Viaggio nella memoria

Il Parco Comunale tra passato e presente: ricordi e curiosità del polmone verde di Termoli fotogallery

Polmone verde di una città piena di cemento, cuore pulsante del divertimento di intere generazioni, il Parco Comunale ha vissuto anni d'oro prima del lento declino dell'ultimo ventennio: viaggio nella storia e nei ricordi.

C’era una volta il Parco Comunale ‘Girolamo La Penna’: iniziamo così questo racconto sullaa storia del polmone verde della città di Termoli che ha visto divertirsi decine e decine di generazioni che, una volta cresciute, sono tornate fra quei giochi e quel verde per veder giocare i propri figli e nipoti.

La nascita del Parco (giardino all’italiana moderno)

Il parco nasce nel 1963 quando l’allora sindaco termolese Girolamo La Penna, a cui venne successivamente intitolato nel 2005, acquistò 13 ettari e 54 aredi terreno dagli eredi Pace di quella che era definita ‘La Vallata del Molinello’, ad un costo di 15 milioni del vecchio conio. Nello stesso anno l’architetto Antonio De Felice (che poi scrisse il libro da cui sono tratte alcune delle foto qui presenti) ottenne l’incarico per il progetto di massima, senza che il Comune dovesse corrispondergli alcunché. Un anno più tardi si diede avvio ai lavori che iniziavano a modificare lo spazio, fino ad allora ricco di cespugli e terreni divisi tra incolti e coltivati, fino a renderlo fruibile alla cittadinanza.

I primi anni

Nel 1967 quello che oggi conosciamo come il Parco Comunale era molto diverso: oltre ai campi da tennis si iniziava a delineare la cosiddetta zona A, quella destinata agli impianti della piscina da 33 metri, oggi impensabile visto che la metratura non è più questa: “La piscina del parco di Termoli è l’ultima in Italia ad avere quelle dimensioni – ha confessato a Primonumero.it l’architetto De Felice durante un fugace incontro di metà estate – Approvata dal Coni, con la piattaforma da 10 metri era una struttura all’avanguardia”.

Al termine degli anni sessanta, per la precisione il 1969, si inizia a definire la zona nord-est, quella tuttora presente che si trova sotto il viadotto: qui centinaia di bambini tentavano di uscire dal labirinto nel minor tempo possibile, i più coraggiosi mettevano un paio di pattini, di quei vecchi modelli con le quattro rotelle posizionate agli estremi della suola, che si mettevano con le scarpe ai piedi e che si allungavano in base a quanto cresceva il bambino, e correvano lungo la pista di pattinaggio con i passamano di un rosso fiammante.

Nello stesso anno nascono la palestra all’aperto con tanto di anelli, scaletta, corda e pali su cui arrampicarsi ed a cui si affiancherà nel 1990 il percorso training, il serpente composto da cilindri di dimensioni decrescenti, da percorrere carponi o allungati, il trenino nato dalla collaborazione con Carlo Cappella che all’epoca era Capo Stazione, l’Aia Ludica destinata prettamente ai bambini, con un percorso acqueo per le barchette di carta e tanto di podio in cui incoronare, almeno virtualmente, il vincitore.

Sempre nel ‘69 prende forma il laghetto, la cui impermeabilizzazione è stata possibile grazie alla bentonite fornita gratuitamente dall’impresa Rocco Crema. All’interno dello specchio d’acqua, sugli scogli che sorgono dinanzi alla zona rientrante dove c’è la panchina, venne posizionata la scultura ‘La bagnante’ di Rita Racchi in Macchiagodena. Il laghetto è stato, per decenni, il fulcro della vita del Parco: abitato da sempre da pesci, carpe, cigni ed oche, nel corso dei vari anni ha dato ospitalità anche a diamantini e papere. Una fauna che è andata scemando con la fine (ingloriosa) del parco come lo aveva pensato La Penna.

Gli anni 70 ed 80: la rivoluzione del parco

Il 1975 è l’anno della svolta: si dà avvio al progetto per un chiosco bar, punto di riferimento di grandi e piccini, luogo di aggregazione per eccellenza e testimone di primi amori e filoni scolastici. Divenuto famoso con il nome di ‘Park Bar’, la struttura fu aperta da Lino e Rosa Basilico, una coppia termolese di rientro in città dopo la pensione di Lino.

All’epoca il parco era molto diverso, non solo a livello estetico ma umano: non si rompevano i giochi, non si gettava l’immondizia, si poteva giocare liberamente e senza paura ed il verde era curato dal guardiano. Un quadro decisamente diverso rispetto ad oggi e di cui abbiamo discusso con Patrizia Basilico, la figlia di Lino e Rosa che ci ha raccontato i mitici anni del Park Bar e che vi proponiamo in esclusiva grazie alle riprese ed al montaggio di David Battista di BC Foto.

