Cronache

L’esperto di tettonica: “I terremoti del basso Molise ci insegnano molto, le faglie del Matese restano le osservate speciali”

Intervista a Eugenio Auciello, geologo molisano esperto di tettonica delle faglie attive nei monti del Matese, che spiega il sisma del 16 agosto e racconta la zona più sismica del Molise, dove l’ultimo fenomeno importante risale al 1805. “Non possiamo aspettarci una scossa tra 400 anni”

I terremoti non si possono prevedere. Però si possono “comprendere”: operazione, questa, che richiede tempo e che diventa preziosa per la letteratura scientifica e la ricerca. “È come la tela di un pittore, non si può intuire il quadro a ogni singola pennellata aggiunta, ma si potrà tentare di interpretarlo solo dopo un certo numero di pennellate. E ogni pennellata, nel nostro caso, è una scossa di terremoto, piccola o grande che sia”.

Parola di Eugenio Auciello, geologo molisano di 40 anni di Pescolanciano, con un curriculum di tutto rispetto: appassionato di terremoti e meteorologia da sempre, si è laureato in geologia strutturale e geodinamica della terra e dei pianeti all’Università degli Studi di Chieti-Pescara. Nella stessa università ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze di base con una tesi sulla tettonica delle faglie attive nei monti del Matese. Fa parte del gruppo di ricerca sulla tettonica attiva nell’Appennino Meridionale, ha collaborato ai rilevamenti nell’area del terremoto di Amatrice e Norcia ed è tra gli autori di alcune pubblicazioni sulla tettonica attiva del Matese e dell’area molisana, delle quali ha presentato i contenuti in diversi congressi nazionali.

A parte questo, Eugenio Auciello ha un “pallino”: condividere le informazioni scientifiche e migliorare così l’approccio culturale della popolazione molisana al fenomeno sismico, cioè uno degli eventi più inquietanti con i quali l’uomo ha a che fare, soprattutto per la sua imprevedibilità e per la impossibilità di fare previsioni, almeno previsioni a breve termine. Migliaia di persone seguono la pagina facebook Molise e Terremoti, nata nel 2016 e ora, dopo le scosse di agosto in Basso Molise, più gettonata che mai.

Dottor Auciello, intanto una domanda pratica sulla quale ora la popolazione si sta interrogando: le nostre case fino a quali magnitudo possono resistere?

“Domanda molto complessa, alla quale rispondere in maniera esauriente non è possibile. È però possibile fornire alcune indicazioni. L’ingegneria sismica sviluppa dispositivi che ci consentono in Italia di avere una buona sicurezza, di realizzare abitazioni capaci di resistere a soglie di magnitudo importanti. C’è un distinguo da fare sulle strutture costruite di recente, con la normativa vigente, che sono teoricamente molto più resistenti al segnale sismico, e il patrimonio edilizio realizzato prima degli anni Sessanta, che è prevalente in Molise. In questo caso gli adeguamenti sismici, benché importantissimi, valgono fino a un certo punto, perché parliamo di costruzioni o a pietra o a mattoni. Sempre in linea generale diciamo che il cemento armato offre maggiori margini di sicurezza, se realizzato bene. Ma nei terremoti subentrano una serie di variabili spesso difficili da inquadrare con sicurezza. Nella zona di Amatrice, per esempio, ho visto case in cemento armato completamente a terra e a soli venti metri case in blocchi di tufo ancora in piedi seppur gravemente danneggiate. Il concetto che deve passare, sul quale ci dobbiamo basare, è abbandonare l’illusione che costruire rispettando la normativa antisismica ci salvi la casa. L’obiettivo primario infatti è un altro, ed è salvare le vite. Le costruzioni antisismiche non devono crollare durante la scossa. Il che non significa che, in caso di sismi importanti, non possano lesionarsi irrimediabilmente o addirittura crollare in seguito”.

