Oltre la politica

Residente a Termoli, nato a Vasto. Troppi parti fuori “per scelta”: i termolesi firmano la condanna a morte di Ostetricia

Il reparto di Ginecologia del San Timoteo chiude soprattutto “per colpa” della popolazione, che preferisce far nascere i bambini nella struttura di Vasto, dove grazie ai bassomolisani si superano gli 800 parti annuali. Nel 2017 i neonati di Termoli a Vasto sono stati 120: un dato che fa riflettere. Intanto entro novembre si chiederà una proroga alla chiusura del punto nascite, ma la situazione è difficile. Tra paradossi e contraddizioni

Un numero, prima di tutto. Nero su bianco. Ed è questo: 120. Sono i bambini residenti a Termoli nati all’ospedale San Pio di Vasto da gennaio a dicembre 2017.

120 parti dirottati fuori regione sono tanti, tantissimi. Probabilmente ad influenzare le scelte delle partorienti c’è la voce, insistente da tempo, della probabile prossima chiusura del punto nascite del San Timoteo. Ma non giustifica un simile “esodo”. In fondo il reparto termolese funziona, è aperto. Nel 2017, inoltre, anno di riferimento dell’ultima statistica disponibile, la sua chiusura non sembrava affatto imminente. “Se ne parla da tempo, è vero – confidano al secondo piano dell’ospedale di contrada Mucchietti – ma solo negli ultimi mesi la voce è diventata pressante”.

La domanda va posta: perché così tante famiglie scelgono di far nascere i proprio pargoli altrove? A Vasto, per esempio, dove grazie ai termolesi e ai bassomolisani in generale si superano in media gli 800 parti all’anno? Una risposta uniforme non c’è. Molte donne, interpellate in merito, non sanno con precisione cosa rispondere. Non parlano di mancanza di servizi, né evidenziano che a Vasto si opera in condizioni diverse da Termoli. In entrambi i reparti di Ginecologia, quello abruzzese e quello molisano, si praticano d’altronde gli stessi interventi e si affrontano le stesse problematiche.

La risposta, semmai, ha a che fare con la “percezione” che il reparto di Termoli sia in corso di smantellamento. Non è vero (“Siamo vivi e vegeti, non ci ha chiusi nessuno” commenta il facente funzione Bernardino Molinari, uno dei pochissimi ginecologi in servizio perché la mancata nomina di un Commissario straordinario alla sanità paralizza le assunzioni e i ricorsi alle graduatorie) ma la sensazione è questa. E allora, anche se una gravidanza dura “solo” nove mesi, si preferisce rivolgersi all’ospedale che dista poche decine di chilometri in linea d’aria.

D’altra parte, con circa 300 parti all’anno, il reparto di Termoli è destinato a chiudere i battenti. È il classico gatto che si morde la coda: i parti sono insufficienti rispetto al numero minimo richiesto (500) dal protocollo del 2010 confermato nel 2015. E un reparto “in odore di chiusura” dissuade dal partorire a Termoli. Il sillogismo è che, al di là delle scelte mirate, ormai da vent’anni a questa parte, a svuotare le strutture pubbliche molisane, Ostetricia Ginecologia del San Timoteo chiude proprio per i termolesi.

La politica, certo, ha fatto la sua parte giocando in questi anni un ruolo chiave nello smantellamento progressivo di molti servizi sanitari, posticipando chiusure di doppioni che dovevano essere fatte molto prima, disperdendo risorse preziose fino ad accumulare debiti milionari e sforare la spesa massima di parecchio, alimentando contestualmente campanilismi e privilegi di categorie. Dura da ammettere, ma è così: se oggi (per esempio) avessimo un unico ospedale a metà strada fra Campobasso e Termoli, antisismico e moderno, non staremmo qua a parlare di chiusure di reparti fondamentali. E probabilmente non saremmo nemmeno sotto Piano di Rientro. Ma queste sono fantasie. La realtà è ben più amara e oggi registra, fra le molte carenze, la concreta possibilità che l’area neo-natale di Termoli chiuda per sempre.

Piano di rientro, tagli al personale, reparti soppressi, diritto alla salute a rischio. Ma se è vero che il decreto Balduzzi è considerato il vero imputato nel processo della sanità locale perché è stato applicato alla lettera, è altrettanto vero che per mantenere in vita un reparto di ostetricia di un punto nascita in regione servono almeno 500 parti all’anno. Se ai 120 termolesi nati a Vasto durante il 2017 si aggiungono i circa 80 bambini residenti nei Comuni dell’hinterland (il dato non è preciso ma approssimativo) si arriva a 200 parti “delocalizzati”. Lo stesso numero che permetterebbe al San Timoteo di sopravvivere alla legge dei numeri, arrivando ai famosi 500 parti all’anno richiesti per la sopravvivenza del reparto.

Il provvedimento di chiusura continua a essere sollecitato dal Governo e dal Dicastero di Giulia Grillo, diventata mamma pochi giorni fa. La legge è chiara: un punto nascite al di sotto dei 500 parti non è sostenibile per i costi elevati che comporta, perché attivare un centro per 500 parti costa come attivare un centro per mille nati. Il dispendio di risorse economiche accelera un iter procedurale di dismissione del reparto contro il quale finora c’è stato un rigoroso silenzio, interrotto da poco e solo per il solito scaricabarile della politica che si addossa reciprocamente le colpe.

Il problema tuttavia, come evidenziano i numeri, si innesta proprio sulle scelte dei termolesi e dei molisani. A Isernia, per esempio, dove evidentemente la reazione collettiva all’ipotesi di chiusura  del punto nascite dell’ospedale Veneziale è stata forte e concreta, la chiusura è stata scongiurata proprio grazie alle “scelte” della popolazione locale e dei residenti delle aree limitrofe, anche abruzzesi. Ora i parti, che fino a due anni fa erano sotto i 400, hanno superato i 500.

A Termoli invece esiste un paradosso, rafforzato dal finanziamento per realizzare una nuova sala parto parto, all’avanguardia e con tanto di vasca per la nascita in acqua. I soldi sono stati reperiti e teoricamente potrebbero iniziare i lavori al 2^ piano dell’ospedale. Proprio mentre non si fa altro che parlare della chiusura del reparto.

Chiusura che la direzione sanitaria e amministrativa cercherà a tutti i costi di scongiurare, sebbene siano le partorienti, a questo punto, ad avere in mano il destino di Ostetricia-Ginecologica. Entro novembre l’ospedale chiederà al Ministero una deroga, avendo i requisiti necessari per ottenere l’eccezione, a cominciare dalle attrezzature e da un servizio assistenziale garantito con i turni di reperibilità 24 ore su 24.

A costo di un grande, enorme sforzo da parte dei medici. Nel reparto, dove il facente funzione è il dottor Bernardino Molinari, ci sono solo 4 ginecologi, di cui una in aspettativa. Facile immaginare il carico di lavoro. “Stiamo aspettando che si attinga dalla graduatoria per avere rinforzi” dicono loro. Cinque i medici ginecologi che sono stati assegnati al San Timoteo, ma nessuno li “pesca”. Perché? Non c’è il commissario alla sanità, manca ormai da sette mesi, e la sanità molisana è in stato di paralisi. Proprio nelle ultime ore è partita la diffida del Governatore Donato Roma al Governo centrale. 

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