La mafia pugliese

Scacco matto al clan Nardino: ‘fittava’ le case della droga in Molise

Nell’operazione di polizia condotta a San Severo figurano due nomi che erano finiti nell’indagine dei carabinieri di Campobasso ad ottobre scorso quando, coordinati dal procuratore capo Nicola D’Angelo smantellarono gli appartamenti tra Campomarino e il capoluogo dove affiliati della mala pugliese tagliavano e dividevano in dosi eroina, cocaina e marijuana

La ricostruzione di quel mondo nuovo relativo allo spaccio e alle sue dinamiche che da tempo si affaccia con fare insistente e pericoloso sul nostro territorio e  ratificata meno di un mese fa in “Operazione Lungomare” (condotta dai carabinieri del Nucleo operativo di Campobasso coordinati dal procuratore capo Nicola D’Angelo), trova riscontro in molte delle pagine e in alcuni dei nomi che compongono l’ordinanza pugliese emessa dalla procura di Foggia per provvedimenti restrittivi a carico di 14 persone.

In Puglia quella che si è conclusa ieri – 27 novembre – è la risposta dello Stato al cruento omicidio avvenuto una settimana fa a San Severo dove nel salone di un barbiere è stato ucciso il 58enne Michele Russi, detto Lilino Coccione.

Morte che ha segnato la fine degli storici boss di San Severo e ha aperto l’ascesa al potere di nomi e volti nuovi. Leve del crimine in lotta fra di loro per conquistare la leadership nel traffico degli stupefacenti.

Nell’ultima relazione della Dia, infatti, i pm scrivono: “Nella mafia di San Severo, caratterizzata nel recente passato, da una pluralità di sodalizi autonomi coesistenti (Testa-Bredice, Russi, Palumbo, Salvatore ex Campanaro e Nardino), si continua ad assistere ad un processo di ascesa da parte di alcuni gruppi, che si starebbero progressivamente affermando su altre consorterie nel controllo delle attività illecite”.

E questa mafia è la stessa che in Molise affittava case per organizzare lo spaccio fino ad un mese fa, “arruolava” uomini e donne per le strade di Termoli, Campomarino, Larino e Campobasso.

E’ la stessa mafia per la quale l’operazione “Lungomare” ha confinato ai domiciliari la moglie del boss Ciro Di Rita (che organizzava lo spaccio negli appartamenti molisani) che ieri, però, è stata rinchiusa in carcere. Ha anche portato in cella un altro uomo – in Molise – che il Gip, ad ottobre scorso, aveva deciso di denunciare a piede libero.

Infine ha condotto in va Cavour un 51enne pugliese che – seppure non indicato nelle mille pagine dell’ordinanza molisana – in regione si trovava per disintossicarsi, ospite di una comunità di recupero.

La donna è Maria Marolla Soccorso. La ‘first lady’ del traffico in provincia di Campobasso. Classe 1983, moglie di Ciro Di Rita “capo indiscusso dell’associazione” che aveva infiltrato il territorio molisano.

Per il procuratore D’Angelo, Maria Marolla “trasportava i turnisti a Campomarino” (coloro che controllavano gli appartamenti dove veniva tagliata la cocaina, l’eroina e suddivisa anche la marijuana). “Vendeva la sostanza, la trasportava da San Severo alla provincia di Campobasso e controllava l’operato” delle leve molisane.

Donna disposta a tutto per il marito. In diverse occasioni si è addebitata la colpa per “salvarlo” e anche per i suoi figli ha scelto l’attività criminosa.

“Tutta la vita di Maria Marolla è fondata sullo spaccio”, nessun accadimento le ha fatto cambiare idea, neppure quando in alcune occasioni per lei è scattato l’arresto. “Tutto lascia pensare che abbia sempre continuato nella sua attività in forma organizzata ed associata”.

In Molise la magistratura pensa di confinarla agli arresti domiciliari: è madre di una bambina piccola, anche se non esita a nascondere la droga persino nel fasciatoio o nel passeggino. In casa ha continuato a vendere droga e quindi ad ottobre oltre alla detenzione domiciliare le è stato applicato il braccialetto elettronico e il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che vivono con lei.

Mentre su Campobasso si lavorava in questo modo, la squadra mobile di Foggia procedeva con un’altra indagine. E ancora lei tra i maggiori indiziati. Così  mentre i militari molisani le notificavano il provvedimento di restrizione, su di lei c’era già la richiesta della procura di Foggia per la reclusione in carcere. Eseguita ieri mattina.

Assieme a Maria Marolla c’è un altro pugliese che nell’operazione “Lungomare” compare semplicemente indagato ma che ieri invece è finito in carcere: Giuseppe Vistola, classe 1979, detto “Fafum”.

Il 40enne è stato sorpreso diverse volte nell’attività di spaccio. In un’occasione un consumatore confessa pure che se Vistolo non fosse stato a casa, sua suocera per dieci euro gli avrebbe dato tre bustine di marijuana. Anche in questo caso, dunque, un menage familiare dedito ai traffici illeciti.

Infine l’ordinanza notificata ieri in una casa di ricovero molisana a carico di Vincenzo Barra, classe 1967, detto “Zio Vincenzo”. Su di lui gravano diversi episodi di spaccio: in un caso la polizia ha relazionato sulla vendita di mezzo chilo di cocaina e in un altro caso ancora, gli investigatori raccontano dello smercio di 20mila euro di ‘polvere bianca’.

L’operazione della procura foggiana che ha colpito duramente esponenti collegati alla criminalità organizzata sanseverese (cioè il gruppo che fa capo a Franco Nardino a ai noti esponenti assassinati in maniera cruenta Nicola Salvatore e Michele Russi) ha consentito di privare gruppi mafiosi di elementi che erano particolarmente attivi sul territorio di San Severo e fin oltre i confini regionali.

Come – peraltro – avevano dimostrato il 31 ottobre scorso i carabinieri di Campobasso coordinati dal procuratore Nicola D’Angelo.

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