Facebook e l’hate speech

Il linguaggio della Rete, i portatori di odio e la petizione ‘Come parla presidente’: il “caso Molise”

Intervista a Valentina Fauzia, giornalista, copywriter, content manager e ideatrice della petizione “Come parla presidente” che è stata oggetto di un confronto ai tavoli della comunicazione non ostile di Parole O_Stili, che si è svolta a Trieste dal 31 maggio al 1° giugno.

Virtuale è reale. E anche il Molise con la petizione ‘Come Parla Presidente’ è presente a Trieste, dove dal 31 maggio al 1° giugno si è svolta Parole O_Stili, con 100 esperti di comunicazione, 10 tavoli tecnici, 15 panel tematici, 80mila studenti coinvolti. Valentina Fauzia, giornalista, copywriter, content manager e ideatrice della petizione divenuta in breve un caso, racconta in questa intervista quali sono e come condizionano i linguaggi ostili online e quali azioni la collettività può compiere per aiutare lo sviluppo delle coscienze digitali di ogni persona.

 

 Valentina, cosa è il manifesto della Comunicazione non Ostile? Chi l’ha adottato in Molise?

Il manifesto della Comunicazione non Ostile è una Carta che elenca dieci princìpi utili a migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in Rete. Il Manifesto è un impegno di responsabilità condivisa, vuole favorire comportamenti rispettosi e civili, vuole che la Rete sia un luogo accogliente e sicuro per tutti. In Molise il manifesto è stato approvato con delibera di Giunta, su mia proposta, dal Comune di Termoli e adesso è in approvazione nei Comuni di Guglionesi, Portocannone, Montecilfone, Campomarino, Roccavivara etc, è stato portato all’attenzione di tutti i firmatari perché lo propongano ai loro Comuni di appartenenza. Questo significa che chiunque adotterà il Manifesto dovrà poi rispettare questo codice etico sia nei comportamenti delle persone che rappresentano le istituzioni sia su tutta la linea di comunicazione, compresa quella dei social, delle istituzioni che rappresentano.

 

Da dove è nata questa idea?

L’idea è nata a febbraio 2017 a Trieste, dove per la prima volta, grazie a Rosy Russo, Founder e Presidente dell’Associazione “Parole O_Stili’, ci siamo incontrati con esperti di comunicazione, giornalisti, docenti, formatori, manager accomunati dall’idea che bisognava iniziare a far qualcosa di concreto per contrastare il linguaggio d’odio che stava già iniziando a far vedere effetti negativi in diversi ambiti del sociale quale la scuola, la politica e soprattutto la rete web.

 

La petizione online ‘Come parla presidente’ è arrivata a Trieste, ha un respiro nazionale. In Molise è un caso. Anche qui: come è nato il progetto?

La petizione ‘Come parla presidente’ è nata come reazione all’ormai noto caso del presidente della Regione Molise e al diverbio incandescente con il consigliere Andrea Greco durante una seduta di consiglio regionale. C’è stata prima una mia riflessione, condivisa sulla stampa locale, sul bisogno di avere politici e istituzioni che siano d’esempio per i cittadini, che utilizzino in ambito pubblico un linguaggio rispettoso del ruolo che ricoprono (penso alla cultura e compostezza di Enrico Berlinguer, Aldo Moro, Sandro Pertini). Come conseguenza è nata la pagina Facebook che da subito ha destato un grande interesse.

 

Come si è sviluppata la petizione, sia reale che virtuale?

Molti mi dicevano che l’articolo aveva smosso le coscienze, che questa era una cosa che pensavano tutti ma nessuno era riuscito fino ad oggi a mettere a fuoco in questo modo. Allora ho pensato di mettere alla prova questo potenziale ed ho creato la petizione che nel giro di una sola settimana ha ricevuto centinaia di firme al punto che la piattaforma change.org dopo aver raggiunto il primo traguardo, l’ha immediatamente rilanciata. La petizione è stata firmata anche in via cartacea in vari ‘punti firma’ che si trovano a Termoli, Campobasso e Vasto. E’ nata una vera e propria comunità di persone che si dicono stanche di essere maltrattate da chi siede nelle istituzioni; dal dipendente pubblico che risponde male fino ad arrivare al presidente della Regione.

 

Cosa l’ha spinto e accelerato?

La pagina facebook è diventata una sorta di osservatorio dei comportamenti dei nostri politici e delle istituzioni e una ‘triste’ accelerata si è avuta con il video del confronto pubblico tra candidati sindaci dove, ancora una volta, siamo stati costretti ad assistere a reazioni scomposte e parolacce da parte di chi ci dovrebbe rappresentare.

 

Poi cosa è successo? Che riscontri hai avuto?

E’ successo che è diventata come un’onda che man mano che si avvicina alla riva continua ad alimentarsi e crescere. Che procede da sé, inspiegabilmente. Una cosa che mi fa piacere sottolineare, anche per rispondere a chi (pochissimi in verità) ha parlato della petizione come di una ‘trovata politica’ è che il successo di questa petizione è proprio che è apolitica e trasversale. Infatti è stato bellissimo vedere, durante tutta la campagna elettorale, che i candidati di tutti gli schieramenti la firmavano, la condividevano, ne parlavano come un principio comune a tutti i gruppi politici in competizione in questo momento. Il candidato Nick di Michele l’ha persino citata per sedare gli animi nel confronto pubblico a La Vida poco dopo le escandescenze.

