Cronache

Picchiata e perseguitata dall’ex marito, ora rinviato a giudizio. “Così ho ritrovato la mia forza. Denunciate le violenze”

Una testimonianza di vita, di inferno e di rinascita, che arriva da una giovane donna di Campobasso. L’inferno del matrimonio, delle botte e dell’alcolismo, ma anche la rinascita “quando ho bussato agli uffici della Squadra Mobile”. Perché uscire dal tunnel degli abusi fisici e psicologici si può, si deve. E questo atto di ammissione e coraggio è la migliore dimostrazione possibile nel giorno che celebra la lotta alla violenza sulle donne.

“Caro Direttore, scrivo questa lettere che mi auguro lei decida di rendere pubblica perché il 25 novembre, giornata mondiale del ‘no’ alla violenza contro le donne io avrei qualcosa da raccontarLe”. Inizia così la testimonianza di una giovane donna molisana, residente a Campobasso, che ha scelto di mettere nero su bianco una dolorosa esperienza di violenza subita ma, fortunatamente, anche una storia di rinascita e aiuto.

Una lettera che non solo pubblichiamo, considerandola preziosa in questi giorni che precedono la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e fissata al 25 novembre, ma che ci auguriamo possa essere diffusa e rilanciata perché, in mezzo a tanta retorica, è una rara occasione di riflessione e condivisione “vera” di un tema molto più diffuso di quanto si possa immaginare. Ed è, purtroppo, il segno di un fenomeno allargato, che tocca e coinvolge tutte le fasce sociali e anagrafiche. Non aggiungiamo nulla a questo racconto, coraggioso e genuino, consapevoli che la testimonianza diretta è la più valida opportunità di cambiamento per tantissime donne che hanno bisogno di essere incoraggiate nella denuncia di abusi, fisici e psicologici.

“Scrivo non tanto per me, quanto per chi in questi anni non mi ha lasciata sola un istante e ha permesso che riemergesse dentro di me  quella forza che credevo ormai morta e sepolta.

Sono una vittima di stalking, di persecuzioni, molestie e violenza e qualora dovessero chiederLe il mio nome e cognome non avrei problemi , come non ho problemi a fornirle i documenti che non esito a consegnarLe. Ma in caso contrario preferirei che Lei conservasse i miei dati personali per non mettere in discussione la crescita dei miei figli ancora minori.

Non sto qui a dirLe perché mi sposai nel 2006. Inconsapevolezza,  ma anche l’urgenza di ‘regalare’ un sorriso a una madre ancora giovanissima malata di cancro. Per darle una sorta di spensieratezza che la distogliesse dalle terapia impietosa e dalla certezza, ormai conclamata, che la fine da lì a poco sarebbe arrivata.

In ogni caso mi sposai. Scarsi 18 mesi di fidanzamento, il matrimonio, tanti sorrisi e abbracci e poi l’inferno. L’inferno la sera stessa di quel dannato giorno. Quando mi accorsi che quel bicchiere di troppo, che sembrava di circostanza, era invece abitudine, dipendenza.

Mi ritrovai incinta a pochi giorni dal “Sì” e mi ritrovai pure a combattere  una dipendenza fino a quel momento sconosciuta: l’alcolismo. Piaga magistralmente nascosta esternamente da quello che per fortuna è ora il mio ex marito, ma prepotentemente presente tra le mura domestiche.

Un giorno sì e l’altro pure era una scommessa di sopravvivenza. Liti furiose per una sedia fuori posto o un cappotto poggiato sul divano piuttosto che nell’armadio. Umiliazioni continue, terrorismo psicologico, aberrazioni finanche sul rapporto simbiotico che mi legava a mia madre nel frattempo morta (circa 18 mesi dopo il matrimonio e la nascita di quel nipotino che lei tanto avrebbe voluto). Aveva soltanto 50 anni.

Sta di fatto che, io, più grande e perennemente appesantita da una responsabilità di “figlia maggiore ” che facevo mia a prescindere, ho nascosto ai miei familiari rimasti (pochi), dolori e sofferenze di un matrimonio che non era sostegno nei momenti difficili ma piuttosto peso insostenibile. Le violenze verbali si trasformarono in botte.

