Guglionesi

In viaggio con Rampini tra passato e presente. Teatro stracolmo per l’Aut Aut Festival fotogallery

Grande partecipazione per la serata guglionesana dell'Aut Aut Festival con ospite Federico Rampini. Il giornalista ha trasportato i presenti in un affascinante viaggio contrappuntato dall'intreccio di date salienti della storia di ieri e di oggi.

Un viaggio attraverso la storia di ieri e di oggi, accompagnati dal narrare fascinoso di un grande giornalista dei nostri tempi, Federico Rampini. È stata questa la serata di ieri, 24 settembre, all’Aut Aut Festival che ha fatto il suo debutto a Guglionesi, nella splendida cornice del Teatro Fulvio dove, fino a dicembre, sono previsti altri interessanti appuntamenti.

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Appuntamenti con la cultura e, nel caso di ieri, con la storia in particolare. In quella sorta di conferenza teatrale che è stata ‘Quando inizia la nostra storia’ – lo spettacolo di Rampini – il giornalista è andato alla ricerca degli antefatti di ciò che accade nella contemporaneità, in quel mondo caotico in cui siamo immersi e che spesso non capiamo. L’operazione di Rampini è proprio quella di cercare la genesi dei fatti di oggi in episodi del passato in qualche modo antesignani. Per fare questo Rampini ha abbinato date ‘gemelle’ della storia, avvenimenti speculari o, per meglio dire, che sono associabili all’idea di causa-effetto.

Un viaggio, proprio così l’ha descritto Rampini al suo ingresso in scena, avvenuto subito dopo una carrellata di immagini impresse nell’immaginario collettivo, proiettate nel teatro stracolmo. “Quando esploro una terra lontana porto con me una libreria. I libri di storia sono i miei compagni di viaggio”. Lui, che si autodefinisce un ‘nomade globale’ in quanto italiano di nascita ma residente da sempre all’estero (attualmente è corrispondente per La Repubblica negli Stati Uniti), ha trasportato gli astanti in tempi e luoghi più o meno lontani con il supporto di immagini e video d’epoca di straordinaria emblematicità. Ad aiutarlo anche una libreria, alla sua sinistra sul palco, da cui di tanto in tanto l’autore ha ‘pescato’ alcuni oggetti simbolo.

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Ma prima di iniziare Rampini ha ‘sconvolto’ la platea con la notizia-bomba che la presidente della Camera dei Deputati di Washington aveva appena avviato la procedura per l’impeachment del Presidente americano Donald Trump. Un nome che tornerà spesso nel corso della serata nella disamina avventurosa fatta dal giornalista.

Si parte da lontano per capire gli sconvolgimenti della modernità. La nascita della stampa con Gutenberg a metà del ‘400 fa il paio con la rivoluzione di internet; le radici del populismo sono fatte risalire all’Italia del Rinascimento e nello specifico a frate Savonarola; il colonialismo e la sua esaltazione occidental-centrica sono forieri delle proteste no-global iniziate alla fine del XX secolo, originate da una sorta di ‘senso di colpa’: c’è sempre un filo rosso che lega il passato al presente, questa la lezione di Rampini.

Nella sua narrazione non potevano mancare alcuni temi clou come quello dei rapporti tra le potenze mondiali, leggasi America e Cina, con lo spostamento di egemonia verso l’Asia che Rampini fa risalire alla visita del presidente americano Nixon e Mao Zedong, in quella ”settimana che cambiò il mondo”.

L’eloquio di Rampini è inframmezzato da sequenze sullo schermo che precedono le sue ‘spiegazioni’. Sono immagini di repertorio entrate di diritto nei libri di storia. A queste, Rampini mette a disposizione (su uno schermo più piccolo collocato alla sua destra) gli scatti personali che raccontano il suo rapporto con i Paesi in cui ha viaggiato.

Il 1600 è un’altra data saliente per via della creazione della Compagnia delle Indie. Un caso estremo di compenetrazione tra pubblico e privato, con l’Impero britannico che affida la sua colonia più grande ad una società privata. Un po’ quello che è successo con il crac della Lehman Brothers nel 2008 e il successivo intervento pubblico per salvarla, un ‘peccato originale’ mai dimenticato da tanti americani che hanno ‘punito’ questa scelta eleggendo Trump al posto di Hilary Clinton, la “candidata dei poteri forti”.

Non poteva mancare un ‘affondo’ sull’immigrazione e i casi presi in esame sono sempre due. L’emigrazione di massa degli Irlandesi a metà dell’800 in America e quella dei popoli al confine degli Stati Uniti di oggi. Di qui una riflessione che ha chiamato in causa Carl Marx, che impostò una critica (da sinistra) all’immigrazione associandola a una maggiore diseguaglianza. Il motivo è presto spiegato: quello che per i capitalisti è una ‘manna’, per la classe operaia diventa una sciagura, con l’abbassamento dei salari e l’indebolimento delle tutele lavorative.

Ma il viaggio è pressoché infinito e porta gli spettatori dal Medio Oriente alla Francia della Belle Époque, dal ’68 americano alla Guerra dell’Oppio in Cina. C’è da perdersi, o forse no. Il filo rosso è ben saldo e, sul finale, un concetto fa la sua comparsa e disvela una ragione alla base dei vari avvenimenti narrati. Quello che oggi è etichettato in maniera “infame” – così Rampini – come ‘sovranismo’, in realtà può avere una lettura diversa. Il concetto di sovranità è nato con il Trattato di Westfalia del 1648. “Oggi chi parla di sovranismi si colloca spesso a destra, ma è inevitabile che sia cosi?”. E Rampini ricorda sovranisti e patriottici eccellenti italiani come Garibaldi e Mazzini. Senza dimenticare come la sinistra abbia spesso appoggiato aspirazioni sovraniste di altri popoli (curdi, palestinesi, tibetani ecc). Alla base, ieri come oggi, c’è la ricerca di identità e di radici. E allora, la chiosa finale di Rampini, perché non riappropiarsi dell’idea di Nazione? “D’altronde è il luogo storico dove abbiamo costruito la democrazia. Ricostruiamo al suo interno un nuovo contratto sociale, un patto di cittadinanza fatto di diritti e doveri”.

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Si è chiuso così lo spettacolo, tra gli applausi fragorosi del pubblico e i saluti della curatrice dell’Aut Aut Festival, Valentina Fauzia.

Un successo clamoroso a giudicare dal numero dei presenti intervenuti. Probabile che gli organizzatori non si aspettassero una partecipazione così massiccia. I 224 posti a sedere sono stati occupati in men che non si dica e in tanti, giunti anche dai vari paesi limitrofi, sono rimasti ad assistere allo spettacolo in piedi o sono stati costretti a tornare ‘mestamente’ a casa, non senza qualche polemica.

 

foto di Costanzo D’Angelo

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