Senso/14

La Politica della Bellezza

Se la nostra Politica non si riappropria di una funzione erotica, ossia di una attitudine a rendere il mondo desiderabile per i cittadini, finirà col predominare l’indifferenziazione, la sproporzione, la disarmonia, il disordine che rende tutto più brutto e l’anima degli individui e quella della comunità tenderanno ad abbrutire, a deprimersi e a ribellarsi in qualche modo. La salute della Politica si misura molto spesso con il grado di bellezza che è riuscita a generare nella città e nella comunità. Questa ritengo sia la prima dimensione da valutare, perché una polis bella è anche quella che desidera contemporaneamente che i cittadini siano più sani, più felici, più creativi e più efficienti.

Mentre si stanno dipanando gradualmente le candidature per le prossime elezioni politiche, dedico questo articolo di Senso ad una riflessione sul “sentimento politico” che ho avuto modo di verificare spesso intorno a noi, soprattutto nei frequentatori e nei domiciliati di quelle che il Papa ha chiamato “periferie esistenziali”, ossia i luoghi dove l’anima spesso non riesce a trovare conforto né sostegno, quelli della solitudine, dell’assenza di cure, dei conflitti, della rassegnazione appresa, dell’ingiustizia coperta da fasce e ornamenti regali.
Li vedi lì, in quei crocicchi dell’esistenza popolati ancora oggi dagli stessi spettri del passato, con gli occhi segnati da una consapevolezza civica maturata a colpi di sberle, quelle della vita, che li situa in una zona “limite”, una zona di confine che è anche lo spazio potenziale di sviluppo di ogni crisi.

Io voterò certamente, anche questa volta, e voterò per loro e per la “bellezza” che essi ci chiedono nelle periferie delle nostre città e delle nostre esistenze; voterò chi mi dirà che metterà al centro del suo interesse il bisogno essenziale che abbiamo, noi come loro, della “bellezza”.

Voterò per loro, perché vedo spesso in quei luoghi il benessere sociale spegnersi, lasciando la psiche di chi vi abita depressa e priva di creatività, mentre la nostra vita quotidiana scivola lasciandosi trasportare da una corrente di eventi che non hanno, talvolta, né mete né ideali, senza entusiasmo e senza fede. La bruttezza, in altri termini, contamina tutti.

Noi psicologi siamo frequentatori abituali, direi quotidiani, delle “periferie esistenziali”, e gli occhi di chi ci ha guardato ci hanno anche resi consapevoli di quanto sia devastante per l’anima la perdita di bellezza, come lo è anche per la vita pubblica, per la comunità e la città, per i singoli individui come per le famiglie. La Politica dovrebbe ascoltare maggiormente noi psicologi.
Gli assunti posti alla base del comando e del potere istituito da un certo modo di fare talvolta “politica”, sono spesso responsabili di corruzione, di devastazione ambientale, di bruttezza estetica delle città, sempre più inclini al gigantismo, rese opache e maleodoranti dall’insignificanza dei luoghi, manifestazione della repressione della bellezza di cui la stessa Politica è talvolta incauta interprete.

La nostra arte, la nostra poesia, la nostra letteratura, la nostra musica, il nostro modo di curare e assistere i malati, di insegnare nelle scuole, il nostro lavoro, quello che noi amiamo, il nostro modo di giocare con i nostri figli, o di coccolare il nostro genitore anziano, malato, e poi i fiori e le preghiere al cimitero, tendono invece a non perderla la connessione con la bellezza.

Voterò dunque per la Politica che saprà dimostrare di averci “incarnati” tutti, che dimostrerà di conoscere le nostre nobili arti, che dimostrerà di conoscere e di avere dimestichezza con le espressioni dell’anima di noi cittadini, di coloro che si “prendono cura” del mondo quotidianamente, e che inconsapevolmente e senza pubblicità hanno interiorizzato soprattutto le periferie dell’esistenza.
James Hillman, un grande psicologo analista e psichiatra americano, scomparso solo alcuni anni fa, ha dedicato a questo tema uno dei saggi più belli e apprezzati della sua immensa produzione scientifica e letteraria, che ha come titolo “Politica della bellezza”.
Egli ha posto la Bellezza e la Politica (nel senso della polis, cioè del nostro vivere comune e condiviso) l’una di fronte all’altra, rivelando come esse abbiano tremendamente bisogno l’una dell’altra, anche se noi non ce ne accorgiamo.

