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Disturbi dell’autismo, la Corte Costituzionale dichiara illegittima la legge regionale

Con la sentenza 247 del 2018, i giudici hanno “bocciato” il testo approvato nell’ottobre del 2017. Diverse le incongruenze rilevate: alcune disposizioni, tra l’altro, “interferirebbero in modo significativo ed illegittimo con il mandato del Commissario ad acta”.

Il settore della Sanità regionale ancora una volta tasto dolente del territorio. Un altro “colpo” al comparto è arrivato nelle scorse ore dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza n.247 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità della legge “Disposizioni regionali in materia di disturbi dello spettro autistico e disturbi pervasivi dello sviluppo” del 24 ottobre 2017, n. 16. 

Il testo del documento regionale, nel dettaglio, prevedeva azioni mirate alla piena integrazione sociale, scolastica e lavorativa delle persone portatrici del disturbo dello spettro autistico e dei disturbi pervasivi dello sviluppo, anche attraverso la promozione di programmi di screening, l’adozione di “metodi e interventi diagnostici, terapeutici, educativi, abilitativi e riabilitativi validati dall’Istituto Superiore della Sanità e le buone pratiche realizzate in altre regioni”. 

A stoppare la legge, però, è stato appunto l’intervento delle Corte Costituzionale.

I giudici, nelle premesse presentate, hanno ricordato come la “Regione Molise, a seguito del verificarsi di una situazione di disavanzo nel settore sanitario, suscettibile di compromettere l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), il 30 marzo 2007 aveva stipulato, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, un accordo con il Ministero della salute e con il Ministero dell’economia e delle finanze, comprensivo di un piano di rientro dal disavanzo sanitario, che individuava una serie di interventi da attivare nell’arco del triennio 2007-2009, finalizzati a ristabilire l’equilibrio economico e finanziario della Regione”.

La mancata realizzazione degli obiettivi previsti dal piano di rientro quanto  dall’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, aveva dunque portato alla successiva nomina del Commissario ad acta.  Ed è proprio su questa figura e sul suo mandato che la Corte si è soffermata particolarmente.

Così come si legge nella sentenza, infatti, “l’Avvocatura generale dello Stato deduce che gli artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9 e 10, nonché l’intero testo della legge reg. Molise n. 16 del 2017, di cui assume il carattere omogeneo, interferiscono direttamente con le funzioni del Commissario ad acta (…) prevedendo interventi volti a garantire seppure limitatamente ai disturbi dello spettro autistico e del comportamento e alla disabilità intellettiva, l’erogazione di quei livelli essenziali di assistenza ai quali deve attendere lo stesso Commissario ad acta”.

Le disposizioni previste e, più specificamente, “l’istituzione di un’articolata rete assistenziale e la creazione di appositi centri residenziali e semiresidenziali per la cura dei soggetti affetti dai menzionati disturbi” interferirebbero cioè in modo “significativo ed illegittimo” con il mandato del Commissario ad acta. 

E infatti, si legge nella sentenza, “anche laddove tali misure dovessero trovare riscontro nelle previsioni del programma operativo, la competenza funzionale alla loro attuazione spetterebbe comunque al Commissario ad acta e non all’organo legislativo regionale”. 

C’è, poi, anche una questione attinente al piano di rientro. Le disposizioni inerenti agli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9 e 10, nonché all’intero testo della citata legge regionale “intervenendo in materia di organizzazione sanitaria senza rispettare i vincoli imposti dal piano di rientro dal disavanzo sanitario” darebbero luogo alla violazione dell’articolo 117 della Costituzione – e più precisamente del terzo comma del medesimo – perché si porrebbero in contrasto con i princìpi fondamentali della materia ‘coordinamento della finanza pubblica’ stabiliti dall’articolo 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009”.

Per la Corte, cioè, le disposizioni in esame riguardano l’offerta sanitaria e socio-economica nel campo della tutela della salute mentale e interferirebbero dunque con le azioni e gli interventi prioritari affidati dal Governo al Commissario ad acta.

Come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, la disciplina dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria è riconducibile, ai sensi dell’articolo 117 (terzo comma) della Costituzione “a un duplice ambito di potestà legislativa concorrente: la tutela della salute ed il coordinamento della finanza pubblica (citata la sentenza n. 278 del 2014)”.

