Cronache

Cine-varietà, serate danzanti e un grattacielo di 11 piani: una storia che aspetta il finale

Dopo il granaio, il Palazzo Norante alla Marina diventa cinema, magazzino del pesce e "fabbrichetta" di bibite gassate per i bagnanti. La seconda e ultima parte della ricostruzione storica dell’ex cinema Adriatico rievoca, attraverso documenti e testimonianze, i personaggi che ne hanno gestito le diverse attività e gli aspetti dimenticati della Termoli passata. Fino ad arrivare ai progetti fantascientifici messi in campo per "riqualificare" l’edificio: su tutti quello di un grattacielo di ben 11 piani. Oggi la proprietà è di Residence Pollice, ma l’ultima parola sul suo destino spetta alla Sovrintendenza per via dei molti vincoli architettonici e paesaggistici sulla struttura.

Dopo del granaio (prima puntata)

Pur non essendovi, allo stato, conferme sicure, si ritiene tuttavia che il fabbricato Norante per un certo numero di anni abbia assolto la funzione di granaio cui era stato destinato. Fino a quando? La testimonianza delle sorelle Anna, Lucia e Maria Barone anche se non lo rivela, aiuta a fissare qualche elemento per poterlo ricavare:

«Nostro padre ha sempre raccontato di avere affittato il primo dei tre magazzini di Norante di via Marina all’età di 18 anni, cioè nel 1902. Un locale molto ampio e alto. Il magazzino sul retro era più stretto, ma si estendeva per quasi tutta la lunghezza del fabbricato principale. I suoi muri erano sporchi di nero, come se vi avessero depositato per molto tempo il carbone».

Giuseppe Barone, persona onesta e laboriosa, nel magazzino rimette di tutto. Negli anni precedenti l’ultima guerra in un angolo dello stesso costruisce in muratura un contenitore per la calce viva che lui stesso, con l’aiuto dei figli produce artigianalmente. La sua abitazione è a poca distanza, ma quando d’estate l’affitta ai bagnanti si trasferisce nel magazzino con la numerosa famiglia al completo.

Prima della fine dell’ultima guerra PeppenilleBarone avvia, sempre con l’aiuto dei figli, una nuova attività: la produzione di bevande gassate fresche per i bagnanti che, accaldati e assetati, risalgono dalla spiaggia. «È così che nasce la nostra piccola fabbrica di gazzose che i termolesi di una certa età ancora ricordano». La “fabbrichetta” è costretta a chiudere negli anni Cinquanta per la gelosa opposizione di una nota azienda di bibite del posto».

Le sorelle Barone sono un fiume in piena di ricordi: «Con con i soldi guadagnati, ogni anno nostro padre acquistava alla fiera di Larino un maialino, che poi ingrassavamo all’esterno del magazzino. Dentro, però, abbiamo allevato le galline e subaffittato una parte del locale come deposito per le cabine degli stabilimenti balneari smontate a fine estate». I Barone continueranno a tenere in affitto il locale fino a una decina d’anni fa.

Negli altri due magazzini in cui è suddiviso l’ex caricatoio a un certo punto aprono la loro attività di commercianti di pesce all’ingrosso due stimate persone del posto: Basso De Gregorio e Nicola De Felice, detto Lillino. Il figlio del primo, Rocco, classe 1926, ex ragioniere del Banco di Napoli, ricorda che quando aveva sette-otto anni, suo padre già lavorava in quel locale. In una parte soppalcata di quello affittato da De Felice, i balneatori Sciarretta vi hanno per lungo tempo rimesso le cabine smontate a fine estate. Sia De Gregorio che De Felice hanno tenuto in piedi le loro imprese fino agli anni Sessanta.

Il Politeama Bontempo e il Cinema-teatro Adriatico

Nel dibattito di questi giorni, tra le altre cose, si è sostenuto che l’ex cinema Adriatico, la cui attività è cessata intorno alla metà degli anni Settanta del secolo passato, sia stato il primo e unico luogo di svago e cultura della città per lungo tempo. Dai riscontri effettuati non risulta. Anzi, è da escludere con assoluta certezza.

