (il dato sale al 76,3% tra chi appartiene al ceto popolare); del resto, nel giro di tre anni (2015-2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23,1% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800mila in più dal 2015)”.

Queste solo alcune istantanee di ciò che il Rapporto rileva con la consueta precisione, e con un taglio sociologico che utilizza i dati e i trend per andare più a fondo così da capire dove la nostra collettività sta andando. O schiantando.

 

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