La difesa dello Stato ha quindi contestato “le deduzioni svolte dalla Regione Molise con l’atto di costituzione in giudizio”, avvenuto Il 13 febbraio 2018, attraverso cui si sosteneva la legittimità costituzionale delle norme e dell’intero testo della legge impugnata, “ponendo in rilievo il loro carattere di indirizzo politico e programmatico, e la circostanza che la legge in esame non finanzia alcuna operazione”.

In particolare, la Corte ha confutato l’eccezione del carattere meramente programmatico della disciplina in questione, facendo notare che le norme impugnate avrebbero in realtà un impatto diretto sugli equilibri di bilancio in materia sanitaria. Inoltre, stabilisce la sentenza, “gli interventi previsti dalla legge regionale erano già contemplati e finanziati dai LEA”. L’articolo 11 della legge regionale n. 16 del 2017, a sua volta, “prevede prestazioni di natura sociale e non sanitaria e sarebbe illegittimo per contrasto sia con il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e di contenimento della spese pubblica, che vieta il finanziamento di spese di natura non sanitaria con risorse, come quelle nella specie, assegnate al Fondo regionale sanitario; sia con il principio secondo cui le Regioni sottoposte al piano di rientro dal disavanzo sanitario non possono effettuare spese non obbligatorie, quali quelle di natura sociale non sussumibili nei LEA”.

Gli specialisti della Corte, dunque, hanno ritenuto che tali disposizioni si pongono in contrasto con l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione perché “attenendo all’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA),in relazione ai disturbi dello spettro autistico e ai disturbi pervasivi dello sviluppo, di cui deve occuparsi il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Molise, interferirebbero direttamente con le funzioni del Commissario stesso”. 

In secondo luogo è stato evidenziato che le disposizioni della legge in questione, “intervenendo in materia di organizzazione sanitaria senza rispettare i vincoli imposti dal piano di rientro dal disavanzo sanitario” sarebbero in contrasto con i “princìpi fondamentali della materia ‘coordinamento della finanza pubblica’ stabiliti dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato’ (legge finanziaria 2010)”.

La norma è stata dunque impugnata perché, “in ragione della sua genericità, contrasterebbe con i princìpi di certezza ed attualità della copertura finanziaria”, con conseguente violazione dell’arti 81, terzo comma, della Costituzione. Prevedendo “interventi implicanti nuovi e maggiori costi non quantificati a carico del Fondo sanitario regionale di parte corrente, in quanto non coerente con la cornice programmatica già definita dal piano” il contenuto della legge lederebbe quindi gli articoli 81 (terzo comma) e 117 della Costituzione, “in relazione ai princìpi fondamentali della materia ‘coordinamento della finanza pubblica’”. 

Le motivazioni della sentenza, come già detto, hanno poi insistito in maniera peculiare sulla figura del Commissario ad acta, le cui  funzioni “come definite nel mandato conferitogli e come specificate dai programmi operativi (ex articolo 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009), pur avendo carattere amministrativo e non legislativo devono restare, fino all’esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali − anche qualora questi agissero per via legislativa“.

I giudici hanno inoltre fatto rilevare come illegittimità costituzionale della legge regionale “per violazione dell’articolo 120, secondo comma ‘sussiste anche quando l’interferenza è meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del commissario incaricato di attuare il piano di rientro’ (sentenza n. 14 del 2017)”.

In sintesi, dunque, le norme impugnate interferirebbero con il mandato del Commissario ad acta. L’ambito in cui si inscrivono gli interventi previsti dalla legge in questione “è appunto quello dei livelli essenziali di assistenza”: l’assistenza sociosanitaria, tra l’altro, alle persone con disturbi mentali e disabilità è ricompresa infatti tra i Lea grazie al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017.

In particolare, fa rilevare la sentenza, “sono garantite alle persone con disturbi dello spettro autistico le prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche”.

Le norme impugnate e l’intera legge regionale n. 16 del 2017, vertendo proprio su tali ambiti, “interferiscono, dunque, con il mandato del Commissario ad acta, mandato che impone proprio di assicurare l’erogazione di tali prestazioni garantendo il relativo servizio”.  La Corte Costituzionale, sulla base di queste motivazioni, ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge regionale del 24 ottobre 2017, n. 16, “Disposizioni regionali in materia di disturbi dello spettro autistico e disturbi pervasivi dello sviluppo”.

 

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