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“Ve lo do io il Molise”: Bobo, il cuoco ambasciatore che da 26 anni va “in missione” il lunedì

66 anni, una popolarità in crescita anche grazie ai successi in tv come le ultime apparizioni a "Cuochi d’Italia", ha aperto il Ribo a Guglionesi nel 1990 e da allora si è messo a "studiare" il Molise, la regione della quale è innamorato «perchè ha tutto, offre ogni cosa» con gite settimanali il giorno di chiusura del suo locale alla scoperta di prodotti, sapori, storie. Colombo Vincenzi, per tutti semplicemente Bobo, romagnolo intimo di Tonino Guerra, è il più autorevole e appassionato promotore del Molise a tavola sebbene non sia molisano. Nella sua cucina il 95 per cento della materia prima proviene dal territorio, e anche nel ristorante stellato della sorella Nadia, in Lombardia, gran parte dei prodotti arrivano da qui.

La falce, il martello e l’altarino del Che fanno ancora bella mostra nel ristorante di contrada Malacoste, un’oasi tra gli uliveti sulla linea di confine tra Guglionesi e Termoli. Il Ribo, che sta per Rita e Bobo, lei di Alleanza nazionale, lui comunista irriducibile – come sanno proprio tutti da queste parti – è stato aperto nel 1990. Quattro anni dopo la coppia s’è conquistata la copertina di Sette, magazine del Corriere della Sera. Era l’anno delle elezioni politiche, quelle che hanno segnato la prima vittoria di Silvio Berlusconi, e il giornale titolava, in un reportage di 4 pagine, “Tra moglie e marito non mettere il voto”.

Oggi Colombo Vicenzi, nato a Rimini nel 1951, per tutti semplicemente Bobo, senza l’appellativo di chef che fa un po’ troppo tendenza per i suoi gusti anticonformisti, ha molto più da offrire del folklore giocato tra il rosso e il nero. In curriculum centinaia di comparse in televisione, pagine di giornale dedicate e un numero di riconoscimenti, medaglie e targhe da fare invidia a un collezionista di trofei. Le sue ultime apparizioni a “Cuochi d’Italia”, il format gastronomico di Tv8 condotto da Alessandro Borghese, dove ha sbaragliato parecchia concorrenza, gli ha valso una popolarità inaspettata.

«Lo sai che la gente mi ferma per strada?» ride lui, già ospite di Sky, Rai, Casa Alice, dove da anni è un habitué e dove porta non la sua cucina o il nome del Ribo, ma il Molise. «Che regione incredibile» dice questo romagnolo intimo di Tonino Guerra, che a Rimini non ci è mai voluto stare e ha trascorso la prima parte della sua vita nella ristorazione termolese, seguendo le orme di papà Walter che nel 1957 ha aperto il “Nove Tavoli” davanti al liceo Scientifico, dove una volta c’era il distributore della Shell di Schiattone.

«Primo e unico ristorante termolese aperto 24 ore su 24. Ci lavoravano 21 persone – racconta – era una cosa pazzesca. Ho iniziato là dentro, da bambino». All’infanzia risale anche la sua prima apparizione in tv, nel programma Campanile Sera. «Mi sono buttato sopra una torta, avevo 8 anni». Oggi che ne ha 66 e ha alle spalle una esperienza lunga e intensa come cuoco in vari ristoranti (dall’attuale Pineta di Petacciato Marina a Guido, dal Drago allo Squalo Blu agli esordi) e praticamente un quarto di secolo come titolare del Ribo, Bobo non ha perso un grammo della sua energia. Il locale che continua a gestire con Rita, sposata nel 1988, è pieno. «Mi avevano dato per morto, e invece sono qua» dice mentre alle sue spalle spicca il piatto 2017 della Michelin, la prestigiosa guida che di recente ha confermato la stella alla sorella Nadia, titolare del ristorante Da Nadia in Franciacorta di Erbusco (Bs).

«Nella cucina di mia sorella la maggior parte delle materie prime proviene dal Molise, regione nella quale ha vissuto a lungo prima di stabilirsi al nord. Una cosa che io non riuscirei mai a fare».
Romagnolo per anagrafe e “formazione culturale” ma molisano per amore, per Bobo non c’è soddisfazione maggiore che svelare come nel ristorante stellato di Nadia olio, pomodori, formaggi, farine, provengano dalla regione che lui contribuisce a promuovere ovunque si trovi e ovunque vada. Chi frequenta il Ribo lo sa: tra la cucina e la dispensa trovare un prodotto che non sia locale è una impresa praticamente impossibile. «Da ventisei anni ogni lunedì, il mio giorno libero, faccio una gita percorrendo tra 200 e 300 chilometri alla scoperta del Molise. Una regione che offre tutto, da qualunque punto di vista, e che voi molisani non conoscete affatto».