Mi piace molto Hillman, perché ha saputo dire con parole chiare quello che ho sempre sentito senza saperlo dire: l’attenzione che la Politica dà alla bellezza può incidere sulla qualità della vita dei cittadini in senso profondo, non intendendo per bellezza soltanto gli aspetti meramente estetici e decorativi.
La bellezza è tutto ciò che ci “contamina” di benessere come ci contaminano gli affetti (“essere affezionato” evoca “essere affetto da”, che è anche “essere contagiato”), perché essa produce in noi una trasformazione, modifica concretamente il nostro vissuto rendendoci felici.
Hillman diceva che è proprio il nostro senso della bellezza a portarci fuori di noi, a farci affacciare sulla polis, a renderci quindi “cittadinanza attiva”, dal momento che proiettiamo il nostro eros, la nostra energia d’amore sul mondo rendendolo desiderabile.
Senza questo eros noi e la stessa Politica che andremo a votare, non potremo essere sensibili agli stimoli che provengono dal mondo, dalle città, dalle istituzioni, dalle scuole, e dalle periferie, portandoci a trascurare l’esigenza profonda di vivere in un contesto armonioso e desiderabile.

Se la nostra Politica non si riappropria di una funzione erotica, ossia di una attitudine a rendere il mondo desiderabile per i cittadini, finirà col predominare l’indifferenziazione, la sproporzione, la disarmonia, il disordine che rende tutto più brutto e l’anima degli individui e quella della comunità tenderanno ad abbrutire, a deprimersi e a ribellarsi in qualche modo.
Possiamo anche non esserne consapevoli ma la bruttezza, derivante da questa perdita di eros della Politica, si materializza necessariamente in malessere, frustrazione, mancanza di rispetto per l’Altro e per le cose del mondo, in maleducazione, in tendenza a danneggiare, a sporcare, a deformare, a rendere le nostre città maleodoranti e cariche di rifiuti, o di rabbia e persino di violenza, che a livello intrapsichico e interpersonale, per l’anima, hanno la stessa valenza di “rifiuto”.

Quale Politica, quindi, per le nostre comunità?
La salute della Politica si misura molto spesso con il grado di bellezza che è riuscita a generare nella città e nella comunità. Questa ritengo sia la prima dimensione da valutare,
perché una polis bella è anche quella che desidera contemporaneamente che i cittadini siano più sani, più felici, più creativi e più efficienti.
La psicologia, com’è noto, non si occupa soltanto di patologie degli individui, ma ha da sempre rivolto lo sguardo anche alle comunità e alla società in genere. Noi psicologi siamo, infatti, convinti sostenitori del fatto che non esistano solo le patologie psicologiche personali. Esistono, invece, anche le patologie di carattere culturale e collettivo. Noi siamo gli urbanisti dell’anima, ma anche gli operatori ecologici del disagio ambientale.

Potremmo, da questa prospettiva, dire che la psicologia e la Politica sono molto più vicine di quanto si pensi: entrambe, infatti, si occupano, o dovrebbero occuparsi, di eros del mondo, delle relazioni creative tra esseri umani, e tra la gente e le cose del mondo (l’ambiente, le città, i luoghi, l’arte, le culture, le tradizioni). Da questo punto di vista, sono convinto che esista una funzione terapeutica che incarnano o possono incarnare entrambe, la psicologia e la Politica. Molto spesso, infatti, il disagio psicologico non origina semplicemente da una condizione individuale ma è espressione di un malessere collettivo o culturale.

Il politico che vorrà rendere efficace il suo modo di amministrare o di “fare politica” dovrà, a mio avviso, tradurre il suo operato in un “fare anima”, ossia creare ponti tra programmi e operatività concreta e sentimento comunitario, affetti, creatività individuale, in altri termini “cura della bellezza”. Dovrà allora investire, ad esempio, nei luoghi deputati alla memoria collettiva, alla testimonianza storica, al ricordo, che assicura anche il rapporto, perlopiù rimosso collettivamente e individualmente, con la morte.

La Politica della bellezza è la politica che “fa anima”, cioè favorisce la relazione tra gli esseri umani; è quindi la politica che investe sui luoghi che facilitano l’incontro tra gli individui e tra questi e la comunità. In questi luoghi sarà possibile fermarsi a guardarsi negli occhi, sarà possibile cioè riconoscersi negli altri e negli alberi, nei monumenti, nelle terrazze, nelle tradizioni, negli eventi culturali, come anche negli “ultimi” delle periferie. La politica della bellezza farà in modo che ogni cittadino possa sentirsi non solo in un luogo bello ma anche “quel luogo” bello e desiderabile, perché abitare un luogo equivale ad esser fatto dalle percezioni fisiche di quel luogo che si incarnano dentro di me e mi “contaminano”.
La Politica della bellezza cambia la città e la città modifica il cittadino perché il mondo in cui egli vive cambia anche il modo in cui vive.

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