La petizione è stata firmata anche da persone cardine della nostra società quali i dirigenti scolastici, il vescovo Gianfranco Due Luca, la direttrice del carcere di Larino (ed ora anche di Campobasso) Rosa La Ginestra e poi tanti, tanti presidenti e membri di associazioni civili e culturali, tanti sindaci e politici dal vicepresidente della Camera dei deputati ad Antonio Lapenna, quindi abbiamo avuto modo di capire che la voglia di chiedere alle istituzioni serietà e rispetto dei cittadini è davvero trasversale.

Valentina Fauzia Trieste

da sinistra: Matilde Maresca, Giovanni Ziccardi, Antonio Pavolini, Giovanni Boccia Artieri, Dario Colombo, Massimo Mantellini, Valentina Fauzia, Andrea Benedetti, Viviana Spadoni, Damien Lanfrey, Stefania Crema ed Elisabetta Zurovac

 

Come definire l’hate speech? E come si manifesta?

Abbiamo discusso a lungo al tavolo tecnico di Trieste su chi sono gli odiatori online e offline. In verità uno dei punti cardine è intanto capire cos’è l’hate speech perché, ad esempio, per la piattaforma Facebook che, come sappiamo, si regola sulla costituzione americana e non su quella italiana, è considerato un hater e quindi una persona da monitorare, solo colui che pone in essere minacce concrete (ad es. se scrive un post del tipo ‘Fra mezz’ora farò esplodere una bomba in piazza Monumento). Ecco, questo fa capire quanto sia impossibile riuscire ad individuare la figura dell’odiatore e di conseguenza arginare il fenomeno dell’hate speech. A questo si aggiunge il fatto che molti degli haters più accaniti, una volta rintracciati e messi di fronte ai danni provocati alle persone colpite, si scoprivano essere ‘innocue’ casalinghe inconsapevoli delle conseguenze delle loro azioni in rete. Questo denota quanto bisogno ci sia di diffondere sempre più la conoscenza del web e del digitale, a tutti i livelli della nostra società. Poi ci sono gli hater strutturati, quelli organizzati da gruppi politici che fanno dell’odio uno strumento per avere consenso elettorale o monetizzare, fare soldi grazie ai click. Ma questo è un discorso troppo ampio.

 

L’odio social e i portatori di odio come si riflettono sulla vita democratica? Che conseguenze rischiamo di subire o stiamo già subendo?

L’odio social sta cambiando e trasformando i comportamenti delle persone è inutile negarlo. Il tema centrale quest’anno a Trieste era ‘virtuale è reale’ e con gli esperti con cui ho avuto l’onore di condividere i lavori del tavolo tecnico ci siamo trovati tutti d’accordo sul fatto che non ha più senso dire che la vita online è nettamente separata da quella offline. Purtroppo la prima influenza fortemente la seconda.

La conversazione d’odio online sta già provocando diversi danni alla nostra società tra questi i danni reputazionali (che per le persone hanno conseguenza sociali e per le aziende hanno conseguenze economiche, in entrambi i casi sono danni gravi), la limitazione della conversazione (dalla quale si auto escludono le persone che non condividono quel tipo di linguaggio con il risultato che nel contesto resta la sola voce dell’hater), la riduzione della diversità dei contenuti e delle voci, l’autodistruzione della società intesa come pluralità e forma democratica.

 

A Trieste si è parlato anche di possibili soluzioni e modi di arginare e circoscrivere il fenomeno. Quali?

Sì, a Trieste siamo stati chiamati per cercare di tracciare soluzioni che verranno poi elaborate ed inserite in un documento programmatico.

Tra le prime soluzioni tracciate vi è la necessità di accrescere la consapevolezza dei destinatari dell’odio online e offline e, più in generale, di tutti gli utenti della rete, degli strumenti volti al contrasto. Si è delineata quindi la necessità di richiedere corsi di educazione digitale in tutte le scuole e di strumenti didattici mirati ad aumentare la conoscenza del valore della diversità, si è sottolineata l’importanza di una capillare formazione dei docenti alle competenze digitali.

Si è discusso del problema dell’odio online anche come di un problema sociale e culturale e in questo ambito si è sottolineata la necessità di strumenti che possano dare voce ad iniziative che risveglino le coscienze; in quest’ottica è stata portata ad esempio la petizione ‘Come parla presidente’ come possibilità concreta di incidere positivamente su un tessuto sociale.

Altra possibile soluzione individuata dal tavolo tecnico è stata quella di cercare di svilire da un lato il potenziale economico dei media che monetizzano grazie all’odio e dall’altro il bisogno di premiare invece editori e media che fanno un buon uso della rete e più in generale una buona informazione nel rispetto delle regole deontologiche.

Si è discusso del bisogno, sempre più impellente, di trovare nuove forme di finanziamento pubblico all’informazione per evitare i danni della comunicazione vincolata alle logiche di imprenditori privati e si è sottolineata la necessità di chiedere ai proprietari delle grandi piattaforme digitali di fare investimenti, anche in Europa, sulla media regulation ovvero tutte quelle azioni volte a garantire la tutela dei diritti degli utenti (ad esempio quando un utente Facebook segnala un contenuto lesivo della sua immagine, attualmente Facebook in Italia impiega settimane se non mesi a rimuovere il contenuto mentre negli altri Paesi questo avviene più velocemente con conseguente minor danno per la reputazione dell’utente).

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