Beccati questa e impara. «Il miglior legume di Italia? Lo fanno a Capracotta, lenticche, fagioli e ceci coltivati a 1400 metri in biologico naturale. L’azienda è le Miccole. Il grano? Vai a Morrone, a vedere la coltivazione biodinamica con i campi circondati da corna di bue piene di letame che si scioglie e concima la terra. Parlo di un grano con pochissimo glutine, come quello di una volta, macinato a pietra. Ma anche di cipolla e zafferano. Fantastici».
Del pesce dell’Aspro, Termoli nord, sa vita, morte e miracoli. «Per me il migliore in assoluto. Io mi sveglio alle 5 e mezza ogni santo giorno, da sempre, e lo vado a scegliere direttamente al mercato ittico. Sono il primo cliente, quando mi vedono si fanno il segno della croce come buon auspicio». Parola di uno che il pesce lo cucina divinamente, come gli riconoscono in tanti, ma che non lo può sopportare. «Ah sì, questa storia del pesce. E’ vera. Per mangiarlo ci devo mettere due dita di parmigiano, se no non mi va giù. E se alla brace lo devo riempire di rosmarino e altro. Che ti devo dire? E’ così. Forse mi ha stancato presto. Sono nato sotto il segno dei pesci e ho pure sognato una volta di avere le branchie. Così ho smesso, mi sono disintossicato».

Aneddoti intessuti da quel filo di esagerazione concessa a un personaggio come lui. Bobo non smentisce la sua fama di “alternativo”, cuoco fuori dagli schemi che non chiede niente a nessuno e va dritto per la sua strada di messaggero del Molise più buono, fregandosene dei giudizi e delle stroncature – che ci sono state, come no – di qualche critico dal dente avvelenato. «Hanno parlato malissimo di me perché, per resistere al periodo più nero degli ultimi anni, ho inventato, grazie anche all’amico Polpetta (Piero Ioffredi, ex titolare del Pulp di Campobasso, ndr) il menù anticrisi. Beh, il guadagno è poco, certo, ma al ristorante almeno c’è movimento. E questo è quello che conta per non chiudere, alla fine».

I risultati, in una professione come la sua, si vedono a lungo termine. E Bobo lo sa. Premiato di recente, «per la seconda volta» a Gente di Mare, è ormai considerato molisano doc anche se il suo approccio al sacrificio di un lavoro che, per quanto gratificante, è sfiancante, non ha nulla della rassegnazione e del piagnisteo caratteristico di questi luoghi. Anche quando parla di turismo. «Tutti danno la colpa alla politica perché il turismo non c’è, o va male, ma dimenticano che il turismo lo facciamo noi. La politica deve dare servizi, garantire buone strade, preoccuparsi di altre cose. Ma se poi noi ristoratori, albergatori, baristi siamo sgarbati e spenniamo i clienti che non tornano più e trattiamo male la gente beh, è colpa nostra, mica della politica».

Alla politica non chiede niente, fedele al motto: “Chi mi vuole sa dove venirmi a cercare”. Non ha chiesto nulla nemmeno per lanciare il Molise televisione, nella gara fra cuochi di Borghese. «Ho portato i prodotti a spese mie, tranne la treccia di Santa Croce che me l’hanno regalata». E con quella materia prima ha ricevuto un complimento da Gennaro Esposito, ristorante La Torre del Saracino, due stelle Michelin, «che ora vuole venire a vedere il Molise e che vuole mettere un po’ di Molise nel ristorante. Mi ha detto: “Mai visto un cuoco con una sola padella a 9 ingredienti che alla fine conservano ognuno il suo sapore…”».

Ingredienti magici? «Macchè, ingredienti molisani». E’ il suo pallino, una fissazione, un tormentone. «Lo sapevi che a Pietracatella c’è un pastore che fa ancora il formaggio considerato il miglior formaggio della Capitanata?» Che? Cosa? «Eh sì, perché Pietracatella faceva parte della Capitanata, e i pastori per secoli producevano un formaggio pecorino che vendevano ai viandanti, e con il ricavato si pagavano i funerali dei cittadini. Così il povero e il ricco avevano la stessa sepoltura, nessuna differenza. E il formaggio pecorino era considerato il più buono, e tutti lo compravano. E insomma, oggi c’è un pastore che lo fa ancora…».

Sa i formaggi, i salumi, le carni, le farine, gli oli, i tartufi, il pesce, la verdura, gli ortaggi, i ristoranti uno per uno. Conosce il Molise come nessun molisano. Sa che a Palata si fa «una farina di canapa incredibile e un olio di canapa che fa bene alle arterie», che a due chilometri da Torella del Sannio, «dove c’è una pasticceria meravigliosa, la Dolce Idea, devi provarla» vive un tale Mario Borraro «che faceva l’impiegato di banca e ora è un pastore bravissimo».

E ancora: sa che «il centro storico di Agnone nel medioevo era abitato da famiglie di artigiani veneziani che hanno aperto le prime botteghe», che vicino Isernia «ci sono trulli come ad Alberobello», che «a Pietracupa c’è l’aria più pulita d’Europa, ti rendi conto? E nessuno sfrutta questa cosa». Sa che la ventricina, quel salume speziato e piccante la cui paternità è contesa tra Montenero e Vasto, arriva in realtà dalla Croazia: «Si chiama culas ed è stato portato qui nel 1400 dai croati di Acquaviva». Sa i castelli, le fortezze, le strade, il numero degli abitanti dei borghi semiabbandonati. I posti in cui mangiare bene, i segreti delle cucine dei paesini molisani. E sa raccontarli, questo cuoco che non parla del suo ristorante, che pure registra il successo di 27 anni di vita e dove arrivano da fuori regione per una cena. «Non serve parlare del Ribo o dei miei piatti. Parliamo del Molise, di quello che ha da offrire. Il resto viene da sè, anche i clienti qua dentro». Più che un cuoco, un ambasciatore. (mv)

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