Lo sguardo di assunta domeneghetti

La parola che arde e la parola di troppo

afFondo/1 - Dal presidente della Regione che in conferenza stampa brucia fogli di carta per spettacolizzare i suoi annunci alle provocazioni in Consiglio regionale di Andrea Greco, la politica dimostra di aver in parte smarrito il rispetto per le istituzioni che rappresenta. Nell'epoca delle confidenze eccessive e del "tu" a tutti i costi recuperare la forma diventa anche sostanza.

Irresistibile. È tale la voglia di Donato Toma di fare spettacolo ad ogni conferenza stampa. Il presidente della Regione Molise trova spesso modi più o meno divertenti o quantomeno originali per annunciare questo o quell’evento. Che si parli di sanità o di una rassegna culturale Toma è sempre disinvolto, potremmo dire quasi disinibito, quando infarcisce di aneddoti personali i suoi interventi istituzionali. Perché il governatore, è quasi superfluo ribadirlo, le istituzioni della nostra regione le rappresenta pienamente almeno fino a quando lo spirito da showman non s’impossessa di lui. E a quel punto è impossibile frenarlo.

L’ultimo episodio, ma è pura cronologia, alla presentazione della kermesse Poietika che quest’anno ha come slogan: la parola che arde.

Irresistibile. Toma – che in altre occasioni ci aveva informati della sua attenzione per gli stili di vita corretti o per quella mania, a tratti ipocondriaca, di cercare, come prima attività della vacanza, farmacie e ospedali vicini al luogo di villeggiatura scelto – ha tirato fuori un improbabile accendino per “passare dalla metafora alla realtà” e dare fuoco a qualche foglio di carta. “E’ il fuoco della cultura – ha detto tra gli sguardi divertiti dei presenti – ma speriamo che gli elettori non ci facciano fare la stessa fine”.

Applausi. Risate. Siparietto riuscito anche stavolta.

Foto varie

Toma, sia chiaro, non è certo l’unico politico molisano a mostrarsi sciolto e talvolta un po’ troppo a suo agio nei luoghi istituzionali. Anzi, a dirla tutta, di one-man-band come e più di lui nei palazzi che contano ce ne sono a iosa. Il Consiglio regionale, per esempio, è stato un luogo in cui sono volate le sedie e le mani oltre alle parole grosse. Lì gli eletti ricevono elettori, amici e parenti, fanno campagna elettorale, s’intrattengono in rinfreschi oggi meno sontuosi di quelli dei tempi d’oro dell’ex presidente del Consiglio, l’azzurro Michele Picciano, il quale non lesinava certo – come poi abbiamo avuto modo di vedere anche nelle inchieste della Finanza – su arredi e regali.

Personalmente ho sempre preferito dileguarmi durante questi cerimoniali festosi tra stampa, politici e addetti ai lavori: mi imbarazza ricevere un dono pagato coi soldi dei contribuenti. Gli unici scambi di ‘cortesie’ che ritengo accettabili sono quelli a cui ho assistito in aula qualche mese fa quando il consigliere del Movimento 5 Stelle Andrea Greco ha provocatoriamente ceduto una Costituzione italiana all’avvocato del Pd Vittorino Facciolla. Anche questo, però, lo considero uno show poco rispettoso del luogo. Ma Greco, del resto, era un attore prima che un politico.

Sarà pure un segno dei tempi ma questa mania della battuta facile e accattivante sembra aver contagiato veramente tutti.

All’università sono i prof simpatici e affabili quelli che risultano anche più apprezzati dagli studenti. Quando a lezione c’ero anche io avevo un docente di storia contemporanea, tale Marco Gervasoni, che era il terrore di tutti i corsisti. E non perché il suo fosse un programma impossibile quanto per un certo atteggiamento di serietà e distacco che lo rendeva diverso da tutti gli altri insegnanti della facoltà. Gervasoni non era un vecchio e occhialuto professore universitario, al contrario, era tra i più giovani. Ma non si lasciava mai andare a una battuta, non ammetteva risolini o perdite di tempo durante la spiegazione. Faceva il suo dovere e tanto bastava a renderlo temutissimo fino al giorno dell’esame quando ti ritrovavi faccia a faccia con lui. E in quella occasione scoprivi che anche lì se avevi studiato passavi, altrimenti non avrebbe fatto nulla per metterti a tuo agio. Sconti a nessuno, la sua regola era questa. Un giorno l’ho incrociato in un corridoio e l’ho fermato per domandargli di un libro che non ero riuscita a trovare: ho scoperto che il prof Gervasoni era una persona gentile, disponibile. Persino in grado di sorridere.

Ce ne fossero di più come lui. All’università che pure è un luogo che merita un certo rispetto, ma non solo lì. Questi Paolo Bonolis mancati sono dappertutto ormai. Negli uffici pubblici, negli ospedali, a scuola. E vogliono sempre sdrammatizzare con una battuta, sempre avere una sorta di confidenza con l’altro che può risultare anche fastidiosa senza empatia.

La serietà è percepita come snobismo, l’educazione e le buone maniere una forma di distacco, il lei un ostacolo linguistico al dialogo tra sconosciuti.

Ma perché?

Il rispetto per le istituzioni è anche rispetto per noi stessi e per gli altri. In questa epoca di sovrapposizione di ruoli e giudizi affrettati, mantenere le distanze non dovrebbe essere confuso con l’arroganza. Sarà che, ne sono convinta, la forma in fondo è anche sostanza.

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