Ci fu un’avvisaglia prima delle nozze, ma non la considerai. Ci fu uno schiaffo da fidanzati, ma non gli diedi peso. Credetti stupidamente che si trattasse di un episodio isolato, dettato dall’ira. Era dettato invece dall’abitudine a farlo, e dalla dipendenza dall’alcol. Perché le botte diventarono frequenti, e sempre più forti. Fino a quando in ospedale dovettero ‘ricucirmi’ un timpano spaccato.

Arrivarono gli attacchi di panico. Arrivarono i medicinali “per tenermi buona”. Arrivò anche il momento in cui dissi a me stessa “basta”.  E dissi ancora a me stessa: “Meglio un figlio che cresce con una madre sana che con una madre depressa o suicida”. Ma poi arrivò anche lo stalking.  Quando chiesi il divorzio lo scoprii. Ebbi a che fare con questo “nuovo” reato.

Un amico, oggi diventato mio compagno di vita, mi invitò a tutelarmi. A rivolgermi alle forze dell’ordine. Ma sapevo che il mio ex marito, un insospettabile, benvoluto da tutti, mi avrebbe distrutta.

Ciò nonostante, il mio compagno non mi ha permesso di mollare. E un bel giorno bussai alle porte della questura di Campobasso. Mi mandarono alla Squadra Mobile. In quegli uffici, caro direttore, io ho ritrovato finalmente me stessa.

Ringrazio il capo della squadra mobile Raffaele Iasi per avermi ascoltata e indirizzata. Ringrazio l’ispettore Alessandro Bagnato, sempre presente in tutte le fasi successive delle aggressioni verbali e fisiche che ho subito. Ringrazio Luigi Santanelli e Piera Ferrigno, personale della Squadra mobile che come se fossi una loro familiare hanno ascoltato le mie paure, le mie ansie, i miei timori e per ognuno di questi d’animo hanno sempre avuto una risposta e un intervento pronto. Ringrazio anche Mario Oriente e ringrazio con una stima fuori misura il sostituto procuratore Rossana Venditti. Una donna, magistrato di ferro, che posso dire – per esperienza personale – come pochissimi è capace di combattere ciò che è ingiusto a prescindere da chi ha di fronte. In lei ho trovato sostegno ma anche critica quando ce n’era bisogno. Ho trovato la donna super partes capace di andare al di là di una banale denuncia, di preoccuparsi – nel caso specifico – di una donna in difficoltà e dei suoi figli, senza mai trascurare la ricerca della verità.

Ora il mio ex marito è stato rinviato a giudizio per stalking. So bene che è innocente fino al terzo grado di giudizio, ma un rinvio a giudizio è tale a prescindere. E per me, dopo anni di torture, è già una vittoria.

Al momento, condanne eventuali a parte, io mi sento di dire a tutte le donne di denunciare anche soltanto uno schiaffo. Perché uno schiaffo non resta isolato, non è mai l’unico. Sappiatelo: io ci sono passata.

E soprattutto mi sento di dire di “osservare”. A lungo. Di non aver fretta, neanche per fini nobili come consideravo il mio: sposarmi per regalare un sorriso all’unica persona importante della mia vita. L’amore non ha fretta. Arriva e si palesa piano piano e con delicatezza.

Voglio ringraziare il mio compagno per non aver permesso che rinunciassi a denunciare. Voglio ringraziare il mio avvocato. E voglio ringraziare la Procura della Repubblica, la Polizia di Campobasso e tante persone di cui non ricordo il nome perché lì, in quegli uffici della Squadra Mobile che spesso sembrano così distanti da noi, io, una qualunque, sono stata trattata come una di loro pur conservando loro, la necessità di appurare e verificare. Denunciate, denunciate. Chi picchia una volta, lo farà per sempre. Chi vi violenta psicologicamente tornerà a ripeterlo.

Si vive una volta soltanto, vivete quindi. Della violenza e del sopruso chiunque deve farne a meno. Questa non è vita, è eventualmente sopravvivenza. E non ne vale la pena.

I figli? Meglio crescano con la consapevolezza di dover denunciare un’ingiustizia e di lottare affinchè ciò che è giusto venga ripristinato e non con la paura, il terrore e la certezza che forse una sberla può risolvere tutto”.

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