Senso/55

Dai disturbi alimentari al “Roseto Mystery”. Un service del Lions Club Tifernus dedicato ai ragazzi

I disturbi dell’alimentazione, molto frequenti tra i giovani di ambo i sessi, costituiscono oggi un fenomeno molto preoccupante nel mondo Occidentale. Ed è aumentato l’interesse e la sensibilità verso questo problema anche in Molise, tanto che da più parti è sentita la necessità di dotarsi di servizi specialistici adeguati

Il nostro rapporto col cibo condiziona la nostra salute assumendo talvolta forme patologiche e risultando, in alcune condizioni, un potente fattore protettivo per la nostra vita. I disturbi dell’alimentazione, molto frequenti tra i giovani di ambo i sessi, costituiscono oggi un fenomeno molto preoccupante nel mondo Occidentale, compresa l’Italia. Ed è aumentato l’interesse e la sensibilità verso questo problema anche in Molise, sia da un punto di vista strettamente sanitario sia da un punto di vista sociale, tanto che da più parti è sentita la necessità di dotarsi di servizi adeguati la cui inesistenza nella nostra regione costringe decine di famiglie al solito esodo, ormai tristemente noto, verso altre regioni d’Italia.

nicola malorni

 

Il Lions Club Tifernus di Termoli, di cui mi onoro di far parte, sotto la guida del suo presidente pro tempore, il preside Ezio Di Pinto, ha inteso rispondere ad una diffusa domanda sociale di sensibilizzazione dei giovani, con uno specifico service (attività volontaria e gratuita svolta dai soci Lions) affidato a chi scrive, che prevede la programmazione di seminari rivolti agli alunni delle prime classi della Scuola Superiore. Lo scorso 31 ottobre ho così dato avvio a questa esperienza con il Liceo Classico e il Liceo Scientifico di Termoli; seguiranno il 14 e il 21 novembre altri due appuntamenti con l’Itis e il Liceo Artistico.

I Lions hanno voluto portare all’attenzione degli studenti e dei loro insegnanti la componente psicologica dell’alimentazione, così fortemente implicata nell’eziopatogenesi dei disturbi alimentari ma considerata al contempo, in ambito medico e psicologico, tra i fattori protettivi più importanti per la nostra stessa salute fisica.

 

La scienza medica ne ha avuto conferma sin dai prima anni ’60, quando una ricerca americana mise in evidenza come la qualità del rapporto con l’alimentazione di una piccola comunità di immigrati italiani risultasse in grado di proteggerla dal rischio di malattie cardiache potenzialmente fatali. Con i Lions i giovani studenti di Termoli hanno così avuto modo di conoscere quello che nella letteratura scientifica è conosciuto come “Roseto Mystery” o “Roseto Effect”.

Nel 1882, un gruppo di undici uomini partì da Roseto Valfortore in Puglia (provincia di Foggia) per sfuggire alla povertà estrema del loro villaggio di montagna. Gli uomini emigrarono dall’Italia meridionale all’America e alla fine si stabilirono in Pennsylvania, vicino alle montagne di Pocono in Nord America. Lì costruirono una comunità, che chiamavano Roseto, simile a quella che lasciarono: costruirono una chiesa e una scuola; costruirono i mulini in città dove le donne andavano a lavorare; due cugini gestirono le panetterie dai loro scantinati e fornirono a tutta la città pane, pizza e pasta; fecero il proprio vino e coltivarono le proprie verdure. Le loro abitudini alimentari non cambiarono: uomini e donne bevevano vino in abbondanza, friggevano le loro salsicce e polpette nel lardo, mangiavano salumi e formaggi ricchi di colesterolo. Inoltre, gli uomini lavoravano in ambienti tossici nelle cave di ardesia. Nonostante ciò, una ricerca condotta agli inizi degli anni ’60 rivelò che dei 2.000 abitanti di Roseto Pennsylvania quasi nessuno era morto di attacco di cuore o aveva mostrato segni di malattia cardiaca. Perché? I ricercatori studiarono la genetica, l’acqua potabile e la disponibilità di cure mediche, e non trovarono una spiegazione. Le conclusioni dei ricercatori furono che i legami familiari e sociali (fino agli anni 60-70), rinforzati dal significato affettivo e sociale assegnato al cibo e all’alimentazione, avevano difeso i rosetani da malattie cardiache. Essi avevano infatti continuato a condurre una vita sociale centrata sulla famiglia, intergenerazionale e interdipendente. Tutti avevano lavorato, non vi erano reati né necessità di assistenza pubblica. Ognuno aveva sostenuto ogni altro. I ricchi non ostentavano la loro ricchezza e ciascuno sosteneva le imprese locali. In altre parole, nella piccola comunità di Roseto nessuno era solo, infelice o troppo stressato. Pur in presenza di fattori di rischio insiti nelle loro abitudini alimentari, la qualità dei loro rapporti affettivi li aveva protetti dal rischio di insorgenza di malattie cardiache.

