Campobasso

Ianno come Cucchi, per gli avvocati “il primo morto per abbandono, il secondo per le botte”. Ora i risarcimenti

"Se fosse stato fuori dal carcere sarebbe andato subito al Pronto soccorso, in cella invece non hanno capito la gravità della situazione né l'hanno compresa medici e infermieri, lasciandolo al suo destino", dicono i legali Tolesino e Veneziano che hanno inoltrato la richiesta di risarcimento al Ministero della giustizia, alla Casa di Reclusione di via Cavour e all'Asrem Molise

In sede penale il caso è stato archiviato. Ma quella porticina rimasta aperta per avere giustizia almeno in sede civile, i familiari di Ianno hanno intenzione di aprila tutta e tentare il possibile  per vedersi riconoscere le ragioni che la giustizia ordinaria invece ha chiuso.

Quindi dimostrare che “il carcere di Campobasso secondo quanto denunciato non aveva le attrezzature per far fronte al caso clinico in questione – spiega l’avvocato Silvio Tolesino che con il collega Antonello Veneziano sta curando il caso –  e che non è stato consentito un rapido intervento che potesse salvargli la vita”.

Da qui la scelta nei prossimi giorni di inviare al Ministero della Giustizia, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, alla Casa Circondariale e di Reclusione di Campobasso e all’ Azienda Sanitaria Regionale del Molise una richiesta di risarcimento danni per la morte di Alessandro Ianno, avvenuta il 19 marzo del 2015 nel carcere di Campobasso.

I due legali rappresentano le istanze dei fratelli e della madre del detenuto.

Alessandro Ianno aveva 34 anni. Era in carcere quando il 19 marzo di tre anni fa alle 17 (ora di constatazione del decesso da parte del personale del 118) a causa di un’ischemia cardiaca ebbe un arresto cardiocircolatorio.

Ma il 34enne lamentava dolori “fin dalle prime ore della stessa mattinata  come confermato dai numerosi altri detenuti entrati in contatto con il malcapitato”.

A mezzogiorno di quel giorno “aveva chiesto aiuto al personale, il quale senza nessuna visita medica o richiesta di precisazione sulle caratteristiche dei sintomi lamentati, si limitava a recapitargli un farmaco per il trattamento dell’ ulcera duodenale e gastrica e della esofagite da reflusso”, spiega Tolesino.

Alle 13.30 visto il dolore persistente Ianno chiese di nuovo aiuto. Questa volta  al medico di turno, che assieme ad un collega controllò la pressione e la frequenza cardiaca “senza nessuna visita o raccolta anamnestica del dolore persistente”.

Quindi ancora i dolori attorno alle 16. “Dolore al petto ed al braccio sinistro”, hanno raccontato gli altri detenuti. E una nuova visita infermeria.

Ma proprio mentre lo stavano accompagnando in infermeria, Alessandro Ianno si accasciò a terra privo di sensi.

“Il medico che lo aveva visitato poco prima diede allora corso alle manovre di rianimazione cardiopolmonare, senza tuttavia nessuna annotazione di somministrazione di farmaci, del ritmo cardiaco registrato, di un eventuale monitoraggio elettrocardiografico, di un elettrocardiogramma o di un Dc shock” spiega l’avvocato.

E quando arrivò il personale del 118 le contrazioni ventricolari cardiache “purtroppo erano già in arresto e nemmeno la somministrazione da parte di questi ultimi sanitari di due fiale di adrenalina riuscì più a rianimarlo”.

Alle 17, quindi, Alessandro Ianno fu dichiarato ufficialmente deceduto,

L’anomalia? “A distanza di ben 5 ore dalla prima richiesta di aiuto e dall’esordio dei sintomi – spiegano i due legali leggendo la nota inviata per la richiesta di risarcimento – , dal diario infermieristico risulta una somministrazione insulinica risalente alle successive ore 18,30”.

E citano anche che “a prescindere dalla loro figura di medici incaricati, medici tutti sono venuti meno entrambi agli obblighi di garanzia della salute dello sventurato, per i quali, invece, sono stati regolarmente retribuiti dalla Struttura di appartenenza che, pertanto, risponde del loro operato a titolo di responsabilità per fatto degli ausiliari (art.2049 cod.civ.)”.

Per i legali dunque l’unico dato oggettivamente assodato è quello relativo alle cause del decesso. E cioè che è “è stato accertato dal consulente tecnico del pm a seguito di esame autoptico che il detenuto moriva a causa di una sofferenza coronarica (evidentemente non improvvisa, alla luce del numero di ore trascorse dai primi segnali di allarme) che ha comportato un’aritmia ventricolare che, a sua volta, ha determinato l’arresto cardiocircolatorio in un soggetto già affetto da ipertrofia ventricolare sinistra” e quindi tutti “segnali avrebbero dovuto indurre i sanitari di turno a procedere, pur nell’indisponibilità di validi strumenti diagnostici di cui è chiamata a rispondere la struttura carceraria, ad accertamenti diretti sul paziente detenuto (visita con auscultazione) ovvero anche solo a richiedere l’immediato trasferimento esterno presso il pronto soccorso ospedaliero della città, al fine di rivelare l’effettiva causa (cardiaca, non già gastrica) del dolore sospetto segnalato e, quindi, dell’aritmia ventricolare che ha determinato l’arresto cardiocircolatorio”.

Tolesino e Veneziano fanno presente che sia il consulente tecnico del Pm che i Gip  in sede penale sono stati tratti in errore “sulla base dell’errata valutazione che trattasi di ‘una patologia asintomatica non desumibile dal solo bruciore allo stomaco’ (si legge testualmente), a fronte invece di una letteratura medica che, al contrario, individua nel descritto dolore (angina) il segnale premonitore sintomatico proprio dell’inizio di una sofferenza coronarica (non sempre evolvente in infarto)”.

Quindi per gli avvocati la famiglia di Alessandro Ianno ci si trova, in definitiva “al cospetto di una condotta omissiva medica caratterizzata, a prescindere dalla sua rilevanza penale, da un evidente grado di colpa rispetto all’evento mortale oggetto di addebito, oltreché causalmente incidente sul verificarsi del detto epilogo, aggravata dalla indisponibilità degli indispensabili strumenti diagnostici e salvifici di cui la Struttura carceraria era priva”.

Da qui la richiesta affinché (tutti gli interessati dalla raccomandata) provvedano, in via solidale e ciascuno per la propria responsabilità “all’immediato risarcimento del danno non patrimoniale risentito, identificabile nelle atroci sofferenze e nei patemi d’animo cagionati dalla prematura ed improvvisa perdita del caro fratello, immediatamente ricorrelabili all’illecito descritto, oltre che nella lesione del diritto all’intangibilità delle relazioni familiari”.

Se non avranno risposta entro trenta giorni “si procederà come per legge”.

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