Il terremoto di Montecilfone e Guglionesi è stato di magnitudo 5.1 e ha creato danni alle abitazioni come agli edifici pubblici. Eppure non è stato un terremoto importante, non è così?

“Quest’ultimo terremoto molisano, sulle molte scale di classificazione internazionale, è classificabile tra il leggero e il moderato. Ovviamente bisogna considerare che il territorio italiano è particolarmente vulnerabile quindi anche un sisma moderato può recare danni importanti perché noi abbiamo centri storici con origine perlopiù medioevale e le nostre costruzioni, in generale, sono molto più vulnerabili al segnale sismico rispetto a tante altre aree sismiche del mondo”.

Ci sono analogie secondo i dati in suo possesso tra questo terremoto e quello di San Giuliano di Puglia di 16 anni fa?

“Il primo terremoto di San Giuliano, quello del 31 ottobre, è stato circa 10 volte più grande e con una profondità simile. È crollata la scuola, un edificio relativamente nuovo, ma il centro storico pur avendo avuto un danneggiamento non trascurabile non ha registrato crolli immediati tali da uccidere. Detto questo, quel terremoto aprì gli occhi a noi geologi e ai sismologi, perché c’era il sospetto di una certa attività di tettonica in quella zona, ma non si avevano notizie di terremoti importanti, almeno negli ultimi mille anni. Il terremoto del 31 ottobre 2002 ha spalancato una finestra sulla tettonica che interessa queste aree che si trovano tra la catena appenninica e la costa adriatica, soprattutto sulle connessioni tra quelle faglie e il sistema di faglie che percorre la zona del Gargano passando per altre strutture nell’area di San Severo (Fg), altra zona estremamente sismica”.

Cosa significa, alla luce dell’ultimo terremoto?

“Si immaginava che, nel contesto molisano compreso tra l’Appennino e l’Adriatico, il sistema che va dal Gargano a San Giuliano di Puglia e poi prosegue verso l’interno potesse essere l’unico ad originare terremoti. Invece l’evento di Acquaviva prima e Montecilfone poi ci stanno facendo capire che i terremoti possono essere originati anche su strutture analoghe. Quindi, per rispondere alla domanda, l’ultimo terremoto in Molise non si è verificato sulla stessa faglia di San Giuliano, ma su una struttura diversa localizzata più a nord. Però i due eventi hanno in comune molti aspetti, soprattutto la profondità ed il meccanismo focale, cioè il modo in cui la faglia si muove. Entrambi sono diversi dai terremoti che si verificano all’interno dell’Appennino, perché rispondono a un tipo di deformazione diversa”.

Stiamo sentendo parlare spesso, in questi giorni, di faglie trascorrenti.

“Appunto. Il sisma di San Giuliano e quello di Montecilfone sono avvenuti su faglie trascorrenti, blocchi di roccia uno di fronte all’altro che si spostano con un movimento relativo orizzontale. Sono faglie diverse da quelle inverse, come quelle responsabili dei terremoti emiliani del 2012, e che si hanno quando un blocco si solleva al di sopra di un altro. Ci sono poi le faglie normali, che si definiscono proprio così in geologia: sono due blocchi di roccia che si allontanano tra loro e uno si abbassa e uno si rialza. La maggior parte dei terremoti di forte magnitudo in Appennino, compresi quelli che si sono verificati e si potranno verificare nell’area del Matese, nell’Irpinia o nella Marsica, hanno tutti questa caratteristica”.

Questo ha possibili ripercussioni sulla magnitudo?

“Questo dipende dalla geometria delle faglie e dalla loro posizione nella crosta terrestre. Il problema è che le faglie attive trascorrenti in Italia sono profonde e non lasciano segni sul terreno quando originano un terremoto, a differenza di quello di Amatrice o di Norcia, dopo i quali è stato possibile tirar fuori tutta una serie di informazioni che ci hanno aiutato a capire come le faglie si sono mosse. Le faglie trascorrenti di San Giuliano o quelle di Montecilfone sono ad una profondità compresa tra i 15 e i 25 chilometri e non possiamo toccarle con mano”.

