Cronache

’Ndrangheta, la base operativa sulla costa molisana. Gli affiliati al clan giuravano sui santini

Sorprendenti i risvolti dell’operazione "Isola Felice" che ha portato in carcere in Basso Molise cinque persone. La base del clan mafioso che univa i calabresi Ferrazzo, i messinesi Marchese e alcuni malavitosi locali, era proprio a Termoli, Campomarino e San Salvo. L’organizzazione criminale era specializzata nel traffico di cocaina purissima dal Sudamerica e in quello delle armi. Gli investigatori hanno accertato che gli affiliati al clan di Eugenio e Felice Ferrazzo, già arrestati in passato per raffinerie di droga e l’arsenale di via Mazzini, si sottoponevano a riti di iniziazione con giuramenti, anche con le intercettazioni, sui santini come nel più classico rituale della ’ndrangheta.

I Ferrazzodi Mesoraca, provincia di Crotone, erano alla base. Avevano scelto l’Abruzzo e la costa molisana, come “Isola Felice”, dove rifarsi una vita. Criminale, naturalmente. Qui avevano affiliato i Marchese, famiglia di Messina, ed esponenti della malavita locale, arrivando a formare un clan della ‘ndrangheta. Al quale i nuovi affiliati ottenevano il diritto a entrare solo dopo giuramenti sui santini e altri riti pagani tipici delle organizzazioni di stampo mafioso.

È un’operazione senza precedenti in Molise quella scattata stamane all’alba, coordinata dalla Procura della Repubblica dell’Aquila e supervisionata dalla Direzione nazionale antimafia. Per spiegare le ramificazioni e i meccanismi dell’organizzazione criminale venuta alla luce quest’oggi è arrivato nel capoluogo abruzzese proprio il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti e ha parlato assieme al sostituto procuratore Antimafia dell’Aquila, Antonietta Picardi spiegando nei dettagli come si è arrivati ai 20 arresti, cinque obblighi di dimora (un paio irreperibili all’estero) e 149 indagati per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti e di armi, estorsione, riciclaggio con il coinvolgimento di sei regioni: Molise, Abruzzo, Lazio, Marche, Sicilia e Calabria.

«È stata un’indagine complessa – ha detto la dottoressa Picardi – soprattutto perché cominciata in Abruzzo, conosciuto come snodo di sostanze stupefacenti, con un arresto di una persona con un grosso quantitativo. Si è risaliti a una filiera importante che aveva contatti con Sudamerica, Olanda, e tre collaboratori di giustizia ci hanno aiutato anche a comprendere le intercettazioni ambientali e telematiche».

L’indagine nasce nel 2010, quando i carabinieri di Pescara arrestano uno degli attuali indagati perché beccato con un carico di cocaina purissima, quasi un chilo di polvere bianca proveniente dal Sudamerica. È stata proprio la qualità di quella droga a far scattare le indagini della Procura distrettuale per svelare i complici e la filiera di importazione degli stupefacenti.

Sono seguiti altri arresti e sequestri che hanno fatto capire agli investigatori come dal Sudamerica arrivava in Abruzzo e in Molise un “fiume” di coca. Segnalato anche il sequestro all’aeroporto di Buenos Aires, a fine 2010 e in collaborazione con la polizia argentina, di 8 chili di cocaina liquida che erano destinati proprio in Europa e con precisione alla piazza abruzzese.

Le indagini sono proseguite con intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche e hanno portato a ulteriori arresti e sequestri. Importanti due episodi a stretto giro di posta: a maggio 2011 ai Ferrazzo viene sequestrata una raffineria di droga, camuffata da jeanseria, a San Salvo. Trovati anche 5 pistole, giubbotti antiproiettili e jammer per il disturbo delle frequenze cellulari impiegate dagli investigatori per le attività d’intercettazione. Due mesi dopo in un garage di un condominio di via Mazzini, a Termoli, viene recuperata un’auto stracolma di armi. Un arsenale con kalashnikov, fucili a pompa, pistole e munizioni. Anche in quel caso c’erano di mezzo i Ferrazzo. Eugenio, il figlio, viene processato e condannato, pena ridotta della metà in appello. Felice, il padre, ufficialmente pentito di ‘ndrangheta, esce assolto. Ma a quanto pare il suo era un pentimento di facciata, visto che fra Campomarino, Termoli e San Salvo si stava rifacendo un nome nel mondo del crimine. Pentimento solo simulato, evidentemente, anche quello del figlio Eugenio durante il processo.

