Minacce e violenza sessuale su una giovane nigeriana: chiuse le indagini sull’aggressione all’ex Modena

Un 47enne nigeriano ospite del centro di accoglienza sul lungomare nord chiuso da poche settimane raggiunto da misura restrittiva dopo le indagini della Polizia: non può avvicinarsi alla ragazza, che per 4 mesi ha subito le sue angherie nel tentativo di farle fare un figlio per restare in Italia. La giovane si trova in una struttura protetta. L'uomo ha avuto la revoca della misura di accoglienza

Lei, una giovane nigeriana vittima di violenze e sfruttamento, era stata già allontanata dal centro di prima accoglienza ex Modena sul lungomare nord di Termoli nella prima decade di luglio. Ora scatta una ordinanza di misura cautelare per il suo presunto aguzzino. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Larino ha stabilito infatti che O.S., un cittadino nigeriano in attesa di asilo di 47 anni, non può in alcun modo avvicinarsi alla giovane né contattarla attraverso facebook, il telefono, le mail e whatsapp.

 

Stalking e violenza privata ai danni di una giovane donna le accuse a suo carico che si riferiscono proprio ai fatti di luglio, quando la volante del Commissariato di Polizia di Termoli era intervenuta presso il Cas Modena (chiuso successivamente per problemi che secondo i gestori non erano legati alla cronaca ma a problemi organizzativi) in quanto era stata segnalata una lite violenta con aggressione.

 

In quella occasione la donna di origini nigeriane aveva denunciato di aver subito minacce continue, ingiurie, aggressioni fisiche, vessazioni psicologiche con richieste insistenti di prestazioni sessuali. E non solo. Aveva anche raccontato che l’uomo, ora allontanato e al quale la Prefettura di Campobasso ha revocato le misure di accoglienza, gli aveva anche sottratto il telefono cellulare.

Secondo la ricostruzione dettagliata fatta in seguito il 47enne, per ottenere un permesso di soggiorno, la costringeva a rapporti sessuali per poterla mettere incinta e vantare il diritto a restare in Italia in qualità del padre del nascituro.

 

Lei però si è sempre rifiutata e ha subito per ben quattro mesi aggressioni violente, minacce continue, perfino calunnie dal momento che il connazionale l’ha accusata di prostituirsi in Italia. Una condotta persecutoria ricostruita dalla polizia di Stato e avallata dalla decisione del Gip che sarebbe andata avanti dall’ottobre del 2017 al febbraio 2018, e che avrebbe provocato alla donna uno stato di ansia e terrore perché era diventata, di fatto, la sua schiava.

 

Afferma il Gip che “il profilo accusatorio appare solido, con la configurazione, in presenza di una condotta chiaramente volontaria, di un’intollerabile condizione di mortificazione e di abituale sopraffazione sulla persona offesa, travolta nella sua sfera personale, fisica e morale, tale da ingenerarle, in concreto per quanto rappresentato dalla medesima, ma in misura comunque da reputarsi congrua anche in astratto, uno stato di terrore per la sua stessa incolumità e tranquillità”.

 

Parole inequivocabili quelle del magistrato. Su richiesta del pubblico ministero Marianna Meo il gip ha disposto il divieto di avvicinamento dell’uomo alla vittima e le ha imposto di non avere alcun contatto con lei, nemmeno attraverso mezzi tecnologici. Quindi niente telefono, niente Facebook, niente Whatsapp.

 

Dallo scorso mese di luglio la ragazza si trova invece in un centro antiviolenza della Provincia di Campobasso, una struttura protetta. Le indagini erano scattate dopo la lite con aggressione sul lungomare nord, segnalata da alcuni cittadini e che aveva visto l’intervento della polizia. Gli agenti avevano scoperto che la ragazza era vittima di violenza a sfondo sessuale e che dietro questa ennesima storiaccia non si celavano “motivi di gelosia”, come aveva affermato la cooperativa che fino a non molto tempo fa gestiva il centro, ma una violenza e una persecuzioni gravissime.

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