Insomma, è più complicato studiare un terremoto a faglie trascorrenti che a faglie normali?

“In Italia in un certo senso è così. Non potendole rilevare in superficie, la cosa che ci aiuta di più nel loro studio è l’analisi della distribuzione di tutte le scosse della sequenza sismica, che non va certo interpretata giorno per giorno, ma su tempi più lunghi”.

Immagino che in tantissimi le chiedano ogni giorno se la sequenza è finita o sta finendo, se dobbiamo aspettarci il peggio o possiamo sperare che il peggio sia passato…

“Immagina bene. Sono bombardato da domande simili, ma purtroppo non esiste una risposta esauriente ai fini pratici. Io posso anche dire, e in parte lo penso, che questa faglia o porzione di faglia sta finendo la sua attività. Ma questo non esclude che ci possa essere una scossa più forte su una faglia limitrofa o un’altra porzione della faglia stessa. Per la gente che differenza fa in termini pratici? Nessuna. Non si può passare la notte in auto per mesi, non crede?”

Questo secondo lei intendeva dire il capo della Protezione Civile Borrelli quando ha affermato che non si possono escludere scosse più forti?

“Borrelli ha detto la verità, il panico lo ha creato una cattiva interpretazione di dichiarazioni poggiate su basi scientifiche. Lo so, è deprimente pensare che non possiamo escludere nulla e nemmeno affermare che un terremoto ci sarà di sicuro, ma così è. Attorno ai terremoti ci sono troppe leggende metropolitane e inesattezze. Per esempio che se ci sono tante scosse piccole “si libera energia” e si evita una scossa più grande. Sono valutazioni senza alcun fondamento, infatti l’energia liberata dalle piccole sequenze o dagli sciami sismici che normalmente si verificano è molto piccola rispetto a quella liberata dai forti terremoti. Quindi, detta semplicemente, per “evitare” un forte terremoto sulla stessa faglia dovremmo osservare annualmente migliaia di scosse minori, cosa che invece non avviene: quindi, un forte terremoto si verifica comunque a prescindere dalla sismicità minore”.

E l’assestamento?

“Generalmente dopo una scossa di un certo tipo di magnitudo c’è un corteo di scosse successive, comunemente note come scosse di “assestamento”, che la letteratura scientifica ci insegna avere un andamento caratteristico. Ma questo andamento non ci dà alcuna chiara indicazione su una possibile attivazione di un altro segmento di faglia o di una faglia adiacente. Ci dice semplicemente che la faglia si è attivata e si sta “assestando”, quindi prosegue la sua attività ricercando, per così dire, il suo “equilibrio” iniziale. Alcuni credono che dalla sequenza si possano ricavare informazioni certe su come evolverà la situazione o se ci potrà essere un’altra forte scossa, ma questo è assolutamente falso”.

Sta ribadendo che il terremoto non si può prevedere in alcun modo?

“Non è proprio così”.

No, davvero? Si possono fare previsioni?

“A lungo termine e ad ampio raggio sì. Le faccio un esempio: se io le dico che nell’area Sannio-Matese entro i prossimi 200 anni si verificherà un terremoto importante, io ho fatto una previsione. E le garantisco che ci ho preso, che sarà così. E questo perché tutta una serie di informazioni ci fa ritenere questa previsione del tutto verosimile. Anche se dico che domani ci sarà un forte terremoto a Montecilfone sto facendo una previsione, ma in questo caso del tutto priva di fondamento, perché attualmente non è possibile fare una previsione a breve e medio termine temporale e spaziale, cioè contemplando aree sufficientemente circoscritte e lassi di tempo sufficientemente brevi tali da rendere utili queste previsioni per allertare o mettere in sicurezza la popolazione”.

