Operazione alpheus

Cocaina, l’affare degli albanesi in Molise. Giovedì gli interrogatori dei boss cugini

I cugini che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, volevano occupare le piazze di spaccio del BassoMolise e i sodali molisani e romeni. Giovedì mattina a Palazzo di Giustizia saranno ascoltati tre dei 6 arrestati nell’operazione Alpheus 1, i cugini Lecini e Algin Kaja.

Due cugini al vertice. E le rispettive compagne coinvolte con ruoli “importanti” nel sodalizio. Un sodalizio che per gli inquirenti è una associazione a delinquere di stampo mafioso, di matrice albanese-molisana. Sono entrambi in carcere, a Larino, i Lecini. Xhevahir, 36 anni , e Gurim, 29. Erano entrambi in prova ai servizi sociali, la loro storia di piccoli delinquenti arrivati in Italia diversi anni fa era nota alla magistratura, che ha dato loro credito. Una fiducia tradita. Sono stati arrestati con altre quattro persone, fra cui la moglie di Xhevahir e la compagna di Gurim. La prima è italiana, ha la residenza a Termoli. L’altra invece è albanese.

L’operazione Alpheus 1, condotta dal raggruppamento speciale dei carabinieri su mandato della Dda di Campobasso, a messo in evidenza il “salto” tentato dai giovani cittadini albanesi proprio in Molise, dove la piazza della droga è ancora relativamente libera dai tentacoli di clan autoctoni. Loro, dopo esperienze di furtarelli e piccolo spaccio, volevano “occupare” quel vuoto che ancora resiste nel mercato locale. Gli investigatori ne sono certi.

Il Molise, anzi i molisani, la cocaina e l’eroina vanno a prendersela fuori regione, in genere in Puglia, nella zona di Foggia e San Severo, oppure a Pescara, dove sono particolarmente attive le famiglie rom che gestiscono l’affare degli stupefacenti. Gli spacciatori molisani sono l’ultimo anello di una catena che comincia col narcotraffico internazionale delle grandi mafie e finisce nelle piccole piazze locali attraversando passaggi intermedi.

Probabilmente – è la ricostruzione dei magistrati – i cugini albanesi, con alcuni connazionali e pedine molisane nel ruolo soprattutto di informatori e “galoppini”, intendevano mettere le mani sul mercato della droga costiero, spodestando gradualmente i pusher intermedi che invece fanno approvvigionamento in Puglia, soprattutto di cocaina. E per farlo avrebbero stabilito un canale di rifornimento direttamente con l’Albania, dalla quale veniva importata cocaina di buona qualità che quindi veniva tagliata, “gonfiata” e rivenduta al doppio, a volte anche al triplo del suo valore.

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Tra tutte le droghe, la cocaina è la più redditizia. Quella che consente un guadagno maggiore proprio perché si presta a essere tagliata due, tre, quattro volte. La prassi in uso di cederla in piccole dosi, un quarto di grammo e ance meno, consente di abbassare ulteriormente la qualità e incrementare i guadagni. Per i magistrati di Campobasso, che hanno studiato le conversazioni registrate nel casolare  di Portocannone trasformato in base logistica dall’associazione criminale, nelle quali si parla proprio di questi “argomenti”, l’obiettivo dei cugini Lecini e dei loro sodali, fra cui romeni e italiani col compito di soddisfare, attraverso la droga albanese trattata e confezionata in Molise, le piazza di Campomarino, San Martino e Termoli.

Le donne, sempre sulla base della ricostruzione degli inquirenti, avrebbero avuto un ruolo determinante. La moglie e la compagna dei cugini, veri boss dell’organizzazione, si occupavano delle consegne più rischiose, di fare le dosi e di convincere i debitori a pagare con le buone, lasciando intendere che dopo di loro sarebbero arrivati metodi persuasivi meno gentili. La sorella di Gurim, che viveva con lui, era invece una gregaria. Giovanissima, era addetta alle consegne.

Ovviamente tutto da provare e verificare in aula. Per il momento però le accuse sono gravi, e la Dda è certa di avere in mano indizi rilevanti e in gran numero.

Agli arresti è finito anche un altro albanese, Kaja Algin di 34 anni, residente a Campomarino. I Lecini e Kaja saranno interrogati domani alle 11 e 30 nel Tribunale di Larino. Sono difesi, come pure gli altri indagati ora in carcere o con divieto di residenza in Molise, dal penalista Pino Sciarretta del foto di Larino.

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