Reportage

Le grandi opere nel paese disabitato: “Tutto sovradimensionato e inutile”

Viaggio nella nuova San Giuliano di Puglia, dove la ricostruzione ha funzionato da risarcimento per i bambini morti sotto le macerie della loro scuola. Il paese, ricostruito ex novo e con infrastrutture incredibili, dalla piscina al centro polifunzionale a piazze artistiche, è quasi disabitato e appare come un paradosso e un simbolo. L’imponente macchina dei lavori Pubblici, che ha trasformato finanche stalle in appartamenti di lusso, non è servita a ottenere l’unità. La comunità resta divisa e lacerata, e molti andati via non hanno più intenzione di tornare.

Il sole è alto e picchia forte sui tetti di San Giuliano di Puglia. Una San Giuliano nuova, colorata pulita e sistemata, mentre intorno la campagna inizia a dare i suoi frutti con la raccolta del grano. Nel piccolo centro che si estende verso il fortore, i mezzi da lavoro scaricano le loro fatiche per le strade semideserte, si vedono alcuni anziani che per passare il tempo siedono sotto l’ombrellone di uno dei due bar che hanno riaperto i battenti in paese. Il rumore delle carte da gioco, ed il tintinnare dei bicchieri di birra sono gli unici rumori che accompagnano questo pomeriggio di fine primavera. «Qui un tempo avevamo l’agricoltura che dava da magiare a tutti» ci dice un anziano seduto a prendere il fresco in quello spazio amorfo che chiamano piazza, “piazza 31 ottobre 2002”, giorno fatidico e drammatico, anniversario del terremoto. Al centro della piazza una fontana con 28 cannelle, 27 per i ragazzi ed una per la maestra. «Ormai anche quella è finita, i giovani vanno via, e le famiglie che sono andate via dai giorni del terremoto non hanno fatto più ritorno, e forse non torneranno più».
Parole che pesano come macigni, per una comunità che tenta di rinascere e soprattutto di riscattarsi dai danni che il sisma ha provocato. Ma l’aspetto più drammatico che colpisce chiunque sia curioso di capire cosa succede in quel centro, è la profonda divisione, la lacerazione che si respira tra i cittadini, tra chi ha avuto un po’ di più degli altri, e tra chi è riuscito a ricostruire prima di qualcun altro. Anche se 27 famiglie non hanno più i loro piccoli tesori, e questo dà il polso della situazione: una comunità divisa negli affetti e nei rapporti, divisioni che nemmeno il tempo riesce a sanare. Anzi.

Mentre la zona nuova è ormai tutta ricostruita, tranne alcune situazioni che lo saranno a breve, diversa è la situazione per il centro storico, un gruppo di case abbarbicato sull’unico colle del paese. Qui le case sono appoggiate le une alle altre, quasi a sostenersi, quasi a dare un senso di protezione naturale. Il centro storico di San Giuliano è un continuo sali e scendi di stradine, ed in alcune di esse a malapena ci passa una persona. E poi gli scalini, tanti scalini che uno si chiede come facessero e come faranno gli anziani ad abitare in quel luogo. Ma è una domanda inutile e senza senso, perché da secoli quel posto è cosi, e da secoli ci hanno abitato. «Questo è il lavoro più difficile della ricostruzione – dice un operaio che lavora lì – le case del centro storico per come sono fatte hanno bisogno di molta attenzione e di molta mano d’opera, in queste strade possiamo utilizzare solo alcuni dei mezzi meccanici che solitamente usiamo».

Ma ci tornerà qualcuno ad abitare in queste case? «Io non sono di San Giuliano – risponde – ma dopo tutti questi anni passati qui a lavorare conosco un scacco di gente, e posso dire che, molti di quelli che abitavano qui, o sono morti o sono all’estero, sono pochissime le abitazioni che saranno rioccupate, abbiamo aggiustato case, che già chiamarle cosi è una forzatura, delle stanze senza pavimenti e senza intonaci che usavano come stalle, oggi stanno diventando degli appartamenti di lusso, ed in molti non sono nemmeno contenti».