Uno studio pubblicato nel 1992 sull’American Journal of Public Health confermò successivamente una triste previsione: la competizione avrebbe superato la cooperazione, l’individualismo la coesione comunitaria e una più alta incidenza di malattie cardiache, correlata ad uno stile di vita “americanizzato”, avrebbe cambiato per sempre anche il destino dei rosetani.

 

Nel mondo industrializzato, ove il cibo non soddisfa esclusivamente il bisogno dell’organismo di ricevere energia e nutrimento, l’alimentazione rappresenta anche un’esperienza affettiva. Noi, in altri termini, ci alimentiamo anche per stare in compagnia, per rinforzare i legami sociali, per uno scambio di affetto all’interno dei gruppi familiari e amicali; insomma, il nostro rapporto col cibo è anche espressione del nostro rapporto col mondo. Così, la preferenza per alcuni cibi, i ritmi alimentari, i rituali comportamentali utilizzati per alimentarci, la quantità di cibo ingerito, l’atmosfera emozionale vissuta durante il pasto, il significato attribuito agli alimenti come “bene comune”, dipendono dalle immagini, dalle emozioni, dai significati attribuiti al cibo all’interno della cultura di appartenenza e questo condiziona potentemente la nostra salute.

 

Questo spiega anche perché i disturbi alimentari, ad esempio, sono molto diffusi in una parte del globo (il mondo occidentale e soprattutto i Paesi maggiormente industrializzati o in fase di rapida industrializzazione), mentre sono rari o pressoché assenti in altre aree geografiche. L’esplosione esponenziale dei disturbi del comportamento alimentare (in Italia arriviamo a toccare cifre come oltre 3 milioni di persone con diagnosi, soprattutto in età adolescenziale) si va dunque a collocare su uno sfondo socio-antropologico che diviene il catalizzatore della diffusione di sindromi “culture bound”, ovvero legate ad aspetti culturali caratteristici della nostra cultura rispetto a cui il disagio psichico sembra adattarsi.

 

Secondo le stime ufficiali ISTAT, in Italia vi sono oltre 750.000 persone con Anoressia (1,5 % della popolazione italiana) e oltre 1.700.000 di persone affette da Bulimia (3%). Per il Binge Eating Disorder (disturbo di alimentazione incontrollata) abbiamo invece stime non ufficiali spesso discordanti poiché più difficile da diagnosticare. L’incidenza dell’Anoressia Nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne (quindi circa 24 casi l’anno in Molise), mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi (circa 4 casi in Molise). Invece, per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100.000 persone (36 in Molise) tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini (circa 2 casi nella nostra regione). Infine, il rischio di morte si attesta intorno al 3-5% per anoressia e bulimia (tra 75.000 e 122.500 decessi), in genere per arresto cardiaco (ipokaliemia) ed emorragia interna (ulcere gastriche).

 

Per questi ultimi dati, nutro una forte preoccupazione per il nostro territorio: mancano, infatti, ancora Centri specializzati per una diagnosi e una cura integrata efficace in tutta la regione. E questa è una mancanza che rivela una sottovalutazione gravissima da parte delle Politiche sanitarie degli ultimi decenni: molto gravi possono essere, infatti, le conseguenze di tali disturbi, non solo sul piano psicologico e sociale, ma anche su quello fisico: dalle gravi lesioni dentarie per emesi erosiva (passaggio dell’acido gastrico contenuto nel vomito attraverso esofago e cavo orale) alle ulcere lineari e diverticoli esofagei (per emesi), con grave rischio di emorragia interna potenzialmente fatale; dalla bradicardia e amenorrea nell’anoressia con conseguente ipoestrogenismo e osteopenia (riduzione della massa ossea), fino all’arresto cardiaco improvviso causato da carenza di potassio (ipo-kaliemia) e dall’affaticamento connesso al vomito.

Non meno gravi le conseguenze sul piano psicologico e sociale: il cibo, infatti, può essere vissuto o percepito come oggetto da evitare o controllare, valvola di sfogo, rifugio o sostanza analgesica contro le sofferenze vissute durante la giornata, o contro situazioni di disagio o di conflitto. Stati d’animo come ansia, depressione, stress, inibizione emotiva possono influire sul rapporto con il cibo e causare un disturbo alimentare. Il cibo può perdere il suo “sapore” o il significato della sua funzione e caricarsi di vissuti persecutori come nell’anoressia (“il cibo mi gonfia, mi fa stare male, mi fa ingrassare…”), o può essere ingurgitato per riempire in fretta un opprimente senso di vuoto interiore, confuso con la sensazione di fame vera e propria come nella bulimia o nel Binge. Mangiare, o meglio abbuffarsi, allora, può diventare, in mancanza di altre possibilità espressive, l’unica risposta indiscriminata a difficoltà affettive ed emotive.

Da qui la necessità di implementare la presenza di servizi specialistici che contemplino competenze psicologiche in grado di prevenire oltre che curare. L’adesione delle scuole termolesi alla proposta di intervento dei Lions, la partecipazione attenta dei ragazzi al service così come il continuo esodo di decine di famiglie verso altre regioni d’Italia, dimostrano come la domanda del territorio esiste ma continua ad essere inascoltata.

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