Campomarino

Due inchieste per caporalato dopo la strage e il blitz. Tre molisani indagati

La Procura di Larino ha aperto due fascicoli di indagine dove risultano tre indagati molisani. Stessa ipotesi di reato per l'ivoriano in carcere e i molisani per i quali lavoravano i 7 braccianti morti

Due fatti distinti ma strettamente collegati dalla stessa ipotesi di reato, quella del caporalato. Con questa accusa è stato arrestato l’11 agosto un cittadino ivoriano, regolarmente immigrato sul suolo italiano ma a quanto pare con permesso di soggiorno scaduto. Ma è lo stesso reato ipotizzato nei confronti di diverse persone molisane facenti capo all’azienda Di Vito di Campomarino nella quale erano impiegati sette dei dodici braccianti morti nella tragedia del 6 agosto scorso al bivio di Ripalta, lungo la strada statale 16.

La stessa strada dove l’altro ieri è entrata in azione la polizia di Termoli, quella del commissariato di via Cina oltre a personale della Polstrada. Un blitz scattato su preciso ordine della Questura e probabilmente legato a una disposizione del Viminale dopo i fatti di Ripalta e prima ancora tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri, in pratica sedici braccianti morti in due incidenti nel giro di pochi giorni sulle arterie stradali del foggiano. Una strage che ha sollevato un problema vecchio di decenni e nascosto sotto al tappeto, quello dello sfruttamento dei lavoratori stranieri nelle campagne italiane, specie quelle del Meridione.

La Polizia, intervenuta con quattro agenti, ha trovato quanto ipotizzato: un furgone da 9 posti carico di braccianti africani, stipati in 22 su panche di legno al posto dei normali sedili e in precarie condizioni igieniche. Due di loro sono scappati all’istante appena aperto il portellone posteriore. Il guidatore, individuato come caporale, ha provato a fare lo stesso ma non ci è riuscito. Gli altri venti sono stati portati in commissariato.

La Procura di Larino che indaga sul caso ipotizza che il viaggio di quei braccianti fosse l’inverso a quello nel quale hanno trovato la morte i 12 di Ripalta. Vale a dire che loro andavano dal foggiano ai campi di Ramitelli, mentre le vittime della strage facevano il percorso contrario, cioè stavano andando sul posto di lavoro in Molise dopo aver trascorso la notte da qualche parte nelle terre della Capitanata.

Possibile quindi che vivessero in condizioni simili, in posti simili. Ma le indagini sono diverse. Quella aperta sabato, dopo il fermo di quel Ducato Panorama, vede per ora un solo indagato, l’ivoriano poco più che ventenne finito in carcere con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. La magistratura frentana sta cercando di capire qual è, o più probabilmente quali sono le aziende nelle quali i venti africani lavoravano. Appare infatti probabile che non fossero impiegati tutti da una sola azienda agricola, ma da più ditte che hanno campi di pomodori in contrada Ramitelli. Sul campo nel quale i braccianti hanno detto di essere impiegati, la Polizia ha identificato un italiano, il quale ha replicato di non sapere nulla di come venivano ingaggiati i raccoglitori di pomodori.

È al vaglio degli inquirenti la sua posizione, ma lo è anche quella dei venti africani, quasi tutti ivoriani o comunque di Paesi dell’Africa centrale, che viaggiavano sul Ducato. Molti di loro, a quanto risulta, avevano regolare permesso di soggiorno. Ma potrebbero esserci degli immigrati irregolari, per i quali potrebbe anche scattare l’espulsione dall’Italia. La Questura sta approfondendo le ricerche per ricostruire il percorso sul territorio italiano da parte di ognuno di loro.

Alcuni hanno riferito di condizioni di lavoro massacranti e di paghe da fame. Al lavoro sotto il sole cocente di agosto per 10-12 ore, dall’alba al tramonto in pratica. Il loro salario, ed è questo che stanno tentando di verificare gli inquirenti, sarebbe a cottimo, quindi più lavoro uguale più guadagno. Ma la paga base sarebbe da condizioni inumane, appena 4 euro per ogni cassone riempito, quando un cassone pesa circa tre quintali. In pratica un salario da 12-16 euro al giorno.

Distintamente da queste verifiche, procede il lavoro della Procura di Larino nei confronti dei molisani indagati per caporalato in riferimento alla vicenda dei sette braccianti che lavoravano per l’azienda Di Vito. L’indagine, coordinata dal Procuratore capo di Larino, Antonio La Rana, vede coinvolti tre operatori del settore agricolo. L’ipotesi di reato è: sfruttamento del lavoro ed intermediazione illecita, secondo l’art. 603 bis del Codice penale.   “Un fenomeno estremamente grave quello del caporalato. Non si può speculare su persone che vivono sul nostro territorio in condizione di estremo bisogno”. Ha dichiarato all’Ansa, il Procuratore capo di Larino Antonio La Rana .”Ci avvarremo di tutti gli strumenti che la legge ci consente per contrastare questa attività illecita – ha proseguito La Rana – Sono già state sensibilizzate le forze dell’ordine per alzare la guardia nel monitorare e reprimere questo odioso fenomeno”.

Riscontri alle verifiche richieste dai pm sono attesi nel giro di qualche giorno. L’inchiesta della Procura molisana procede autonomamente rispetto a quella di Foggia guidata da Ludovico Vaccaro, proprio l’ex capo della Procura di Larino. Ma è chiaro che le due procure si stanno scambiando informazioni utili per indagini che potrebbero presto portare a ulteriori risultati.

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