Il 12 agosto per Termoli deve trattarsi di un giorno maledetto. Due eventi, diversi ma entrambi funesti, hanno segnato la giornata di ieri, sabato: il suicidio di un ragazzo di ventotto anni, «nu pizze de gevenòne», avrebbero detto una volta le nostre madri piangendone la perdita, e un violento nubifragio, con forti raffiche di vento e grandine sulla città e il Basso Molise.
Analogamente settant’anni fa, il 12 agosto del 1947, quasi alla stessa ora, si scatenava improvvisamente su Termoli il finimondo: vento fortissimo e una pioggia torrenziale colpivano la città e, soprattutto, il litorale. I marinai, proprio perché avvezzi ai capricci del tempo, ne avevano avvertito poco prima il presagio e frettolosamente erano rientrati con le paranze in porto.
Quel giorno a Termoli era in visita ufficiale il ministro dei Lavori Pubblici Umberto Tupini, accompagnato da un foltissimo codazzo di autorità civili, militari e religiose. La mattinata l’aveva trascorsa visitando i cantieri dell’ospedale e del porto e incontrando le autorità locali e, passate le ore 14, sempre con quel corteo al seguito, approdava al “Panfilo” per il pranzo ufficiale.
Esauriti i discorsi di benvenuto, mentre il ministro si alzava a parlare ecco tuoni simili a bombardamenti, lampi a ripetizione e pioggia, tantissima, accompagnata da un vento micidiale che si rovesciarono sulla costa cittadina. «Il nubifragio durò poco» – scrisse nella sua corrispondenza il giornalista di “Molise Nuovo” al seguito delle autorità – «gli animi, passata la tempesta rimasero accorati nel vedere tanta rovina e amareggiati nell’apprendere che vi erano morti e feriti».
Il morto, questa la seconda, triste analogia con quanto accaduto sabato, era un marinaio di 56 anni, Salvatore De Gregorio, padre di 5 figli, colpito dal pesante timone sollevato dal vento in aria e ricaduto su di lui, mentre scendeva dalla barca per tornare a casa. Le rovine di cui parla il giornalista erano concentrate massimamente sulla spiaggia.
Non esisteva più una cabina in piedi, né ombrelloni e sedie a sdraio. Il tetto dello stabilimento “Medusa” parzialmente scoperchiato. Ovunque intorno non c’erano che detriti. Accanto al “Panfilo” l’acqua riversatasi con violenza inaudita sulla spiaggia dal tratto di via Mario Milano in forte pendenza, aveva scavato un profondo fossato. La spiaggia, fino a quella mattina piena di gente allegra e attrezzature da spiaggia, era irriconoscibile.
Per la cronaca, di fronte al disastro il ministro seduta stante stanziò un milione di lire per i primi interventi. Alla famiglia del marinaio fece pervenire la somma di L. 10.000.«Provammo un senso di disagio quando nel pomeriggio ci ritrovammo per il Corso di Termoli deserto e silenzioso e la città parve oppressa da una tristezza senza fine». Il quadro descritto dal giornalista di “Molise Nuovo” è esattamente sovrapponibile a quello mostrato dalla nostra città settant’anni dopo, cioè sabato pomeriggio del 12 agosto 2017.
commenta