Intervista alla moglie caterina

Da un anno il ’terzo tempo’ è senza Mariano: “Mi manca, ma il rugby è una grande famiglia”

A San Giovanni in Galdo è tutto pronto per il primo memorial “Zazza day” dedicato all’istruttore di rugby Mariano Credico scomparso il 28 giugno scorso prematuramente. Sulla sua morte c’è ancora un’inchiesta aperta ma sua moglie Caterina, con la straordinaria famiglia del mondo del rugby, mantiene vivo il ricordo di un campione che in Molise è stato pioniere di questa disciplina. Con Mariano in molti hanno incontrato la favola del rugby e hanno quindi imparato prima la vita poi il gioco. “Inseguendo le regole che disciplinano la palla ovale – ha detto Caterina ricordando Zazza – ti accorgi di quanto sia impossibile costruire senza farsi il mazzo. Di quanto si può ricevere se sei capace di donare. Con il rugby viene fuori il meglio di ognuno. Come Mariano”.

Mariano sorride. Ed è un bel sorriso di labbra e di occhi. Aperto, limpido, semplice. Indossa la giacca di una tuta della sua squadra di rugby, perché Mariano Credico è ormai diventato il campione di tutti. Non più solamente l’allenatore delle Acli (l’ultima sua squadra da istruttore). Piuttosto il condottiero di quanti, tra amici, compagni e rivali sono rimasti orfani della sua umanità.
Orfani come i piccoli Michele (di 9 anni) e Mia (che di anni ne ha 5), che insieme alla loro mamma Caterina e alla famiglia di Mariano a quasi un anno dalla morte di Zazza – così lo aveva soprannominato il mondo del rugby – hanno firmato il primo memorial in ricordo di Mariano, il “Zazza day”.

E così sabato 16 giugno, a San Giovanni in Galdo, sei squadre si ritroveranno sul campo – allestito e organizzato per il rugby da quelli che erano gli allievi di Mariano prima che lui morisse – pronti a contendersi una straordinaria giornata di sport, amicizia e solidarietà. A rincorrere la palla ovale saranno: Torre Annunziata, Afragola, Salento, Sulmona, Spartacus e gli Hammers locali.

E’ passato quasi un anno dalla morte assurda e inaspettata di Mariano. Morte sulla quale è tuttora in corso l’inchiesta della Procura di Campobasso che nel registro degli indagati ha iscritto una sfilza di nomi: dal medico di base a quelli dei sanitari che quella sera prestavano servizio nel reparto di Cardiologia.

E’ passato un anno e Caterina sul suo dolore assicura: “Non va via. E’ impensabile che possa sparire”. Lei, 37 anni, alta, incredibilmente bella, occhi cerulei, alterna nello sguardo lampi di quiete (quando racconta dei suoi bambini) a luci malinconiche e tristi (quando deve fare quotidianamente i conti con qualcosa o meglio, qualcuno, che non aprirà più la porta di casa sua).

Lei, dopo aver raccolto fondi con l’associazione “Talenti e Artisti molisani” per acquistare sei defibrillatori destinati a scuole e associazioni sportive del capoluogo; dopo aver ideato e finanziato autonomamente il murale che oggi campeggia sul vecchio stadio Romagnoli (e che a breve sarà fra l’altro rinnovato) in ricordo di suo marito; adesso ha voluto strappare ancora la distanza da ciò che era prima di un anno fa.

Il memorial che da sabato mattina porterà a San Giovanni in Galdo centinaia di persone, restituisce infatti un pezzo, un piccolo pezzo di Zazza. Che in Molise ha portato il rugby. Lui, precursore unico e assoluto di questo sport nella nostra regione. Disciplina che amava perché – rispecchiando la sua personalità – unisce e non divide. Diverte e non annoia. Galvanizza e non deprime.

Caterina, proviamo a sorridere: Zazza… Alias: Mariano! “Lui nel rugby era chiamato così. Perché come l’ispettore Zenigata di Lupin indossava l’uniforme della polizia e perché come Zenigata era un gigante dal cuore buono. Nel rugby danno un soprannome a tutti. Anche io, per esempio, ero e sono Margot”.

Perché tu porti avanti la sua eredità, che è un peso importante: il rugby, il cuore, la passione, l’umanità di Mariano!
“E’ durissima. Ma ci provo. Lo faccio per mio marito e per i miei figli. Per Michele, soprattutto, il più grande che è una copia del suo papà e che come il suo papà ama il rugby”.

