Il rapporto svimez

Campane a morto per il Sud. Sorpresa Molise: il pil cresce, ma crolla l’occupazione femminile

Il Mezzogiorno dimenticato: a certificarlo il rapporto 2019 presentato ieri - 4 novembre - a Roma. "E' aumentato il divario con il Nord e senza posti di lavoro cresce lo spopolamento: nel 2065 la popolazione in età da lavoro nel Mezzogiorno calerà del 40%", ha spiegato il direttore della Svimez Bianchi. L'europarlamentare Patriciello: "Sapevamo che il reddito di cittadinanza sarebbe stato inutile".

Un balzo indietro nel tempo: il divario tra il Nord e il Sud torna ad aumentare. E’ la storia d’Italia. Questa volta la frattura si è acutizzata perchè “negli ultimi 20 anni la politica economica nazionale ha disinvestito sul Mezzogiorno”. E’ il primo dato che il direttore della Svimez Luca Bianchi cita per spiegare il disastro: “Nel 2019 il Sud è entrato in recessione e timidi segnali di ripresa si vedranno solo il prossimo anno”. E’ come se fosse il giorno delle pagelle: ci sono tante insufficienze per le regioni meridionali.

E’ allarme dopo la presentazione del rapporto Svimez 2019: il Sud esce con le ossa rotte. Pil stimato in calo dello 0,2%, a fronte del +0,3% del Centro-Nord.

Aziende chiuse, persone che ‘fuggono’ in cerca di un’occupazione, paesi più vuoti. Il ‘povero’ Mezzogiorno perde popolazione e posti di lavoro.

In venti anni si sono trasferiti 2 milioni e 15 mila residenti, la metà dei quali giovani. E occorrerebbero 3 milioni di posti di lavoro per consentire al Sud di raggiungere i livelli del Settentrione. O meglio, servirebbe un miracolo. Basti pensare alla Whirpool di Napoli che non ha chiuso i battenti in extremis. La Campania, ad esempio, è una delle regioni del Sud a crescita zero nel 2018.

Invece, certifica la Svimez, Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni che nel 2018 hanno registrato il più alto tasso di crescita (rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%). Quindi il tessuto economico dei ‘cugini’ abruzzesi, coloro con cui una parte dei molisani vorrebbe tornare, è in ripresa.

Il dato è quasi il doppio del Molise. 

Nella nostra regione il pil è cresciuto del +1%. E forse sorprende. Il 2018 è stato l’anno delle elezioni, del passaggio dal governo Frattura (Pd) a quello guidato da Donato Toma (centrodestra). Il contratto di sviluppo istituzionale del governo Conte era ancora in un cassetto dal momento che è stato firmato quest’anno. E pure gli effetti del reddito di cittadinanza sono ancora da valutare.

Non è l’unica sorpresa. La nostra – rivela il direttore della Svimez Bianchi – è tra le peggiori regioni d’Europa dal punto di vista dell’occupazione femminile. Anche tra le ragazze laureate il tasso di occupazione è basso. Un potenziale inutilizzato quando potrebbe essere la chiave per ‘riaccendere’ il motore della crescita.

svimez

Probabilmente la perfomance dell’economia molisana è riconducibile alla dinamica degli investimenti: bene quelli privati (ad esempio i Contratti di sviluppo “sono stati tra le esperienze più positive”, le parole di Bianchi), crollano invece gli investimenti pubblici. La pubblica amministrazione spende sempre meno.

A differenza del Nord, al Sud ci sono meno servizi: funzionano peggio il trasporto su gomma e su ferro. La Svimez conferma pure difficoltà per l’istruzione: nelle famiglie più deboli non si completa il ciclo scolastico e al Mezzogiorno un ragazzo su cinque ha al massimo la licenza media. Numerose scuole non hanno il certificato di agibilità, altre nemmeno la palestra. “La povertà educativa rischia di essere la porta per la povertà economica”, scandisce il direttore della Svimez.

La povertà aumenta nonostante la crescita dell’occupazione: precariato e lavoro poco pagato continuano ad essere molto diffusi. Quindi “crescono i lavoratori a rischio povertà: da 1,2 milioni a 1,6 milioni al Sud. Un quarto dei lavoratori al Sud è a rischio povertà”.

Tutto ciò ha un impatto devastante dal punto di vista demografico: la popolazione è calata in tutti i piccoli comuni. “Negli ultimi 15 anni nei centri che hanno meno di 5mila abitanti abbiamo perso 250mila abitanti”. Di questo passo nel 2065 la popolazione in età da lavoro nel Mezzogiorno calerà del 40%.

Probabilmente in Molise ci aspettavamo una fotografia del genere. Perchè studi recenti hanno rivelato che lo scorso anno in nove comuni molisani non è nato nemmeno un bambino. Lupara, Montorio, Provvidenti, San Biase, Sant’Angelo Limosano, Castelverrino, Pizzone e Molise.

Nel 1951 il Molise aveva più di 400mila abitanti, tra 50 anni le previsioni dicono che saremo poco più di 200mila. Anche i primi dati parziali riferiti all’anno in corso non sono certo incoraggianti: da gennaio a maggio scorsi la popolazione è diminuita di 1500 persone. In sostanza è come se un intero paese di medie dimensioni fosse sparito nel nulla. E’ come se un comune di 2400 abitanti non esistesse più, come ha certificato l’Istat. 

Prima che suonino le campane a morto, è urgente un intervento della politica.

“Il rapporto Svimez conferma purtroppo che l’impatto del reddito di cittadinanza sulla crescita dei territori sarebbe stato nullo perché, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”, è l’analisi dell’europarlamentare Aldo Patriciello. “Una situazione paradossale e critica che ha risvolti demografici più che preoccupanti, visto che nei prossimi 50 anni il sud rischia di perdere 5 milioni di abitanti. Siamo davanti ad un’emorragia che trova le sue ragioni in ritardi strutturali ma soprattutto in una politica che negli ultimi anni è stata poco o affatto a trazione meridionalista. È tempo di invertire la rotta, perché se non riparte il Mezzogiorno non riparte l’Italia. Frenare il calo demografico e, di conseguenza, il degrado sociale, economico e culturale del Mezzogiorno è una responsabilità che ricade sull’intera classe dirigente del Paese, non solo su quella meridionale”.

 

commenta