Parola alle mamme

Ostetricia, i nati a Vasto, diritto di scelta e diritto ad avere un reparto in città: dibattito social dopo l’articolo

La notizia della prospettata chiusura del reparto di Ostetricia-Ginecologia dell’ospedale San Timoteo di Termoli legata anche alle scelte della popolazione residente a Termoli e in Basso Molise di partorire altrove, in primis dell’ospedale San Pio di Vasto, ha fatto discutere. E sta facendo discutere, soprattutto su Facebook che ormai da un pezzo è la piazza di confronto più gettonata.

Sono diverse le posizioni espresse, soprattutto delle donne che si sono sentite chiamate in causa e sono intervenute per dire la loro e offrire un punto di vista sulla vicenda, che ha posto l’attenzione sugli oltre 120 bambini residenti a Termoli nati nel corso del 2017 nella vicina Vasto.

Un numero emblematico, specialmente se rapportato a quello dei parti complessivi che annualmente si fanno nell’ ospedale di Termoli, e che a malapena raggiungono la cifra di 300. Insufficienti, quindi, ai sensi della legge, a garantire la tenuta in vita del reparto, visto che il tetto minimo di parti annui è 500.

Alcune donne esprimono delusione per l’esperienza avuta a Termoli, ma altre si dicono invece entusiaste per come sono state trattate e di quello che l’ospedale adriatico ha loro fornito in termini di assistenza nell’area materno infantile.

Diversi gli apprezzamenti per il personale e le ostetriche, come quello di Valentina: “Ho appena partorito e sono orgogliosa del gruppo ostetrico, bravissime tutte. Spero che non chiuda il reparto ma che venga aiutato”.

Lucia racconta di aver partorito a Termoli il 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno, e di essere stata assistita in maniera esemplare: “Ci partorirei di nuovo”. Positiva anche l’esperienza di Giovanna, che ha avuto un cesareo e “sono stata benissimo, persone umane che mi hanno fatto passare il tempo di ricovero come se stessi a casa: ho un bellissimo ricordo”.

Di questo tenore molti commenti a margine dell’articolo pubblicato oggi, lunedì, da Primonumero.it. Ma ci sono anche donne che invece puntano il dito sulle voci non positive che circolano sull’ospedale di Termoli. Per esempio Miranda sostiene che “la vera condanna a morte per l’ospedale di Termoli è proprio l’ospedale. Migliorate condizioni e personale e vedete che sarebbe più comodo essere seguiti in paese e non essere obbligati a fare 45 minuti di macchina per una visita”. Rosanna rivendica il diritto di scegliere dove andare a mettere al mondo un figlio “e il medico che lo dovrà seguire”, mentre Anna Paola sostiene che “a Vasto c’è la migliore equipe”. E Barbara addirittura racconta di avere “più che validi motivi per non partorire mai più a Termoli”.

L’articolo ha avuto quantomeno il merito di aver intensificato un dibattito importante, ponendo una domanda altrettanto importante: Termoli può davvero restare senza un reparto di Ostetricia-Ginecologia? È concepibile una cosa del genere? Ed è normale che non si faccia niente? “Fatevi un esame di coscienza, non tutti hanno l’ospedale” dice Antida. E Flavia, di rimando: “Io pongo solo una domanda: in caso di parto improvviso di urgenza andresti a Vasto comunque? Magari il reparto può anche funzionare male, ma qualche volta avete pensato che si è fortunati ad averlo sul posto?”.

Ci sono anche donne che, avendo avuto due figli, hanno partorito in un caso a Vasto e nell’altro a Termoli e che esprimono posizioni opposte. Per una è meglio Vasto, per l’altra Termoli. Per alcuni andare a Vasto è un po’ una moda, mentre per altri la colpa sarebbe addirittura di Primonumero che ha messo in evidenza questi dati, come se l’informazione fosse un peccato capitale.

In realtà il racconto di quello che sta accadendo, suffragato dei dati come in questo caso, è la base per un dibattito serio su un problema che riguarda tutti, perché la ipotetica (e ancora eventuale per fortuna) soppressione per mancanza di numeri del reparto di Ostetricia a Termoli riguarda tutti e non può essere appannaggio esclusivo delle partorienti, delle neomamme e delle rispettive mamme. La speranza è che da questo confronto, per quanto aspro, si possano creare i presupposti per una battaglia comune, aldilà dello scaricabarile politico e delle legittime preferenze su ginecologi e ospedali.

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