Campobasso

Il teatrino dei fratelli Ferraiolo: tra ricordi e meraviglia, una metafora dell’esistenza

La gioia contagiosa dei burattini unisce grandi e piccoli in un abbraccio di straordinaria emotività: lì dove la tradizione incontra le stanze fascinose dell’immaginario collettivo. “Arrivai a Campobasso per la prima volta nel 1959 - racconta Adriano Ferraiolo - e conobbi una città stupenda, piena di fiori. Purtroppo, negli ultimi tempi, ho notato meno movimento soprattutto dal punto di vista giovanile; mi sembra che si stia spegnendo qualcosa”.

Velluto cremisi su ricordi di diamante. Silenzi magnetici per la liturgia del cuore. Il sipario cela ancora per un attimo i contorni; le palpebre gli sguardi: è l’attesa che sublima la catarsi, che santifica la meraviglia. Eggregora di emotività luccicanti, il profumo di un tempo perduto.

Fratelli Ferraiolo, Annus Domini 2019. Una profezia capace di sfidare epoche e oblio, di resistere ai vezzi di una modernità maldestra, sempre pronta a dimenticare in fretta; troppo in fretta.

Teatralità autentica, metafora dell’esistenza. Storie di beffarda scaltrezza, di lusinghe amorose e paradossali intrecci: archetipi in maschera, ammalianti come un canto di sirena.

La metrica e l’accento, la sinuosità del movimento, un’espressività audace eppur così sensibile: ogni spettacolo è una pagina di arte immortale, tradizione incarnata, tabernacolo di storia popolare. Fuoco. Per chi d’innocenza arde ancora e per chi, invece, quel candore lo riassapora appena nei tratti di un volto invecchiato.

Tra zucchero filato e note di caramello, il monumento a una dinastia, a un nome divenuto leggenda. Perché quelle voci, quelle battute, quei burattini rappresentano l’ancoraggio a un immaginario collettivo fascinoso, ai riflessi di un’infanzia ambrata, a sogni come di brina. Teneri segreti che ognuno di noi custodisce gelosamente tra le pieghe del cuore.

La scena, intanto, è sempre lì: a due passi da occhi e respiri. Lì, dove è sempre stata; nell’anima di questa città, nella sua platea, nel suo cerchio sacro: la piazza. E questa piazza, la nostra, ad Adriano Ferraiolo è straordinariamente cara.

Venni a Campobasso per la prima volta nel 1959 – racconta l’artista campano – insieme a mio padre, che tornò nuovamente qui con il teatrino dopo l’assenza dovuta alla guerra. Conobbi una città stupenda, piena di fiori e qui trovai anche tante amicizie e un giovane amore con una ragazzina del posto: avevo 15 anni. Purtroppo, negli ultimi tempi, ho notato meno movimento dal punto di vista giovanile: fino a qualche anno fa era una città più viva, adesso mi sembra invece che si stia spegnendo qualcosa”. 

Eppure, il teatrino ed i burattini rappresentano una sorta di antidoto, un medicamento capace di “risvegliare” legami e valori sopiti. Nei più piccoli, come pure tra le schiere del pubblico più maturo. Il segreto?

Con i nostri spettacoli l’adulto rievoca la sua infanzia, provando un entusiasmo eccezionale. I bambini, invece – spiega Adriano – hanno desiderio di vedere qualcosa ‘dal vivo’ e non attraverso la tv, il tablet ed i telefonini: ecco perché quando arriva il teatrino sono attratti da quei burattini che diventano per loro degli eroi. È per tutti una grande gioia”.

L’impeto primordiale della parola, il potere della visione, restano dunque inscritti nelle commedie del “teatrino” come comandamenti scolpiti nella roccia.

adriano ferraiolo

E mentre osservo Pulcinella erigersi al di sopra di imprevisti e criticità, ghignando persino in faccia alla morte, la mia mente torna ai giorni in cui la vita era un esercizio “per grandi”, un giocattolo da scartare: istanti che mi attraversano, in controluce, come granelli di polvere trafitti da tiepidi raggi di sole. Con la forza di un tuono.

Ecco perché quel minuto palcoscenico disegna puntualmente i flutti di una seducente tempesta interiore: dinanzi all’incedere di quelle trame mi ritrovo ogni volta rapito in un tempo fuori dal tempo, nel crepuscolo di universi interrotti, a combattere contro i miei demoni.

E d’improvviso sento piovere in me… Immagini riflesse e sottili melanconie, l’ombra di antiche reminiscenze, la poesia disseppellita che una sconosciuta m’ha piantato nel petto.

E capisco come in fondo una cura esista: per certi torpori dell’anima, per il pericoloso disincanto di fanciullezze hi-tech; per le irrequietezze di notti scarlatte e per il tedio che sovente ne segue. Esiste cura. Quanto meno per chi è ancora in grado di meravigliarsi dinanzi alla magia di certe fiabe. 

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