La testimonianza

Venezuelani in Molise: “Mio padre ucciso per un paio di scarpe. Maduro se ne deve andare, elezioni libere”

Costantina De Santis e Joseph Spatuzzi, venezuelani di origini italiane, raccontano durante la loro permanenza a Termoli la grave crisi che sta vivendo la nazione sudamericana. “Guaidò non si è autoproclamato come dicono, ma l’ha fatto rispettando la Costituzione. Siamo una nazione prospera, con la democrazia torneremo a essere una potenza”

Ha dovuto lasciare la sua casa, la sua famiglia, tutto quello che aveva costruito. Oggi vive ad Aruba, isola appartenente ai Paesi Bassi situata nell’oceano Atlantico, non distante dal suo Venezuela. Joseph Spatuzzi, 38 anni, avvocato, è uno dei tanti esuli che hanno dovuto lasciare Caracas e dintorni per paura di morire da un giorno all’altro per qualche spicciolo. “Suo padre è morto, gli hanno sparato per rubargli un paio di scarpe e una tv” confida Costantina, sua suocera, 67 anni e origini molisane. Insieme i due hanno trascorso pochi giorni di vacanza a Termoli, dove hanno acconsentito a un incontro con Primonumero.it per spiegare a cuore aperto cos’è il Venezuela di oggi. Una chiacchierata intensa, prima di una tappa in Spagna dove vive Lucia, moglie di Joseph, che di mestiere fa la giornalista e che all’indomani dell’uccisione del suocero è scappata in Galizia.

È una famiglia disgregata, come centinaia di migliaia di altre che il Venezuela ha perso, si spera solo temporaneamente, a causa di una gravissima crisi economica e democratica. “Più di 6 milioni di persone hanno lasciato il Paese per la crisi economica” rivela Joseph. Inizia la chiacchierata facendo da sostegno, anche linguistico, a Costantina, ma quando si passa a parlare della situazione politica emerge tutta la sua passione per il suo Paese.

Tiene da parte invece la sofferenza personale per una perdita così importante e ancora fresca, accaduta appena sei mesi fa. “C’è tristezza per tante famiglie disgregate” dice questo 38enne avvocato che si è dovuto reinventare trovando lavoro nel settore legale di un’azienda di movimento terra.

È la signora a spiegare con un semplice gesto cosa significa vivere in un Paese nel pieno di una gravissima crisi economica e sociale. “Questi me li tolgo appena arrivo in Venezuela” dice la signora originaria di San Martino indicando i suoi orecchini. Un gesto semplice, quasi automatico per una donna in Italia, è divenuto tabù in Venezuela. Ma non è solo quello. “Abbiamo una pizzeria nello stato del Sucre, ma le materie prime non si trovano più. La farina deve arrivare dall’estero, costa molto e finisce presto. Idem per pomodori, mozzarella, peperoni. Nei supermercati non c’è più nulla, gli scaffali a Natale erano vuoti”.

Venezuelani

In una crisi così acuta, la criminalità è cresciuta a livelli inimmaginabili. “Si spara per rubare qualsiasi cosa” afferma la donna, mentre il genero mostra un dato. Secondo le Ong la nazione al centro dell’attenzione internazionale avrebbe registrato oltre 23mila morti violente nell’ultimo anno. E la polizia? “Corrotta” replica Joseph. “Se qualcuno viene arrestato, dopo 5 o 6 giorni torna libero” interviene la signora. “Quando siamo arrivati qui – prosegue – dormivamo con la porta aperta. Quando c’era il presidente Jimenez (anni Cinquanta, ndr) nessuno ti toccava. Con Hugo Chavez sono arrivati i problemi”.

Quella di Costantina è una vita di sacrifici, come quella di milioni di emigranti. Partita nel 1955 che era ancora una bambina, ricorda gli inizi difficili e il primo rientro in Italia, a 9 anni d’età. “Mamma piangeva tutti i giorni, le mancava l’Italia. Papà insisteva per rimanere ancora un po’ e mettere da parte dei soldi. Siamo tornati nel 1964 e papà non parlava, mamma invece era contenta. Ma mio padre non aveva lavoro e decise di ripartire dopo pochi mesi. Mamma non voleva ma è andata con lui per paura di perderlo. Siamo ripartiti tutti, compresa io e la mia gemella”.

Poi, a 22 anni, Costantina e sua sorella sono state di nuovo a San Martino. “Papà era disposto a vendere tutto e tornare in Italia se avessimo trovato il fidanzato, ma non se n’è fatto niente”. Così la vita è proseguita in Venezuela ininterrottamente fino al 2019, quando appunto la 67enne ha potuto rivedere il suo paese e riabbracciare la sorella di latte Adele, che l’ha ospitata a Termoli.

Nel Sucre (estremo nordest del Paese, ndr) la famiglia di Costantina ha gestito un supermercato e ora una pizzeria, ma lei ha lavorato anche come parrucchiera. Nel frattempo ha avuto quattro figli: Matteo che possiede una rivendita e officina di auto, Vincenzo che lavora per una compagnia petrolifera, Lucia che è da poco emigrata in Spagna e la più piccola e unica ancora non sposata, Antonella che è farmacista.

Una bella vita, resa felice anche dall’arrivo di sei nipotini. Ma negli ultimi anni le cose sono cambiate, a cominciare dall’elezione nel 1998 di un presidente che ha dato una svolta fortemente socialista al Paese, impostando una politica che ha preso poi il nome di Chavismo, fortemente in contrasto col capitalismo occidentale e in rotta con gli Stati Uniti, di cui il presidente venezuelano divenne acerrimo nemico.

