Cronache

Un neonato, 2 mamme e un paese a pregiudizi zero. “Mia nonna le ha anche dato l’anello”

L’accoglienza degli anziani di Guardialfiera a Leon, figlio di due giovani donne, una delle quali - Karole Di Tommaso - molisana. Una storia che racconta il lato più sorprendente e meno scontato della comunità, che ha portato doni e auguri al bambino "senza domandare che cognome avesse e senza porsi il problema del padre". La storia è stata raccontata da Vanity Fair, il magazine sul quale scrive Alessia Arcolaci, la compagna della giovane regista Karole.

Quando Karole Di Tommaso e Alessia Arcolaci sono arrivate a Guardialfiera con Leon, il loro figlio di appena un mese, erano pronte a tutto. Perfino all’accoglienza piena di calore e spontaneità dei vicini di casa. Ma alla nonna novantenne che si è sfilata dal dito l’anello per metterlo nella mano di Alessia, la compagna della nipote, dicendole “ora sei della famiglia”, probabilmente no. «Fra tutti credo sia stato quello l’evento che mi ha colpito maggiormente. I miei nonni hanno tra 88 e 90 anni, non sono certo ragazzini, eppure non hanno fatto una piega. Né hanno chiesto quale fosse il cognome di Leon e come fosse nato. E nemmeno si sono posti il problema di come sarà educato, lui che ha due madri e nessun padre».

Questa storia, che vede un paesino molisano di mille anime teatro di una straordinaria lezione di vita, inizia il 10 novembre scorso quando due giovani donne arrivano a Guardialfiera con il loro bambino nato il 1° ottobre a Roma. A Roma vivono entrambe, ed entrambe lavorano. Alessia fa la giornalista e scrive per Vanity Fair, magazine sul quale ha raccontato in prima persona l’avventura della maternità condivisa con Karole, che invece è originaria del Molise e che in Molise torna spesso e spesso ambienta le sue storie. Karole Di Tommaso è una regista impegnata in progetti cinematografici di qualità, che a Guardialfiera è molto legata.

«Ho una famiglia enorme bellissima e molto grande – racconta –. Oltre ai miei genitori ci sono i nonni, 4 zie e una dozzina di cugini. Non vivo stabilmente in Molise perché per lavoro sono andata via che avevo 17 anni, ma non posso condannare, come essere umano, la mia terra alla possibilità di non fare le cose. E di non conoscere le cose». Per Karole, il cui pallino è quello di combattere la rassegnazione e la disperazione che spesso trovano terreno troppo fertile nelle realtà geografiche più emarginate e culturalmente più isolate, non ci sono misteri né silenzi dietro le sue scelte, comprese quelle di condividere un rapporto esclusivo con un’altra donna e di avere insieme un bambino. «Anche per questo con Alessia, che fa la giornalista, abbiamo fatto una rubrica a puntate su Vanity Fair che dura da un anno, un diario all’insegna dell’onesta che credo sia il valore fondamentale».
Da quella onestà, raccontata e vissuta, condivisa con la famiglia e gli amici, con gli zii e i cugini, senza reticenze come pure senza esibizioni, è scaturita la straordinaria accoglienza a Leon, che Alessia ha descritto sul magazine in una colorata e commovente pagina di diario. «Tra noi nessuno usa termini paralizzanti, non perché di fatto io sono la mamma naturale e la donna che amo, no. Non perché non siamo ancora nemmeno unite civilmente e la mia compagna non è riconosciuta come madre dalla legge (e non lo sarà neanche dopo l’unione civile). Semplicemente perché, dal primo giorno in cui sono stata presentata alla famiglia di Karole, mi sono sentita a casa».

Le due mamme sono arrivate a casa dei nonni, con il loro bambino, in una notte di novembre. Sono rimaste una settimana, durante la quale non hanno avuto il tempo di fare nulla a parte ricevere la processione di amici festosi che sono arrivati praticamente senza interruzione per dare il benvenuto al piccolo e alle sue mamme, per portare in dono orsetti, tutine, scorte di pannolini, perfino qualche banconote come si usa da queste parti.
«Quando siamo partite da Roma – scrive Alessia su un articolo che ha fatto il giro d’Italia e ha fatto invidiare l’apertura mentale di Guardialfiera perfino a realtà più evolute come le metropoli del nord – ero incerta. Come avrebbe reagito il paese, abitato in buona parte da anziani, molto credenti, all’incontro con due donne strette intorno a una carrozzina? Sarebbero riusciti a rispettare il nostro amore, a salutarci come una famiglia «normale»?».

La risposta è arrivata la mattina seguente. Karole, raggiunta al telefono da Primonumero.it, racconta: «E’ andata proprio così: mentre facevamo colazione il campanello ha suonato e si interrotto solo a sera. Sono arrivate, a conoscere il nuovo nato, le vicine di casa, poi zii e cugini, amici, semplici conoscenti. E’ veramente arrivato mezzo paese, e sono arrivati i miei nonni che non avevano ancora conosciuto Leon, nato a Roma. Questa situazione si è protratta per tutti i giorni in ci siamo rimaste in paese. Nessuno ha fatto strane domande, nessuno si è posto i problemi di cui a volte si sente dibattere come se fossero ostacoli insormontabili. L’unica cosa che è emersa è la positività che sta generando questa storia».

Non è una storia di diversità, ma solo di rispetto e di amore. «L’etichetta del diverso – dice Karole – è una trappola. Io non penso di essere diversa da nessuno, e se avessi negato a mia nonna, che ha dato il suo anello ad Alessia, di conoscere un mondo differente, riempiendola di bugie, avrei fatto un torto non solo a me stessa ma alla società intera. Come possiamo pensare di allargare gli orizzonti, di vincere le paure, se siamo i primi a nutrire paure e diffidenze, a non voler mettere in gioco quello che siamo?».

Alessia e Karole hanno scelto di contribuire all’ottimismo, di gettare le basi per un dialogo civile «perché non c’è niente di cui aver paura». E questo è avvenuto a Guardialfiera, un paesino del Molise dove la presenza di due mamme e del loro bambino ha portato in superficie il lato più sorprendente e meno scontato dell’accoglienza, il suo carattere più spontaneo e avulso da pregiudizi.

«Per qualche giorno, il tempo della nostra visita a Guardialfiera, sono venuti a conoscere Leon quasi tutte le persone del paese. E nessuno ha fatto domande sulla diversità. Questo mi ha fatto riflettere. Mi ha fatto riflettere nonna, che ha dichiarato convinta: “Che mi interessa che questo bambino ha due mamme e nessun padre? Io giudico in base all’amore”».

E’ la storia di una società, questa di Guardialfiera, che rifiuta di costruire la paura con i pregiudizi e va a vedere di persona la positività. «Sono convinta che la positività si possa insegnare – conclude Karole, prima di tornare dal piccolino che si sveglierà a momenti per la poppata – e che dipende da noi per primi. Se siamo portatrici sane di pregiudizio, ecco che quello può diventare un problema per gli altri. E vale il contrario, naturalmente».

E il contrario è appunto quello che è successo a Guardialfiera. E che accadrà, c’è da scommetterci, anche durante le vacanze di Natale, quando Karole, Alessia e Leon torneranno per qualche giorno di relax in paese.

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