L'Ospite

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Stati generali del turismo e della cultura – La riflessione del vescovo

Carissimi, bisogna non contentarsi di obiettivi mediocri, ma si deve puntare alla misura alta della vita politica.

Si dice che un politico guarda alle prossime elezioni e lo statista al bene comune.

Quando a prevalere è l’intenzione utilitaristica e l’affermazione della propria parte, accade che si verifica quanto Papa Francesco afferma in rapporto al fenomeno della corruzione e di una sbagliata scelta economica: il pane di oggi diventa la fame di domani.

In questi anni di servizio in mezzo al nostro popolo della nostra terra basso-molisana, ho avuto l’impressione che sia molto difficile – fino quasi a risultare impossibile – promuovere, nella concertazione socio-politica, quel clima critico che consenta di fondere i differenti approcci in quell’unico flusso di consenso, necessario per la realizzazione di progetti di grande portata.

Ho costatato, piuttosto, irriducibili disparità di pensiero, gravi dispersioni di energie, mancanza di convergenze costruttive, forti contrapposizioni di interessi di parte che portano a pensare e progettare a corto raggio, e ad abortire tutto quello che va oltre l’interesse del proprio campanile.

Se dovessi descrivere un’epidemia virulenta che da tempo contagia larghi strati della nostra popolazione, parlerei della frammentòsi: sindrome sociologica – causata da una forte tendenza alla parcellizzazione individualistica – che, purtroppo, ha già causato seri danni e che, mi auguro, nel prossimo futuro possa essere efficacemente combattuta con il vaccino della solidarietà convergente.

Farmaco, questo, da distribuire in robusti dosaggi: non solo tra politici e amministratori, ma pure tra la gente comune e che richiede un autentico salto di qualità, un passaggio che chiamerei di conversione.  Riponiamo fiducia nelle nuove generazioni, se educate ad un impegno politico, inteso come la più alta forma di carità (Paolo VI). Mi auguro e spero con forza che questa, come altre analoghe iniziative,  promosse dalle istituzioni, passano attivare anticorpi che reagiscano a tale epidemia.

Inoltre, bisogna diventare progressivamente maestri nell’applicare la “grammatica” del dialogo. Occorre esercitarsi nell’ascolto della verità, nell’amore sincero all’altro, nel confronto che guarda sempre e comunque al bene comune. Si, bisogna imparare a promuovere l’unità degli sguardi. Il che vuol dire: pur muovendo da prospettive diverse, mantenere gli occhi fissi sugli stessi obiettivi, proprio perché ritenuti essenziali. Si tratta certamente di un’operazione non-indolore, poiché la tutela degli interessi di tutti spesso richiede la prontezza di lasciarsi alle spalle il tornaconto individuale o di parte.

Una cosa che occorre rafforzare continuamente è l’atteggiamento di pacatezza e di equilibro nelle discussioni, anche accese, come nella gestione dei problemi.

La discussione, per avere la dignità di agorà politico, deve poggiare su un denominatore comune, che va garantito da ogni interlocutore: la ricerca perseverante del bene e la dichiarazione leale del vero, come l’adesione alla realtà. Perciò, il dibattito non deve mai scadere nella contrapposizione tendenziosa e nel diverbio rissoso. Una posizione non deve mai essere ‘contro’ ma sempre ‘a favore’, in fondo a favore dell’uomo, di ogni uomo.

L’unica battaglia vera che tutti dobbiamo ingaggiare, nessuno escluso, a cominciare da me,  è quella contro il proprio egoismo. Tale volontà di tensione etica mi spinge a sostenere che, anche nella vita pubblica, la legittima e, sotto molti aspetti, doverosa citazione dei meriti acquisiti sul campo, va accompagnata dalla altrettanto irrinunciabile confessione sociale delle proprie mancanze, e dal riconoscimento degli errori commessi.

Dobbiamo imparare a coniugare a trecentosessanta gradi i verbi sbagliare e valere.

Il primo lo coniughiamo il più delle volte per gli altri (tu, voi, egli, loro) e il secondo riferito a noi stessi: io valgo, noi valiamo.

La saggezza classica diffidava di questo credito perentorio ed autoreferenziale, poiché scriveva il poeta Orazio: «l’amore per se stessi è cieco».

E’ saggio migliorarsi ogni giorno nell’arte di guardarsi anche “da fuori”, lasciandosi incontrare dagli occhi degli altri. Prendere sul serio l’opinione del prossimo e capirla bene, senza cestinarla affrettatamente, è saggezza: cristiana e umana.

Ecco carissimi, ho voluto parteciparvi queste mie considerazioni, che certamente non entrano nel merito del tema trattato e nella determinazione delle scelte operate in ordine alla promozione del turismo e della cultura nel nostro Molise,  esse nascono da oltre dodici anni di condivisione reale e concreta con questo popolo e questa terra molisana, e  offro come un contributo alla riflessione e alla intonazione della mente e del cuore perchè si possa, insieme, contribuire al Bene di questa terra e di questa gente, attraverso scelte e azioni concrete e progressive inserite in un progetto globale e condiviso per la crescita dell’intero Molise. Onde evitare che il pane di oggi, diventi la fame di domani”.

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