La base operativa era proprio qui, con importanti collegamenti a Pescara e L’Aquila. L’organizzazione criminale operava sotto il controllo dei due Ferrazzo di Mesoraca, nel crotonese. Ne facevano parte in Molise anche i fratelli Marchese di Messina. A loro si erano uniti esponenti della malavita locale, che secondo gli inquirenti avevano compiuto il cosiddetto “salto di qualità”, affiliandosi all’organizzazione mafiosa tramite «emblematiche cerimonie che prevedono giuramenti davanti a “santini” e altre immagini sacre insieme a rituali di chiara matrice pagana». Si tratta con ogni probabilità della prima volta che questo tipo di rituali prettamente mafiosi vengono alla luce sul territorio bassomolisano.

Ma il clan aveva ramificazioni in gran parte dell’Europa. Ad esempio in Campania (e precisamente a Torre Annunziata) in Lombardia (a Mariano Comense, Varese ed altri centri di quella provincia), in Piemonte (nell’alessandrino) e altrove. Sequestri di armi sono stati eseguiti in Piemonte e Calabria, così come sono accertati traffici consistenti fra la Svizzera, le regioni del Nord Italia, la dorsale Adriatica fino alla Calabria, spesso con l’utilizzo per il trasporto di autobus di linea carichi di calabresi che emigrano in cerca di lavoro. Ramificazioni persino nei Balcani, raggiunti via mare e tramite i porti della Puglia.

Decisiva, per arrivare a scoprire i meccanismi dell’organizzazione criminale, è stata la decisione di tre arrestati negli anni scorsi, di collaborare con la giustizia. Anche grazie a loro i carabinieri hanno potuto acquisire nuovi elementi a riscontro del loro lavoro e comprendere alcune intercettazioni. Eugenio Ferrazzo, secondo quanto riferisce l’Ansa, sarebbe stato intercettato anche nel carcere di Campobasso. L’operazione “Isola Felice” di oggi è il culmine dell’inchiesta durata praticamente sei anni. Gli investigatori parlano senza mezzi termini «dell’esistenza di una associazione criminale, di natura ‘ndranghetista, con base tra San Salvo, Campomarino e Termoli».

«Il clan Ferrazzo aveva interessi particolari – ha spiegato la dottoressa Picardi -. Il traffico di droga serviva al sostentamento, all’acquisto di armi e al reimpiego del denaro in attività tendenzialmente lecite già esistenti oppure nuove attraverso prestanomi». Armi comprate «non solo in Italia dalla zona di Foggia, in ambienti malavitosi già conosciuta dalla Dna, ma anche dalla Svizzera, appena fabbricate e portate in Italia senza essere dimenticate».

Secondo il magistrato, il clan appena smantellato aveva «legami con mafia, camorra e sacra corona unita. C’erano capi, luogotenenti, singoli responsabili delle zone – ha illustrato -. Ognuno con compito particolare, armi, territorio, spaccio o reimpiego. Importante anche il rapporto con alcuni imprenditori edili che erano a disposizione del clan per attività illecite, uno ha partecipato a un’estorsione al servizio dell’associazione. Inoltre – ha sottolineato – mettevano a disposizione locali per nascondere armi, droga e altro. Uno in Abruzzo e uno in Molise con arsenali e raffinerie vere e proprie per i quali si è già proceduto in passato».

Secondo i magistrati, il clan dei Ferrazzo in Abruzzo e Molise segue lo smantellamento nel vastese del clan camorristico dei Cozzolino, eliminato dalle forze dell’ordine con l’operazione Adriatico di qualche anno fa. Nel lavoro svolto per “Isola Felice” è stato fondamentale il coordinamento della Procura nazionale antimafia che ha raccordato il lavoro portato avanti da altre procure italiane oltre alle rogatorie con le autorità giudiziarie di Argentina, Svizzera e altre nazioni europee. Dal canto loro, i Carabinieri hanno potuto sollecitare l’intervento di altre Forze di Polizia estere grazie al coordinamento di Iterpol e della D.C.S.A.

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