Il centro storico di San Giuliano è molto bello, e dopo la ristrutturazione lo sarà ancora di più. Con una pavimentazione che vediamo solo in quei centri storici di città blasonate, quello di San Giuliano rischia di rimanere vuoto, disabitato e abbandonato ancora una volta. E non è una supposizione, sono decine ad oggi le case ricostruite e che non sono abitate nella zona nuova del centro, i proprietari sono fuori, magari all’estero, e da anni non tornano, oppure hanno scelto, per motivi di lavoro di trasferirsi in altre regioni, come decine sono le famiglie che vivono a Termoli, Campomarino o Larino. Il centro storico si sviluppa intorno al Municipio, in via di ultimazione, ed alla chiesa principale del paese, completamente ricostruita, e dall’alto domina il resto del paese che si estende verso Santa Croce di Magliano da una parte e Colletorto dall’altra.
Tutto questo però si scontra con alcune palazzine al centro della piazza, palazzine strane che nulla hanno a che vedere con l’architettura del luogo, coloratissime e dalle forme bizzarre, ed è qui che si sviluppa la vita paesana, il bar, l’alimentari con annesso tabacchino, la farmacia e basta.

Poi ci sono le “grandi opere” infrastrutture sovradimensionate per una comunità che conta poco più di mille abitanti, prima fra tutte la scuola, dedicata ai 27 angeli, rappresenta forse l’opera più grande quanto inutile in un paese dove gli studenti delle scuole raggiungono a malapena il centinaio, numero fatidico per mantenere aperta una scuola. Da una parte loro, gli studenti, dall’altra la targa posta sulla porta con la scritta “Università Tre Torri” con tanto di segnaletica che indica l’aula magna e le aule per le lezioni. Inutile dire che l’Università del Molise a San Giuliano non ha mai messo piede, oggi vi hanno trovato posto gli uffici del call center, che una società del nord, grazie ai contributi regionali, è venuto a piazzare nel piccolo centro. «Un segnale di ripresa economica per l’intera area» dichiararono i politici locali nel giorno dell’inaugurazione. Anche qui ci sono simboli che riportano alla mente i piccoli rimasti sotto la scuola, la fontana che gli abitanti chiamano “giapponese” per via dell’artista che l’ha costruita, circondata da 27 statuine, e una fontana anche qui con le classiche 28 cannelle, 27 ragazzi più la maestra.

E poi c’è la piscina olimpionica che ora l’amministrazione vuole vendere per risarcire le famiglie delle vittime, una piscina che l’amministrazione continua a sostenere strategica per la ripresa economica dell’intera area fortorina, ma che ad oggi nessuno sa quanto costerebbe mantenerla aperta. «Invece di costruire una roba del genere – ci dice un signore del posto – sarebbe stato meglio costruirne una dimensionata al luogo, a quello che potevamo farci, vede qui siamo ormai mille abitanti, e di giovani ne sono veramente pochi, e dubito che la gente della mia età possa frequentare la piscina». San Giuliano è anche questa, quell’ironia tipica degli anziani di un piccolo centro che di colpo vedono alzarsi strutture enormi, e che hanno capito serviranno a poco. E ancora, un centro polifunzionale con annessi laboratori che dovevano servire all’università, ed un palazzetto dello sport, anche questo sovradimensionato.

Poi il parco della memoria, nato nel cratere dove sorgeva la scuola, formato da tanti steli con alla sommità dei led che saranno accesi ad opera ultimata, e proprio dove sorgevano le aule, ci sono delle lapidi in legno che riportano i nomi dei bimbi deceduti, come se fossero ancora seduti ai loro banchi, un luogo, una immagine che riporta la mente a quei drammatici giorni, l’estrazione dei bimbi, la conta delle vittime, le bare bianche che dal palazzetto dello sport hanno raggiunto il cimitero, pianti strazi e rabbia dei giovani genitori, dove su ogni tomba i genitori hanno ricostruito le camerette dei loro figli. C’è chi era appassionato di moto, chi di macchine, chi nella foto è circondata da gattini, chi addirittura insieme al fratello gemello, morti tutti e due, e su ogni foto le frasi che hanno voluto i genitori per ricordarli. Ecco forse solo questo bastava, bastava a riflettere su ciò che realmente è successo in quei secondi, maledetti e drammatici secondi di morte e distruzione. E cosi le grandi opere, ancora da terminare e che nessuno sa cosa farci se non venderle per i risarcimenti, grandi opere al servizio di un’area dove la popolazione anziana è di gran lunga superiore ai giovani, appaiono un paradosso in questo contesto. Forse, si riflette adesso, meglio sarebbero state altre infrastrutture, sicuramente a dimensione d’uomo e di paese. Ma anche per una sorta di risarcimento, morale e materiale, si è voluto costruire questa nuova San Giuliano. L’unica cosa che in questo momento servirebbe è una ricostruzione delle coscienze e dei rapporti, ma per quella, evidentemente, non c’è somma economica che si possa donare.

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