Prima che esso aprisse i battenti ha operato in Termoli come sala pubblica destinata a spettacoli e conferenze il Politeama Bontempo (1). Almeno dal 1903. In esso si tenevano spettacoli e manifestazioni di vario genere, recite dopolavoristiche, scolastiche, ecc. Vi si proiettavano anche le pellicole del cinema muto.

Una prova inconfutabile della sua esistenza a quell’epoca la fornisce, con grande cortesia, Roberto Crema, cultore appassionato di storia patria: la copertina di un raro libretto a stampa contenente il discorso che l’intellettuale di Casacalenda Giambattista Masciotta tiene proprio al Politeama Bontempo alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, il 23 maggio 1915.

Allo stesso teatro fa cenno qualche anno dopo, nel novembre del 1919, anche il periodico molisano “Democrazia e Rinnovamento”. Nel fare il resoconto della manifestazione elettorale della lista del Rastrello a Termoli, presenti i candidati al Parlamento Presutti e Baldassarre, il giornale afferma che essa si è tenuta «nell’ampia sala del Cinematografo». Senza aggiungere altri particolari.

Il Politeama Bontempo ha la sede sull’ex via Marina, ora Lungomare Colombo, proprio di fronte al fabbricato dei Norante e dispone anche di una terrazza all’aperto.Oggi vi ha sede l’hotel Santa Lucia. Con una lettera inviata alla Giunta comunale da Giulia Bontempo, figlia di Antonio, nell’agosto 1924, si comunica la fine dell’attività del Politeama e la trasformazione dei locali in abitazione privata. Ciò avvalora indirettamente l’ipotesi che il cinema-teatro Adriatico abbia iniziato a svolgere la sua attività solo dopo quella data.

In un documento di polizia conservato presso l’Archivio centrale dello Stato, alla data del 14 dicembre 1929 si segnala l’avvenuta apertura, allorché riferisce che al termine dell’«imponente manifestazione» svoltasi davanti al municipio contro il podestà Cieri l’8 dicembre 1929 «i dimostranti (circa 500 persone, ndr) si portarono in massa nei locali del cinematografo del paese».

Chi gestisce l’Adriatico? Secondo la testimonianza del rag. Nicola Pace, prima di Orlante e Rabottino, di cui si parlerà più avanti, a occuparsi dell’Adriatico come teatro e cinematografo è suo nonno, imprenditore di origine campobassana trapiantato a Termoli, di cui porta il nome. Ad “affidarglielo” sarebbero stati i Norante stessi, con i quali è in rapporti di affari (il Pace ha acquistato proprio da essi i terreni della vallata del Molinello).

Ciò autorizza a ritenere che a gestire prima ancora di lui l’Adriatico, come solo teatro, siano stati gli stessi proprietari del palazzo, verosimilmente a mezzo di loro incaricati. Pace nipote conferma anche la notizia che per azionare con perizia il proiettore suo nonno ingaggia un operatore esperto di Genova. Il cinema muto allora richiamava gente, ma molta di più – afferma – ne attiravano le compagnie di riviste e di operette.

La gestione dell’imprenditore Pace a quanto sembra non dura molto. A subentrargli sono Rocco Orlante e Ruggero Rabottino, detto Gino. Il motore organizzativo della piccola società è, però, il primo (2). Carlo Cappella, poeta e noto cultore di storia locale, ha rivelato anni fa a chi scrive che è Orlante a curare la programmazione degli spettacoli, i contatti con gli agenti delle compagnie teatrali e con i distributori delle pellicole. Compito di Rabottino è la gestione della cassa biglietti.

L’avvento del sonoro attira al cinematografo molta più gente ed è così che nel 1935 – a detta dell’arch. Antonio De Felicesi costruiscono la galleria con le balconate, la nuova cabina di proiezione e una nuova copertura del tetto «con putrelle accoppiate di ferro, timpani in mattoni pieni, alleggeriti con archi, in sostituzione della vecchia copertura in legno». La capienza massima del locale è ora di circa 400 persone, di cui un centinaio in piedi.

Il “pidocchietto”, così lo chiamano i termolesi, si avvia in questo modo a celebrare i suoi “fasti”. In quegli anni il suo palcoscenico è calcato da parecchie compagnie sia di rivista sia di prosa. Attori famosi tengono a passare per Termoli. Un nome che ancora si ricorda è quello del catanese Angelo Musco, che qui ha messo in scena le commedie pirandelliane Liolà e La Giara.