Lui ha vinto le elezioni democraticamente, ma dopo un paio d’anni di presidenza l’economia ha iniziato ad andare in crisi. Ha voluto copiare Cuba ma non ci è rimasto niente. Qualcuno dice che la colpa è tutta di Maduro, ma i guai sono iniziati con Chavez” dice Costantina. Per lei l’attuale presidente “è un bugiardo. Fa credere ai poveri di dar loro da mangiare per comprare i voti. Purtroppo la gente ci crede. Promette di aumentare le pensioni e poco dopo i beni raddoppiano di prezzo”.

Joseph è d’accordo. “La crisi economica risale al 2010 più o meno, poco prima che Chavez iniziasse a stare male. Dopo di lui è arrivato senza elezioni Nicolas Maduro, un imbroglione. Fa promesse che non mantiene, ha corrotto la polizia e non permette che arrivino aiuti umanitari. Se ne deve andare”. La spiegazione del 38enne avvocato di origini italiane dell’attuale situazione politica è differente rispetto a quella fornita dai media italiani.

Quella di Juan Guaidò non è un’autoproclamazione. La Costituzione del Venezuela prevede che in caso di elezioni illegittime il Presidente del Parlamento debba giurare come Presidente della Repubblica e ci sono trenta giorni per convocare le elezioni per un nuovo governo. Questo è successo. Le scorse elezioni sono state convocate a maggio e non a dicembre, come previsto. Sono state elezioni false, convocate in maniera fraudolenta, con candidati fantoccio, senza gli esponenti dell’opposizione. Per questo non sono legittime”.

Tuttavia il legale non sembra serbare rancore per chi oggi detiene il potere. “La mia opinione personale è che Maduro debba farsi da parte e ci debba essere una amnistia. Il Paese deve riconciliarsi. Guerra civile? Non credo, siamo un Paese pacifico, l’ultima guerra civile risale a oltre 200 anni fa. E poi il 90 per cento dei venezuelani è contro il presidente”.

Non c’è il rischio che il capo del governo conservi il controllo dell’esercito e della polizia? “Non credo. Solo una minima parte dei militari sta con lui, coloro che si sono arricchiti. Ha un controllo più mediatico che reale, perché i militari vivono la situazione del Paese come la viviamo noi. Non hanno da mangiare, non hanno di che vestirsi. Nell’ultimo mese più di 400 militari sono stati incarcerati perché non stavano con Maduro. Pensa quanti altri non parlano per paura di ritorsioni”.

Le cose sembrano sul punto di cambiare da un giorno all’altro. “Non sappiamo se Guaidò sia meglio di chi comanda oggi. Lui però ha un gran cuore, è alleato del leader Leopoldo Lopez, ed è stato designato come presidente del Parlamento con oltre il 70 per cento dei voti dell’assemblea”. Le richieste del popolo, secondo la visione di Joseph, sono tre. “La fine dell’usurpazione di Maduro, un governo di transizione ed elezioni libere. Oltre 100 Paesi del mondo l’hanno chiesto, mentre 70 hanno riconosciuto Guaidò come presidente”.

Fra questi ultimi non c’è l’Italia. “Sì ma il governo italiano ha detto chiaramente che servono elezioni libere, non organizzate da Maduro. Solo la Russia e un paio di Paesi sudamericani dell’estrema sinistra quali Bolivia e Nicaragua non chiedono elezioni. Per il resto penso che l’Italia non voglia interferire. I problemi dei venezuelani devono risolverli i venezuelani. So che ci sono Paesi che potrebbero essere interessati alle nostre ricchezze, come petrolio, oro, diamanti. Il Venezuela è una terra fertile, ricca, ma ci dobbiamo risolvere le cose da soli. Mi piacerebbe avere un governo come quello italiano, che pensa alla gente. Vedo un’Italia in cui si sta bene, con le regole e il libero mercato”.

Il 38enne gesticola, cerca di farsi capire grazie a un traduttore simultaneo, spiega le sue ragioni e quelle di un popolo che soffre. Ma al tempo stesso si rivela speranzoso per il futuro del suo Paese. “Tornare per votare? Sì, lo farei subito. Mi piace la politica, credo nella democrazia. Il Venezuela deve tornare a essere una potenza. Abbiamo risorse, una terra fertile, solo due stagioni, la possibilità di coltivare tante cose differenti. Negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta sono arrivati in Venezuela più di 3-4 milioni di persone da tutto il mondo. Fateci caso: gli immigrati italiani, portoghesi, spagnoli, in gran parte hanno fatto fortuna. Questo perché la nostra è una terra prospera”.

A proposito di italiani, il 38enne avvocato ci tiene a rimarcare “la forte connessione, la vicinanza con gli italiani, che fra nativi e discendenti sono circa 450mila (le cifre ufficiali sono discordanti, anche per via di cancellazioni dal registro degli italiani all’estero in questi ultimi anni, ndr). Gli italiani sono gran lavoratori, ci hanno insegnato tanto. Condividiamo con loro l’allegria, gli usi, le tradizioni. Quando gli azzurri hanno vinto i Mondiali nel 2006 abbiamo fatto festa con caroselli di auto come mai è successo per altre Nazionali”.

La speranza di una rinascita fa da contraltare ai normali timori. Anche gli altri figli dell’emigrata sammartinese stanno facendo le pratiche per un possibile rientro in Europa se le cose dovessero precipitare. Anche se nessuno vorrebbe lasciare il Paese, nemmeno Costantina. “Tornare in Molise? E che faccio qui da sola? I miei figli sono tutti in Venezuela, la mia vita è lì”.

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