Il caso

La Palo Alto molisana in gita a Washington: su 20 aziende selezionate 4 hanno lo stesso cognome

Diritto di satira. La straordinaria ventura di Poggio Sannita, alias Caccavone, e delle mirabili competenze aziendali sfoggiate negli Usa al gran galà del Molise. Con i fondi pubblici.

Caccavone. Così si chiamava Poggio Sannita fino al 20 febbraio del 1921.

Fu allora che il consiglio comunale si riunì per dire basta a quegli incomprensibili risolini che il nome dell’adorato paese natìo suscitava nei forestieri, e decise di cambiargli il nome in Vinoli.
Ma il Fascismo, che da lì a poco sarebbe arrivato a dare nuovo vigore alla fierezza e all’ardore italico, mal si sarebbe conciliato con il molle Vinoli e ancora meno con il precedente Caccavone.

E così Caccavone, momentaneamente Vinoli, divenne definitivamente Poggio Sannita, pur mantenendo nello stemma l’emblema, l’oggetto, che diede il nome originario al paese.
E no, non era uno stronzo qualunque ma il “caccavo”, una specie di pentolone di rame usato essenzialmente per fare il formaggio, di cui i Caccavonesi erano incontrastati produttori.

Ma perché parliamo di Caccavone/Poggio Sannita oggi?

Uno pensa che Poggio Sannita sia solo un comune di 700 abitanti scarsi, metà dei quali ha oltre 65 anni; e invece no: grazie alla gita fuori porta organizzata a Washington dalla Regione Molise, abbiamo scoperto che Caccavone è la Palo Alto molisana, la Silicon Valley del Matese, la Shanghai del Verrino.

Ma andiamo con ordine.

Per i pochi che non lo sapessero ancora, la Regione Molise è stata l’ospite d’onore del gala organizzato dal Niaf, la più importante associazione degli italoamericani residenti negli Stati Uniti.
Il gala non è solo un appuntamento mondano in cui gente che normalmente parla in dialetto stretto incomprensibile anche ai propri cari si trova improvvisamente catapultata nella capitale degli Usa.

L’evento è anche il momento in cui si mettono in mostra le eccellenze del territorio e dell’imprenditoria regionale per creare interscambi commerciali con un mercato, quello americano, che conta oltre 300 milioni di consumatori.

L’anno scorso, per esempio, è toccato alla Puglia che ha speso 90mila euro per essere presente all’evento, selezionando con un bando di evidenza pubblica le migliori aziende del territorio con una forte vocazione internazionale.
C’era il pane di Altamura con i suoi 25 milioni di fatturato e un piano strategico per entrare nel mercato americano.
C’era un’azienda di Grottaglie che costruisce le fusoliere dei Boeing in mezzo agli ulivi, e che ha chiuso in quella occasione un accordo con Virgin per la costruzione di velivoli suborbitali.

Mica cotica.

Quest’anno è toccato a noi e la faccenda ha assunto i soliti connotati di commedia all’italiana, modello Boldi&De Sica, in cui riusciamo a trasformare qualunque momento di possibile emancipazione dall’anonimato in cui siamo costretti a vivere da decenni.

Abbiamo portato in gita, alla modica cifra di 133mila euro (soldi pubblici, sia chiaro), i nostri amministratori locali con accompagnatori di varia foggia e misura e 20 eccellenze locali, scelte con criteri sibillini e sfoggiate a Washington D.C. con la stessa imbelle spensieratezza con cui mia nonna sfoggiava il visone alle cene vegane.

Ma perché Caccavone? Cosa c’entra il paese del caccavo con questa riedizione di Natale a Miami fuori stagione?
Caccavone si è posto, nei fatti, come l’avanguardia dell’intera regione, con ben 4 aziende portate a Washington sulle 20 selezionate.

Un trionfo che in confronto la Silicon Valley di Microsoft, Apple, Netflix e Google sembra un posticino dove andare a svernare dopo la pensione.

4 aziende di Caccavone a Washington DC.

“Cap’ d’ cazz’”, sembra abbiano esclamato gli italoamericani del Niaf quando hanno scoperto questo incredibile concentrato di innovazione in un solo luogo.

Caccavone prende così la sua rivincita nei confronti di quel mondo e di quei risolini che ingiustamente ne hanno infangato l’onore senza per questo scalfirne il valore.

Ma andiamo a vederle nel dettaglio.
1) La farmacia galenica del paese. Gestita dalla dottoressa Bartolomeo. Immaginiamo gli Americani che accorrono in massa per fare import-export di pastiglie per la gola con la comoda farmacia di Caccavone.
2) Una società che da poco ha acquisito il marchio Pop84 ma che ancora non lo produce. Gestita dal dottor Bartolomeo.
3) Un’azienda che produce miele e che non ha ancora un sito internet ma che ha la sede sociale nella stessa via e numero civico della società del dottor Bartolomeo.
4) La Pop84 medesima, il cui marchio è di proprietà sempre della società di cui sopra, riconducibile allo stesso dottor Bartolomeo.

Insomma un caso straordinario e “miracoloso” (visto che 3 delle 4 aziende, con l’eccezione della farmacia locale, a Poggio Sannita non le conosce nessuno) in cui le competenze e le capacità portano tutte allo stesso paese, e persino allo stesso cognome.
Un mondo meraviglioso che è rimasto per troppi anni nell’ombra e che il nostro presidente è riuscito a portare alla luce.
Grazie Caccavone. Grazie Molise. Grazie Toma.

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