Sulla galleria vi è una curiosità da brivido da riferire: durante un sopralluogo, Antonio De Felice scopre che i pilastri di ghisa che la sorreggevano poggiavano sul vuoto. La circostanza è confermata dal geom. Ginetto Pollice. «È un miracolo – dice il noto architetto – che nonostante le sollecitazioni ricevute il solaio non sia crollato».

Un’altra doverosa citazione da fare a proposito dell’Adriatico è quella del popolare inserviente tuttofare, Michele De Santis, detto “Mambruk”, che lì prestò l’opera sua per molti anni, fino al trasferimento a Genova, dove recentemente è venuto a mancare.

Come accennato in precedenza, il cinema-teatro Adriatico chiude i definitivamente i battenti intorno alla metà degli anni Settanta, in coincidenza con l’introduzione di nuove e più severe disposizioni di legge sulle sale cinematografiche. Dal 1948, una società tra Nicola Limongi, in rappresentanza dei fratelli, e Mercurio Casolino, imprenditore locale del settore della pasta e delle bevande, dà vita al cinema Moderno (900 posti a sedere), relegando in secondo ordine l’Adriatico.

Subito dopo, a iniziativa di un altro imprenditore e commerciante locale, Dino Sciarretta, apre in via Cuoco il Supercinema. Termoli in quegli stessi anni dispone anche di un cinema all’aperto: l’Arena, sul cui schermo campeggiava la frase dantesca «Non vide meglio di me chi vide il vero». La proprietà è riconducibile a Rocco Orlante e al cognato Rocco Crema. Al suo posto è sorto negli anni Sessanta l’enorme falansterio del palazzo Narducci.

Un altro piccolo cinema è aperto nel dopoguerra nei locali di proprietà del costruttore Nicola Mucci ubicati tra Via Fratelli Brigida e Via Mulino a vento. «Locali rimediati all’interno del vasto magazzino del deposito dei materiali da costruzione», racconta Nicola Guarino, figlio del socio di Mucci, Gabriele, e nipote dello stesso imprenditore edile. Di più riguardo a esso non si è potuto apprendere.

Il Caffè Bellavista

Per fornire un servizio alla clientela del cine-teatro, ma non solo, Rocco Orlante apre nei locali addossati al palazzo Norante un bar-bottiglieria (in un documento è detto “Bar e vendita di vino”), dotato anche di sala bigliardo. Una novità per quei tempi. L’ingresso è sia da via Roma sia da Piazza S. Antonio. Un terzo accesso è dall’atrio interno del cinema.

Risale al 1933 il documento d’archivio in cui vi è il riscontro della sua esistenza a quella data. La scritta Caffè Bellavista compare dopo, in coincidenza della sostituzione del timpano triangolare con quello curvilineo esistente tutt’oggi.
A rendere famoso quel locale pubblico, divenuto oggi quasi un mito, sono però Guglielmo Trivelli, grande invalido della guerra 1915-18, originario di Mafalda e due dei suoi figli, Orlando e Tonino. È quest’ultimo, classe 1929, a rievocare quella lontana esperienza:

«Mio padre prese inizialmente in subaffitto il bar da Orlante e Rabottino negli anni della guerra d’Africa (1935-1936, ndr). Poco alla volta mio fratello Orlando e ioriuscimmo a trasformarlo in un locale più moderno. Più che alla bottiglieria, ci dedicammo alla pasticceria e gelateria, prima inesistenti. In prossimità delle feste di Natale producevamo in proprio e vendevamo con successo anche panettoni e torroni».

Nel giugno del 1947 i Trivelli chiedono e ottengono dal Comune di potere occupare lo spazio antistante al locale che affaccia su Piazza S. Antonio allo scopo di farne un luogo d’intrattenimento all’aperto. Vi montano un box grigliato, pieno di fiori e con copertura di lamiera.

«Al suo interno – continua Tonino Trivelli – durante l’estate tenevamo serate danzanti al suono di alcune orchestrine ingaggiate a Foggia e San Severo, che si alternavano a una di Termoli, il cui nome mi pare fosse “Sette voci”». Mitico il principale cameriere di cui il Bellavista si avvale in quegli anni: Nicolino Di Renzo, elegantissimo e sempre altamente professionale.