Previsioni a breve e medio termine non si possono fare, a lungo termine sì?

“Alcuni studi ci dicono che, ragionevolmente e in alcuni contesti, si possono azzardare previsioni a medio termine, cioè per aree grandi come province ed entro pochi anni o decenni. In altri contesti invece no. Tanto più se, come nel caso delle faglie di questo ultimo sisma, non conosciamo i comportamenti da un punto di vista storico. Se ci dobbiamo attenere ad informazioni di tipo geologico, sismologico e paleosismologico, possiamo dire che non sono state registrate in tempi storici a memoria d’uomo magnitudo più forti di una certa soglia nella zona del Basso Molise. Questo ci potrebbe dare una sicurezza relativa, ma dobbiamo essere cauti: dovremmo avere un record storico di decine di migliaia di anni per avere indicazioni davvero utili. Ma noi non abbiamo informazioni storiche da tempi tanto lunghi, quindi non possiamo escludere nulla a priori”.

In quali contesti invece è possibile fare previsioni a lungo termine e ad ampio raggio?

“In aree con sufficienti informazioni di tettonica attiva. Per esempio nell’Abruzzo o, come ho accennato prima, nell’area del Sannio che comprende il Matese”.

 

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Lei è un esperto di questo territorio. Conosce bene la faglia del Matese?

“Studio questo territorio da diversi anni e continuo a farlo. Va però detto che “Faglia del Matese” è in realtà una grossolana semplificazione, credo fatta in buona fede, per dire che si tratta di un’area sismicamente pericolosa. In realtà, da un punto di vista scientifico, nel Matese si riconoscono e sono già oggetto di studio diverse faglie attive indipendenti tra di loro, ognuna delle quali può dare un terremoto sicuramente rilevante, oltre la magnitudo 5.5. Quindi, non esiste una “Faglia del Matese” ma più faglie organizzate in sistemi diversi”.

E perché in questo contesto una previsione a lungo termine è più ragionevole?

“Numerose ricerche a carattere multidisciplinare ci dicono in maniera inequivocabile che in passato queste faglie hanno dato origine a terremoti anche paragonabili a quello dell’Irpinia, compresi tra magnitudo 6.8 e 7. Sismi di questo tipo e con queste magnitudo e intensità si sono verificati nel 1456, nel 1688 e nel 1805. Poiché sappiamo che nell’area Molisano-Sannitica terremoti di quella forza si sono verificati mediamente ogni 200/250 anni, e poiché sappiamo che l’ultimo lo abbiamo avuto oltre 200 anni fa, nel 1805 appunto, sicuramente non possiamo aspettarci il prossimo forte terremoto tra 400 anni. Questo intendo dire, ed è questo il motivo per cui l’area del Matese è, per così dire, osservata speciale. Chiaramente non si può dire il momento esatto in cui si verificherà, né si può circoscrivere con precisione l’area geografica o definirne l’epicentro. Tuttavia si può ragionevolmente affermare che la possibilità che un terremoto importante si verifichi nell’arco dei prossimi decenni nell’area sannitica comprendente il Matese è concreta”.

Non è affatto rassicurante. 

“Non lo è. Ma è una considerazione che ha un suo fondamento. Non a caso l’area del Sannio che comprende il Matese è tra le zone a più alto rischio sismico d’Italia, che può dare origine a terremoti di magnitudo molto importante. Capisco molto bene i timori ma le cose stanno così. Non è allarmismo, è prendere atto di ciò che ci dicono i dati e le numerose pubblicazioni scientifiche al riguardo. Che buona parte dell’Italia e il Molise siano ad alto rischio sismico lo sappiamo, è sufficiente la storia a ricordarcelo. Tocca poi agli amministratori facilitare e a noi cittadini recepire la necessità di adottare tutta una serie di accorgimenti che, nei limiti del possibile, possono fare la differenza”.

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