Termoli - il metodo della rete

I mille volti dei maltrattamenti. In 6 mesi già 23 donne hanno cambiato vita grazie al Centro Antiviolenza video

8 si sono recate spontaneamente nella struttura attiva da ottobre, altre 15 sono state aiutate grazie alla rete di supporto che fa del centro di Termoli una realtà efficace per portare fuori le donne da situazioni di violenza fisica, psicologica, economica. Un progetto possibile nell’Ambito territoriale sociale di Termoli.

È stato presentato oggi – 16 aprile – il Centro antiviolenza dell’Ambito territoriale sociale di Termoli. Presente al tavolo il coordinatore dell’Ats Antonio Russo, la referente del Cav, la psicologa Sara Fauzia, la Consigliera di Parità della Regione Giuseppina Cennamo, il Sindaco di Termoli, nonché presidente dell’Ats, Angelo Sbrocca, il direttore del Pronto soccorso del nosocomio temolese Nicola Rocchia, il direttore della Caritas diocesana Gianni Pinto, il tenente comandante della Compagnia Carabinieri di Termoli Edgard Pica e il neo dirigente del Commissariato della Polizia di Termoli Nevio Di Vincenzo.

Un folto pubblico e una nutrita rappresentanza della rete di supporto al Centro antiviolenza nato nell’ottobre 2018, raccogliendo l’eredità del precedente sportello istituito a partire dal 2016, ha reso l’idea di come il fenomeno sia sentito e della concretezza del lavoro di rete innescato sul territorio.

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Un centro che si avvale di tre professioniste, la psicologa Sara Fauzia, l’avvocato Tina De Michele e l’assistente sociale Anna Bombini. La rete con i servizi del territorio e con le Istituzioni costituisce un valore aggiunto non solo per quanto riguarda le attività di sensibilizzazione ma perché molto spesso permette l’emersione di situazioni di tal sorta. A inquadrare il contesto nel quale ci si muove la psicologa Fauzia: “Muoiono tre donne a settimana, solo l’11 per cento denuncia e il Molise si colloca tra le ultime regioni in Italia in tal senso”. Con tali numeri “è questa la vera emergenza sicurezza in Italia”. Pur consapevoli che quello che si fa è una goccia nel mare, le operatrici del Centro, l’Ambito e il Comune di Termoli si dicono orgogliosi di poterci contare. “Fino a due anni fa ero qui a combattere perché ci fosse un Centro Anti Violenza a Termoli”, ha ricordato Sara Fauzia che in questa ‘battaglia’ è stata sostenuta dall’Amministrazione che ha fortemente creduto nella valenza del progetto.

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Il fenomeno della violenza sulle donne è complesso perché vi sono invischiati diversi aspetti ed emozioni quali la paura, il senso di colpa, uniti alla dipendenza affettiva e a quella economica rendono difficile per le donne uscirne fuori. La ragione è soprattutto una: la maggior parte delle violenze avviene tra le mura domestiche. Il luogo che dovrebbe rappresentare la sicurezza, il riparo, diviene spesso il teatro di relazioni con alla base il predominio e la violenza.

Il lavoro di rete, che spesso è poco più di un’espressione retorica, in questo caso è realtà. È un metodo necessario ancor più in questo tipo di problematica. Perché “è un fenomeno dalle mille sfaccettature” e dunque sono tante le professionalità investite di una qualche responsabilità. “La rete ci ha permesso molto spesso di far emergere una situazione di violenza”. Non tutte le donne che si rivolgono al Centro – che si trova in via Montecarlo 49 a Termoli  – si presentano spontaneamente. “Solo 8 l’hanno fatto, le altre 15 sono arrivate a noi tramite i servizi”. Magari dietro una semplice richiesta di aiuto economico si nasconde una situazione di soprusi di anni. E sono donne che provengono dai 19 Comuni dell’Ats di Termoli cui si aggiungono quelle dell’Ambito di Larino.

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Nel corso dell’incontro che ha voluto presentare alla cittadinanza, oltre che alla stampa, il Centro antiviolenza gestito dalla Cooperativa BeFree e le sue attività, è stato proiettato un video che ne riassume il senso oltre che i numeri. 23 donne sono state seguite da ottobre 2018 ad ora. Sono 16 italiane e 7 straniere, la maggior parte (15) ha un’occupazione e quanto agli uomini maltrattanti sono perlopiù italiani, con un’occupazione e un livello di istruzione media. Uomini e donne ‘normali’, lontani anni luce dalle rappresentazioni che comunemente si hanno. “Proponiamo una logica differente. La donna non è vittima ma una persona che ha sopportato la violenza”. Uscire dall’idea di vittima è importante perché molto spesso le donne non si riconoscono in quell’immagine romanzata che proviene dai mass media. Anche le norme sembrano spesso veicolare l’idea di donna-oggetto da tutelare, “la protezione è sì importante ma le donne sono soggetti proattivi che possono autodeterminarsi, hanno solo bisogno di aiuto in una fase critica della loro vita”, così Fauzia che ha sottolineato anche il preminente aspetto culturale alla base della violenza.

Il centro è un luogo di fuoriuscita dalla relazione violenta il cui percorso sarà costruito dalla stessa donna, supportata dagli operatori. Dopo una preliminare valutazione del rischio – molto spesso le donne non ne percepiscono la reale entità – si inizia un processo che prevede al suo interno il supporto psicologico, quello sociale e l’orientamento legale. “Spesso le donne dicono di non denunciare perché non sanno che fine ne sarà di loro”, molto spesso sono terrorizzate dal pensiero di perdere i figli” e allora mettere a disposizione una consulenza che li supporti nella denuncia o in una procedura di separazione diviene fondamentale.

Il video realizzato dal regista Simone D’Angelo ha gettato luce sulle diverse situazioni che vanno sotto il cappello della violenza: donne ricattate, sottomesse, violentate, minacciate, molto spesso dai propri partner. Sono storie accadute realmente qui da noi, come ha ricordato commosso il coordinatore Russo.

È stato il tenente Pica a ricordare come l’Arma  e le altre Istituzioni siano un tassello importante ma non può bastare. “Il sistema siamo tutti noi, smettiamo di voltarci dall’altra parte”.

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Il centro funziona, è un servizio importante per la crescita culturale e sociale del territorio, ma la speranza espressa dai presenti è che diventi strutturale e non legato alle singole programmazioni regionali.

Qui le donne comprendono che “un altro modo di vivere e di amare è possibile”.

 

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