Parla un cacciatore

Gli incidenti di caccia? “Sono rari, le tragedie nel bosco accadono per negligenza”

Antonio Palazzo da 37 anni impegnato nell’attività venatoria di cattura del cinghiale, spiega che chi resta ferito o muore durante le battute è quasi mai per motivi accidentali bensì per disorganizzazione o fretta nell’approntare il piano di caccia. “In Italia – dice – a maggior ragione in Molise abbiamo ancora molto da imparare"

E’ l’alba quando nei boschi di Apricale, in provincia di Imperia, Nathan Labolani, 19 anni, sta passeggiando insieme al suo cane e all’improvviso uno proiettile lo colpisce e lo uccide.

A sparare un cacciatore di 29 anni proveniente da Ventimiglia, indagato oggi per omicidio colposo. Aveva visto dei cespugli muoversi e credeva si trattasse di un cinghiale, ma evidentemente si sbagliava. Accanto al corpo di Nathan è stato trovato un fucile da caccia calibro 12 e una cinquantina di munizioni, ma il giovane non possedeva un porto d’armi. Il sospetto allora è che anche lui fosse impegnato in una battuta di caccia, ma non apparteneva a nessuna delle due squadre  che quella mattina girovagavano armate nei circa 3 km quadrati dei boschi di Apricale.

Una vicenda che riaccende i riflettori sull’annoso problema riguardante la caccia.

Antonio Palazzo, molisano di Baranello che da 37 anni si arma di fucile per le battute di caccia al cinghiale, le idee al riguardo ce le ha chiare.

“Intanto precisiamo che gli incidenti di caccia sono ben distinguibili. Quando uno spara perché vede qualcosa muoversi in un cespuglio, non si tratta di incidente ma di negligenza. Sparare senza accertarsi di cosa si è visto è inconcepibile. L’incidente può accadere se il proiettile collide con qualcosa che ne cambia la direzione e può colpire un componente della squadra ma mai si può parlare di incidente se uno spara senza accertarsi di aver individuato una zampa, il muso o qualunque cosa sia riconducibile all’animale per il quale in quel momento si è aperta la battuta”.

Ci sono norme da rispettare e guai a violarle. Quando accade allora sì che questa passione rischia di confermare (come quest’anno) 50 morti e quasi 200 feriti ogni anno.

Antonio nel sottolineare questo aspetto è anche critico quando ammette che “Il Molise non ha ancora un’idea costruttiva, evoluta e serie dell’arte venatoria, e dovrebbe esserci tra noi stessi cacciatori una consapevolezza diversa dei rischi e quindi della necessità improcrastinabile di delimitare per esempio l’area indicata per svolgere la battuta, di adottare l’abbigliamento adeguato per rendersi riconoscibili per esempio con giacche fluorescenti, di seguire il piano messo a punto prima, insomma la caccia è un’arte vera e propria non è improvvisazione. Non è bracconaggio. E spesso, infatti, quelli che troviamo nei boschi senza che adottano certe misure di sicurezza sono bracconieri che nulla hanno a che fare con chi invece a questa disciplina è arrivato dopo anni di studio, osservazioni e valutazioni di ogni tipo”.

Per chi come lui da oltre 30 anni si cimenta nei boschi di tutt’Italia partecipando a battute di caccia al cinghiale l’organizzazione è un aspetto prioritario.

“Ad una battuta di caccia – continua Antonio – partecipano un numero importante di persone, in sostanza è una vera e propria squadra di amici o conoscenti che collaborano per lo stesso obiettivo seppure con compiti diversi. Tutti i cacciatori del gruppo, quindi, detengono la stessa importanza e detengono anche gli stessi diritti infatti, alla fine della battuta di caccia, la carne deve essere divisa in modo equo tra tutti i cacciatori”.

E mentre racconta con dovizia di particolari come si svolge una giornata di caccia al cinghiale è chiaro anche perché uno come lui creda poco all’incidente ma piuttosto è propenso ad ipotizzare un atto di negligenza (quando ci scappa il ferito o in casi peggiori il morto) se non addirittura all’intenzione di far male.

Perché lui è meticoloso e appassionato nel raccontare dettagli e sfumature di quella che deve essere una battuta fatta in piena sicurezza e perché emerge anche la sua personalità rigorosa e disciplinata mentre descrive la caccia come “un’arte” e non altro.

E infatti precisa che “Non si può parlare di una tradizione univoca di battuta di caccia al cinghiale, dato che  esistono una quantità enorme di varianti regionali, che rendono ancora più suggestiva questa tipologia particolare di attività venatoria”.

“A non cambiare mai – conclude Antonio – è la presenza del capo caccia, che davvero, insieme ad altri membri, non può proprio mancare. Il  capo caccia il responsabile di ogni cacciatore. Si assicura che ogni postazione strategica venga assegnata, e che ciascun cacciatore conosca con precisione il luogo di tiro e la posizione di tutti gli altri cacciatori presenti nelle vicinanze, per una maggiore sicurezza di tutta la battuta”.

commenta