Il 1984 è l’anno della cultura e all’interno del parco si inizia a respirare un’aria diversa, inizia a farsi strada la necessità di modificare quel luogo quasi perfetto aggiungendo dei servizi: è così che si dà l’avvio al progetto del Teatro Verde, tuttora in auge ed utilizzato prettamente durante il periodo estivo visto che si tratta di un teatro all’aperto.

Da campi da tennis a parcheggi

È il 1983 e l’annuncio della visita di Papa Giovanni Paolo II a Termoli (il 19 marzo) mette in allerta la città: sono migliaia le persone che hanno già confermato la presenza nella cittadina basso molisana e non esistono abbastanza posti auto per tutti. Come risolvere il problema? Creando parcheggi ovviamente, ma dove? Qui entra in gioco il parco che offre una soluzione pratica e veloce: in prossimità dell’ingresso c’è un’area verde che avrebbe dovuto ospitare i campi da tennis in asfalto, ma venne riconvertita in parcheggio, lo stesso utilizzato ancora oggi da tutti coloro che decidono di trascorrere del tempo al parco.

L’idea dei campi da tennis, però, non venne dimenticata e nel 1985 fecero la loro comparsa ben 3 campi in asfalto rosso e scoperti, dove non era prevista alcuna manutenzione, assieme al tennis da tavolo o ping pong poco distante. Nove anni più tardi arrivò la rivoluzione con un campo indoor completamente rivestito, per permettere l’allenamento anche durante le giornate piovose ed invernali.

Il Parco Comunale è sempre stato all’avanguardia, non solo per l’ambizioso progetto di donare alla cittadinanza un luogo tranquillo, ma anche per le strutture interne: è il caso della Meridiana, l’orologio solare, oggi completamente abbandonato e cosparso di vegetazione tanto da non essere più visibile. Ma c’è tanto, di quell’amato parco, che oggi non esiste più: dal Fort King che, con il suo albero vedetta, ha fatto correre l’immaginazione dei ragazzi che vestivano i panni di aitanti pirati pronti a saccheggiare il fortino, al doppio scivolo Far West che l’architetto De Felice pagò di tasca sua (546mila lire) e regalò dapprima ai figli e poi alla città.

Curiosità

Scavando nell’album dei ricordi sono molte le curiosità che vengono fuori. A cominciare dai materiali utilizzati per la costruzione dei giochi e di alcune strutture. In pochi sanno, infatti, che tutto ciò che è all’interno delle mura del polmone verde è a costo zero o quasi: “Il primo ponticello, quello che scavalca il torrente, è composto da traverse ferroviarie donate da Malerba – ha aggiunto l’architetto – I cilindri colorati, quelli di diverse altezze su cui è possibile sedersi o arrampicarsi e posizionati vicini al laghetto, erano i cilindri utilizzati per gli impianti fognari”.

Una delle costruzioni più audaci, almeno su carta visto che non è mai stata realizzata, è la zona dedicata a Benito Jacovitti, il celebre fumettista di Cocco Bill nato a Termoli: nel 2002 la zona del labirinto sarebbe dovuta essere restaurata con un progetto ambizioso. Accanto a quel groviglio di muri in cui i bambini cercavano l’uscita, sarebbe dovuto nascere uno scivolo con una scultura ludica dedicata al fumettista: “In pratica i ragazzi del Liceo Artistico di Termoli avrebbero dovuto realizzare, su della cartapesta, un disegno del volto di Jac di grandi dimensioni, da sistemare lungo lo scivolo. I bambini sarebbero usciti dalla bocca del fumettista”, ha confessato ancora De Felice.

Dagli anni sessanta ad oggi il parco è cambiato tanto, e non necessariamente in meglio se non per i lavori di ricostruzione delle piscine iniziati da qualche mese con l’obiettivo di rendere nuovamente fruibili le vasche, ma la memoria di chi lo ha vissuto durante il primo trentennio resta immutata: chi di noi non ha mai controllato quanto fosse cresciuto durante l’inverno semplicemente posizionandosi nel muro bucato? Chi non si è mai sbucciato un ginocchio cadendo rovinosamente sull’asfalto mentre correva, ansioso di raggiungere gli amici che stavano già giocando?

Recarsi al parco è come aprire un vecchio ed ingiallito album di foto, di quelli in bianco e nero in cui le sfocature erano dettate dall’impossibilità di vedere lo scatto prima di stamparlo: i ricordi si affievoliscono con il trascorrere inesorabile del tempo, i giochi cambiano così come i servizi, gli utenti ed i ritmi e noi restiamo bloccati, come fossimo parte di quello scatto, ancorati ad un passato che non è più nostro.

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