Isernia

Frode fiscale da 85 milioni: sorelle imprenditrici ai domiciliari, ma il dominus era la mamma 91enne

La Guardia di Finanza di Isernia, su disposizione della Procura della Repubblica , per la colossale truffa ha eseguito anche sequestri ingenti e cinque provvedimenti per obbligo di dimora destinati a imprenditori, professionisti e collaboratori, amministratori formali e di fatto di società con sede nel capoluogo di provincia pentro. Venti gli indagati, sedici le società coinvolte, sequestrati beni per 24 milioni.

Per gli inquirenti, le due sorelle imprenditrici ora ristrette ai domiciliari,  insieme alla mamma di 91 anni erano il dominus della frode fiscale scoperta dalla guardia di finanza dopo lunghi mesi di indagine. Frode quantificata in 85 milioni di euro.

Nell’ordinanza restrittiva anche i nomi di altre cinque persone  raggiunte dall’obbligo di dimora. Quando la Procura della Repubblica di Isernia, diretta dal procuratore Carlo Fucci a seguito delle indagini coordinate dal sostituto Maria Carmela Andricciola, ha ottenuto dal gip Federica Rossi le sette misure da emettere nei confronti degli indagati, per la bossa 91enne ha stabilito – d’accordo con il gip – l’obbligo di dimora.

Stesso provvedimento per un 53enne, D. P. di Campobasso,  una coetanea  imprenditrice di Bojano (N.T.B), un professionista 65enne (A.G.) di Cantalupo nel Sannio e un 69enne di Isernia (D.G.).

Poi il gip Arlen Picano ha firmato anche un decreto di sequestro preventivo, eseguito dalle fiamme gialle per l’importo complessivo di quasi 24 milioni di euro (23.744.121,00)  tra beni mobili ed immobili e somme depositate presso gli istituti bancari, quote societarie e fabbricati appartenenti agli indagati.

“Fil rouge” è il nome dell’inchiesta. Termine che bene indica il filo rosso che legava tutti gli indagati (in totale sono 20) in azioni finalizzate alla sistematica distruzione o all’ occultamento della documentazione che riguardavano le società coinvolte nell’inchiesta, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un importo di oltre 16 milioni di euro ed un’Iva dovuta di 3 milioni e mezzo.

Ancora: l’utilizzo di fatture fittizie per un imponibile di oltre 48 milioni di euro, l’indebita detrazione di Iva per un importo di quasi 11 milioni, la indebita compensazione di crediti Iva inesistenti per un importo complessivo pari a 5 milioni e 300mila euro nonché l’omessa dichiarazione di elementi positivi di reddito per a un milione e mezzo di euro.

Tutto nasce da accertamenti ordinari eseguiti dall’intelligence del nucleo di polizia economico – finanziaria di Isernia che hanno fatto venire alla luce diverse violazioni che conducevano alla madre 91enne delle due imprenditrici ai domiciliari le quali, attraverso la diretta o indiretta gestione di numerosi soggetti giuridici, facenti parte di una società denominata “Gruppo R.”, avrebbero ottenuto rilevanti ed indebiti benefici di natura fiscale.

Tutto è partito da qui. Quindi la delega ad indagare e gli approfondimenti che si sono chiusi questa mattina – 13 novembre – con l’esecuzione delle misure restrittive della libertà personale a carico dei soggetti interessati e con l’accusa di frode fiscale.

La complessa, articolata e minuziosa attività d’indagine, nei confronti dei soggetti giuridici del “Gruppo R.”, che operano, tuttora e prevalentemente, nel settore degli appalti pubblici, con particolare riferimento alla manutenzione di strade ed autostrade ed alla realizzazione  e conservazione di giunti e raccordi stradali, ha consentito di avvalorare le ipotesi preliminari.

L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti era apparso del tutto probabile se si tiene conto che tutte le società del “Gruppo R.” presentavano una situazione, ai fini Iva, assolutamente anomala e del tutto incoerente rispetto all’attività economica dalle stesse esercitata.

Difatti, da una semplice disamina delle dichiarazioni presentate ai fini Iva da parte di tutti i soggetti economici riconducibili alle sorelle R., si è rilevato che gli importi imponibili riferiti agli acquisti di beni e servizi risultavano sempre di gran lunga superiori a quelli relativi alle fatture emesse.

Tale situazione non trovava alcuna ragionevole spiegazione di natura contabile o fiscale: infatti, la maggior parte dei costi sostenuti dalle società per l’esecuzione delle prestazioni di servizi è rappresentata dal costo della manodopera e dall’utilizzo di macchinari ed attrezzature. Ebbene tali costi non hanno alcun impatto sulla situazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, trattandosi di elementi negativi di reddito che concorrono esclusivamente alla formazione del risultato d’esercizio.

Ne consegue che, di norma, le imprese che operano in tale settore e che emettono fatture imponibili ai fini Iva, si trovano costantemente a debito Iva  e non a credito, come si registrava per le società attenzionate.

Il modus operandi  descritto dagli inquirenti  è ben collaudato e negli atti si è concretizzato attraverso alcuni passaggi:  la costituzione e la gestione di società aventi un modesto capitale sociale, tutte operanti, prevalentemente, nel medesimo settore; l’individuazione di uno o più soggetti economici che, parallelamente ad una reale attività svolta nei confronti di soggetti terzi (enti pubblici e soggetti privati), venivano utilizzate alla stregua di “cartiere” per l’emissione di fatture fittizie a società del “Gruppo R.”.

L’impiego, da parte delle società utilizzatrici, dell’ingente credito Iva generato attraverso l’utilizzo delle fatture fittizie, mediante detrazione dell’Iva a credito nel corso dell’anno d’imposta di riferimento (la cosiddetta compensazione verticale), e successiva compensazione delle restanti imposte e tasse, dei contributi previdenziali ed assistenziali, dei tributi locali e di ogni altro debito tributario per il quale è previsto il pagamento a mezzo F24.

La sistematica dismissione delle società utilizzate per l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, nel frattempo gravate da consistenti debiti tributari – con situazioni patrimoniali del tutto inverosimili (ad esempio, eccessivi valori delle rimanenze, debiti non sostenibili) – attraverso la cessione a soggetti terzi, che si sono poi rivelati le “teste di legno”, dell’intero capitale sociale e la conseguente nomina di un nuovo legale rappresentante, disposto ad accollarsi le conseguenze derivanti da un possibile controllo di natura fiscale o contributiva.

Inoltre le società, come è stato ricostruito, trasferivano la propria sede legale in regioni limitrofe e in luoghi che alla fine erano indirizzi di corrispondenza o addirittura inesistenti.

Gli inquirenti hanno pure delineato l’occultamento o la distruzione delle scritture e dei documenti contabili e fiscali delle società dismesse, il che non ha consentito la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari, nel caso in cui le società fossero soggette a controlli da parte degli organi preposti.

L’ideazione, la gestione e il controllo dell’intera attività criminale era demandata soprattutto ai capi di questa organizzazione: tre donne, ossia le due sorelle finite ai domiciliari (C.R. di 66 anni e E.R. di 63) che hanno avuto un ruolo determinante in tutte le società individuate nel corso delle indagini. Erano affiancate e sostenute dalla madre. I. P. le iniziali del suo nome. 

Le società coinvolte nella frode fiscale, benché avessero dichiarato sedi legali in località sparse in tutto il territorio nazionale, nella realtà hanno avuto sede operativa ad Isernia.

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