Guglionesi

I naufragi di Lampedusa e la legge feroce del mare: l’Abisso di Enia emoziona e ammutolisce

Aspettative abbondantemente superate per lo spettacolo “L’abisso” di e con Davide Enia, di scena ieri al Teatro Fulvio di Guglionesi per il terzo appuntamento con la Stagione teatrale. Un monologo intenso e vibrante che, senza retorica alcuna, ha raccontato il dramma dei morti in mare dal punto di vista degli abitanti di Lampedusa e dello stesso autore che, in una sorta di viaggio esistenziale oltre che documentaristico, si è recato lì per vedere con i propri occhi questa moderna odissea.

Una donna dalla città fenicia di Tiro un giorno decise di fuggire per mare, sul dorso di un toro bianco, per giungere a Creta, di cui divenne regina. Quella donna si chiamava Europa ed è in quella storia, in quell’andare per mare cercando riparo in altre terre, che possiamo rintracciare le nostre origini. “Noi siamo figli di una traversata in mare”.

Con il mito greco di Europa si conclude “L’abisso” di e con Davide Enia, andato in scena ieri (30 marzo) al Teatro Fulvio di Guglionesi. Uno spettacolo che getta una luce diversa sul fenomeno degli sbarchi e ferisce per la sua forza espressiva. Un monologo intenso, vibrante e lancinante che ha catapultato gli spettatori in quella terra complessa e affascinante che è la Sicilia e in quell’isola, Lampedusa, divenuta scenario impotente di uno ‘spettacolo’ che si reitera giorno dopo giorno da decenni.

Davide Enia, siciliano di Palermo, ha deciso di dare voce a chi di quello spettacolo è protagonista: i pescatori, i sommozzatori, il personale della Guardia Costiera, il gestore del cimitero, tutta quella umanità costretta a vivere sulla propria pelle la tragedia contemporanea dei naufragi nel mar Mediterraneo. Davide Enia, con spirito documentaristico, ha vissuto con loro, ne ha ascoltato i racconti, e ce li restituisce in questo monologo teatrale con vivida e straordinaria intensità. Ma fa di più: ci narra anche il suo viaggio, i suoi sentimenti, il suo personale disagio dinanzi a tutto quel dolore.

Dal racconto e dal pianto di un enorme sommozzatore, che raccoglie i corpi inermi che il mare restituisce, si dà il la alla narrazione che si compone di tanti frammenti di storie in cui aleggia un intollerabile senso di morte. Pare di vederli quei corpi che galleggiano a pelo dell’acqua, quegli uomini e quelle donne – spesso bambini – in balia delle onde, quei cadaveri impigliati nelle reti dei pescatori come fossero pesci. Allo stesso modo par di scorgere quelle braccia addestrate per fare quello che impone la legge del mare: salvare chi è in difficoltà. È una legge che non accetta se e a cui nessun uomo di mare si sottrarrebbe: in mare ogni vita è sacra, non esistono colori, etnie, religioni. Una legge naturale che nessuna legge umana può mettere in discussione. Un po’ come quella di Antigone, la legge di terra che impone di seppellire i morti. Enia affronta anche questo dramma, dando ‘voce’ al gestore del cimitero dell’isola che per anni ha dato sepoltura ai tanti, senza nome, giunti sulle agognate coste occidentali ormai privi di vita.

Lo spettacolo è un fluire vorticoso di voci, suoni, gesti e antichi canti ma anche di silenzi, di parole che restano imbrigliate nel corpo tanto è doloroso tirarle fuori, come racconta Enia narrando della sua personale reazione di fronte a quel clima di morte. L’autore, per scrivere i suoi “Appunti per un naufragio” (il libro da cui è tratto “L’abisso”), ha deciso di andare a vedere con i propri occhi l’odissea di Lampedusa e nel farlo ha scelto come compagno di viaggio suo padre. Lo spettacolo diviene anche un diario personale del loro rapporto e dei silenzi ‘atavici’ su cui si è costruito. Ma la apparente distanza ‘abissale’ tra padre e figlio si accorcia fino a scomparire quando i due si scoprono uguali nelle reazioni di fronte alla vista del primo sbarco.

La narrazione unisce diversi registri e linguaggi teatrali: c’è la parola, c’è il gesto che la accompagna febbrilmente, e poi c’è il cunto siciliano che Enia interpreta accompagnato dal musicista Giulio Barocchieri. Con le corde delle sue chitarre il compositore, in una sintonia perfetta con il cantore Enia, sottolinea e amplifica le forti emozioni che lo spettacolo ingenera, con dei crescendo talvolta dilanianti. Tra i due si costruisce una sorta di dialogo jazzistico, frutto di improvvisazioni dettate dallo stato emotivo che, replica dopo replica, il dramma evoca negli stessi interpreti. Nelle note si alternano dolcezza, spaesamento, dolore e rabbia: c’è tutto questo nelle melodie del musicista che passa repentinamente dai toni tristi delle nenie a quelli più aspri che somigliano al blues, nel suo significato autentico di manifestazione di dolore e di denuncia.

L’abisso è stato questo e molto di più. La sua forza è in grado di togliere le parole. E infatti un silenzio irreale in platea ha accompagnato tutto lo spettacolo. Un’attenzione ipnotica è calata sugli astanti. Mai una foto, una distrazione, niente ha disturbato il dramma che si è reificato in ognuno dei presenti. Con un lungo, scrosciante e catartico applauso finale la tensione di tutti si è sciolta, il pubblico si è alzato in un impeto di riconoscenza per gli artisti che hanno attinto al profondo di loro stessi per raccontare un dramma che appartiene – o dovrebbe appartenere – ad ogni uomo.

Un successo che, sebbene pronosticato, ha stupito tutti i partecipanti. Una scelta meritoria per la direzione artistica di Teatrimolisani targata Stefano Sabelli che ha permesso di portare anche in Molise uno spettacolo che sta girando l’Italia intera e che sta ricevendo un’accoglienza entusiastica. Per chi se lo fosse perso, L’abisso sarà di scena al Teatro del Loto di Ferrazzano oggi, 31 marzo, e domani, 1 aprile.

Spettacolo l'abisso al Fulvio

Presenti, tra il pubblico, anche alcuni ospiti del centro di accoglienza della vicina Campomarino, accompagnati dagli operatori. Visibilmente emozionati e anche felici per i tanti che hanno testimoniato con la loro presenza di non voler ignorare il loro, personale, dramma.

Chef Bobo Spettacolo l'abisso al Fulvio

Anche loro hanno preso parte all’ormai consueto appuntamento del dopo-teatro nel foyer. E degustando la minestra di farro con funghi porcini e curcuma preparata e servita dallo chef Bobo Vincelli, sorseggiando i vini della cantina Terre Sacre di Montenero di Bisaccia, c’è stata anche la preziosa occasione di dialogare con Enia e Barocchieri. Si è concluso così il terzo, memorabile appuntamento con la Stagione Teatrale 2019.

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