Va detto, a beneficio dei lettori più giovani e, più in generale, di quanti non ancora abitavano a Termoli a quel tempo, che il Piazzale S. Antonio era il luogo dove si svolgeva la gran parte delle manifestazioni civili e religiose, dunque, il principale luogo d’incontro della gente, attirata oltre che dal belvedere, dalla villa comunale (cancellata nel 1951 per fare posto al municipio). In sostanza esso era ciò che oggi è Piazza Vittorio Veneto.

Trivelli rammenta anche il terribile episodio avvenuto il 12 agosto 1947, quando un improvviso uragano si abbatte su Termoli, causando un morto e danni ingentissimi soprattutto agli stabilimenti balneari. In quella circostanza il fortissimo vento si porta via pure il “roof-garden” del Caffè Bellavista da poco montato.

C’è tristezza nelle parole di Tonino Trivelli quando rievoca la fine del Bellavista: «Partito mio fratello Orlando, ero rimasto solo a fare tutto, essendo mio padre invalido. Inoltre nuove leggi imposero al cinema Adriatico di avere le uscite di sicurezza indipendenti di cui era privo e quelle del bar si adattavano allo scopo. Così fummo costretti a chiudere. Non ricordo bene se è stato il 1952 o l’anno dopo. Il primo gennaio 1957 partii per l’Australia, dando inizio per me a una nuova vita».

Prima di chiudere la conversazione, Trivelli regala a Primonumero un aneddoto divertente: «All’indomani della fine del fascismo anche a Termoli fu disposto dagli occupanti inglesi la cancellazione delle grandi scritte di propaganda del regime. In piazza S. Antonio, ad esempio, ce n’era una che campeggiava sulla facciata della chiesa».

«A ripulirle era stato incaricato un operaio analfabeta, tale G. P, che dopo avere coperto quella sulla chiesa si trasferisce con scala e pennelli davanti al nostro locale pensando che la scritta “Caffè Bellavista” fosse un altro slogan fascista e quindi inizia a cancellarlo. Dovemmo faticare un pò per dissuaderlo».

Il grattacielo di 11 piani e altri progetti naufragati

All’inizio degli anni Sessanta, i Norante consci delle potenzialità, oltre che del valore, dell’ex granaio di famiglia ubicato in un punto invidiabile della città, affidanoall’arch. Antonio De Felicel’incarico di progettare, al posto del vecchio edificio, un grattacielo di undici piani (nove dalla quota di Piazza S. Antonio) a uso abitazioni e negozi.

La commissione edilizia comunale, che all’epoca è presieduta dal sindaco in carica o un suo delegato, nella seduta del 24 settembre 1962 rilascia l’autorizzazione a costruire in deroga alle altezze fissate con la motivazione che: «…l’opera abbellisce la piazza e conferisce decoro al paese».

Sulla base della medesima concezione del bello e del decoro a Termoli sono nati, durante gli anni ruggenti della speculazione edilizia, veri e propri mostri di cemento nel centro città, quali il Palazzo Narducci, tra Piazza Vittorio Veneto e Via Cannarsa e il palazzo Dolente in via Gabriele Pepe. Più altri mostriciattoli, si fa per dire, quali la cosiddetta “Torre di Babele” in via Belvedere, i palazzi De Siati in via Mazzini e altri fuori del centro, come la “Muraglia cinese” di Via Martiri della Resistenza.

Non si sa se a causa di un momentaneo rinsavire o altra ragione, l’autorizzazione prima accordata è poi revocata. Il contenzioso legale che ne è nato è giunto fino al Consiglio di Stato, dopo di che s’ignora come si sia risolto. Il grattacielo, che avrebbe gareggiato in altezza col castello svevo, lì di fronte, non s’è fatto più, ma al Comune e, dunque, ai termolesi, quella “leggerezza” è costata diversi milioni di lire in cause e ricorsi legali.

Un successivo progetto dell’aprile del 1967, di due piani più bassi, sempre a uso abitazioni e negozi, è commissionato al medesimo tecnico dagli imprenditori Dolente e D’Ettorre, evidentemente intenzionati a rilevare il palazzo dai Norante. È da immaginare che l’operazione non si sia conclusa per il diniego del Comune.