Sabato, hai organizzato qualcosa di straordinario a San Giovanni in Galdo, portando avanti quel disegno di sport a cui Mariano aveva lavorato per anni riuscendo ad ottenere riconoscimenti importanti nel mondo del rugby che in Molise era uno sport sconosciuto.
“Lui aveva iniziato a raccogliere i frutti della sua passione, coltivata con pazienza e abnegazione per tanto tempo. Poi la morte. Oggi sento il dovere di dover trasmettere ancora quel suo messaggio di condivisione e solidarietà che solo il rugby è capace di inviare”.

Come si svolgerà la giornata?
“Alle 11.30 è prevista la Santa Messa, alle 13 il pranzo delle squadre, alle 14.30 inizia il torneo. Oltre a questo ci sarà anche una gara a 15 ‘rugbyold’ alla quale parteciperanno tutti i giocatori storici, ex compagni di Mariano, che giocheranno insieme dopo tanto tempo che non si vedono. Infine ci saranno le premiazioni e il famoso ‘terzo tempo’, accompagnata dalla musica di Charles Papa”.

Hai motivato un’intera comunità… che in queste ore sta lavorando alacremente perché tutto sia perfetto!
“La mamma di Mariano con gli Amici del Morrutto si stanno occupando della preparazione di tutte le pietanze tipiche da offrire agli ospiti. Il campo da rugby è stato allestito dai ragazzi che allenava Mariano e si sono prodigati tantissimo. Inoltre, moltissime persone di San Giovanni in Galdo hanno messo a disposizione le proprie case per ospitare giocatori e visitatori”.

In questo modo mantieni vivo il ricordo di Mariano, ma alimenti anche la passione per il rugby.
“Beh… era il suo sogno. La sua ambizione: tornare a Campobasso e mettere su una squadra di rugby da allenare. Cose che, step by step, ha realizzato. Oggi, infatti, quello che lui voleva esiste. Peccato non ci sia più lui a godere di soddisfazioni e traguardi raggiunti con tanto sacrificio e pazienza”.

Come era la sua vita?
“Sempre a mille. Devo dire però che se non fosse accaduto quell’incidente 4 anni fa che lo costrinse a subire un intervento per l’inserimento di una valvola meccanica, nessuno avrebbe conosciuto il vero Mariano. Forse neanche io. Un uomo capace di grandi gesti d’amore. Protagonista di una generosità quasi mistica”.

Oggi che pensi?
“Che qualcuno te l’ha ucciso. E non l’accetti”.

Ti senti sola?
“La mia vita senza di lui è inevitabilmente vuota. Mi manca il suo caos, il suo baccano, mi manca quando rientrava dall’allenamento storico del giovedì sera dopo il ‘terzo tempo’ e la festa continuava anche a casa. Mi manca tutto di lui. Nel rugby ho trovato una grande famiglia dalla quale ho avuto sostegno e comprensione. Per il resto, invece, preferirei non parlare”.

Michele, vostro figlio, gioca a rugby. Ricorda il papà?
“Vivamente. Lui ha sofferto più di Mia che era ed è ancora molto piccola (adesso ha 5 anni). Ma Michele ricorda il primo incidente che costrinse Mariano in ospedale per quasi un anno. E quindi da allora ha sempre vissuto con il terrore di perdere il papà. Quando lo scorso anno Mariano è finito al Cardarelli per quella dannata febbre, ricordo che tutti pensavamo fosse una fesseria tant’è che io e i miei figli andammo il giorno di Corpus Domini in ospedale a salutarlo. Portai anche loro, proprio perché ero certa che ormai il peggio lo avevamo passato 4 anni prima. Mi sbagliavo: il peggio doveva ancora venire. Oggi Michele è un bambino fiero quando tutti gli dicono che somiglia al papà e penso che anche se non gli fosse piaciuto il rugby, lo avrebbe praticato ugualmente proprio per l’amore che lo lega a suo padre”.

Il giorno dopo quella tragedia, ti sei ritrovata tu e i tuoi due bambini. Cosa vi siete detti?
“Ho pensato a loro. E ho chiesto: ‘Cosa vi renderebbe felice in questo momento?’. Mi hanno risposto: ‘Un labrador’. Quindi un anno fa è arrivato Charlie, un labrador color miele, grande e grosso come Mariano. Affettuoso, caciarone e generoso come Mariano. E loro non se ne staccano mai. Un toccasana”.

Tu?
“Io continuo a guardare la porta di casa sperando che si apra. Ma so bene che è un modo assurdo di esorcizzare dolore e rabbia”.

CN

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