Un terzo progetto, questa volta del maggio 1971, poco prima dell’approvazione del Piano Regolatore che destinerà l’area dell’ex Adriatico a verde pubblico, prevede un edificio interamente destinato ad «Albergo ristorante di I categoria». Anche questo è cestinato. Visto il pesante vincolo introdotto dal PRG, i Norante a quel punto si mettono l’anima in pace in attesa di tempi migliori.

Che però non arrivano. Fino a che, e siamo alla metà degli anni Novanta, non decidono di venderlo alla società “Residence Pollice”. Il resto è, in sostanza, storia di questi ultimi tempi, che raccontano dei tentativi della nuova proprietà di prospettare soluzioni per la riqualificazione del palazzo, nel frattempo crollato al suo interno.

Il primo di questi tentativi, risale al 2004, regolarmente autorizzato da Comune e Sovrintendenza, è revocato subito dopo a lavori iniziati. A esso ne seguono altri quattro, fino a oggi. Negli spazi di tempo tra l’uno e l’altro, nuovi soggetti politici entrati quali comitati cittadini e associazioni, pongono con forza la rivendicazione dell’acquisto dell’edificio per mano pubblica e il suo uso come centro culturale.

Una soluzione definitiva sembra essere quella emersa poche settimane fa da un confronto diretto tra proprietà, Comune e Sovrintendenza, di cui Primonumero ha dato conto, anticipando anche alcuni dettagli. Per avviarla in concreto proprietà e Comune, ciascuno per le proprie competenze, sono in attesa del “timbro” dei funzionari della Sovrintendenza, che ritarda.

La dichiarazione di Pino Gallo, assessore comunale all’Urbanistica, è eloquente circa l’intenzione dell’ente locale: «L’impegno mio e di tutta l’Amministrazione comunale in questa vicenda è sanare rapidamente la brutta ferita rappresentata dal rudere dell’ex Adriatico. È un modo per restituire decoro e ordine alla città in uno dei suoi punti centrali e più belli».

Dal canto suo la proprietà, per bocca del geom. Ginetto Pollice, è altrettanto esplicita: «Noi siamo imprenditori. Il nostro compito è fare. Vogliamo dire serenamente a tutti i soggetti coinvolti nella soluzione di darci la possibilità di mettere in pratica la nostra volontà realizzatrice, benintesi nel rispetto delle leggi e dei regolamenti in vigore».

FINE

Note
1) Il politeama prende nome da Antonio Bontempo, costruttore e proprietario di origini alto molisane. Tra la seconda metà dell’Ottocento e fino alla sua morte, avvenuta nel 1902, ha avuto a Termoli un ruolo importante. Oltre a operare nel campo delle costruzioni e dei lavori pubblici (la stazione ferroviaria cittadina, come quella di Larino e alcuni caselli della nuova linea ferroviaria li ha realizzati la sua impresa), ha messo in piedi verso la fine del secolo XIX uno dei primi stabilimenti balneari a mare della città tutto in legno e avviato la costruzione del teatro. Bontempo, legato al primo deputato socialista Antonio Maffi, è stato anche il primo e unico presidente della Società Operia di Mutuo soccorso “Duca di Genova” di Termoli sorta nel 1873.

2) Rocco Orlante, classe 1894, è un termolese che nella sua non lunga vita ha dato prova di grande dinamismo imprenditoriale. Oltre al Caffè Bellavista e al cinema Adriatico, negli anni Trenta aveva aperto sul Corso Nazionale un fornito negozio di oggetti da regalo. Contemporaneamente prestava la sua instancabile e fattiva opera nell’impresa del suocero, Giovanni Crema, di cui aveva sposato la figlia Maria. Muore nel 1953, all’età di 57 anni, in un brutto incidente stradale lungo la strada che conduce alla fornace.

Ringraziamenti

Si ringraziano di vero cuore per la loro sollecita e disinteressata collaborazione:
Le sorelle Anna, Lucia e Maria Barone, M. Cristina Norante, Domenico Antonio Norante, Pasqualino Di Giulio, Antonio De Felice, Roberto Crema, Nicolino Pace, Tonino Trivelli, Pino Gallo, Egidio Limongi, Rocco De Gregorio, Ginetto Pollice.

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