Cultura & Spettacolo

Scoperte: le isole Tremiti erano una prigione per gay

Due ricercatori hanno fatto venire alla luce l’inedita storia di un centinaio di omosessuali confinati alle Diomedee durante il fascismo che non tollerava “devianze”. Vennero rinchiusi in due cameroni nell’isola di San Domino, guardati a vista dai carabinieri. Una vicenda che pochi abitanti delle isole ricordano, e quelli che la ricordano non ne parlano volentieri. I documenti e le testimonianze raccolte in un libro.

Si sapeva che le Tremiti furono terra di confino – dalla dominazione borbonica fino agli anni del fascismo – per criminali e detenuti politici. Non si sapeva, invece, che le Diomedee durante il ventennio mussoliniano furono anche una colonia penale per omosessuali. Meglio: per pederasti, visto che il regime con tutto il disprezzo possibile li chiamava così. Dall’estate del 1939 alla fine dell’anno successivo quasi un centinaio di gay e transessuali vennero deportati nelle isole e lì costretti a soggiornare. Non a San Nicola, dove stavano i “confinati politici” (fra cui anche Sandro Pertini che, si dice, rimase nell’isola qualche mese, nel ’39), ma a San Domino che all’epoca era praticamente disabitata, se si esclude la presenza di pochi contadini. Un isolamento nell’isolamento, insomma.
 
Essere pederasti era un reato punito con cinque anni di confino, e comunque con l’esposizione al pubblico ludibrio, perché era una vergogna da nascondere, una malattia da non diffondere. Uno dei “deportati” delle Tremiti – tanto per fare un esempio – arrivava da Salerno, si chiamava Fefè, e a Salerno aveva provato a inserirsi nella normale vita sociale fino a chiedere la tessera del “partito nazionale fascista”. Tessera che gli fu negata «perché il richiedente è notoriamente affetto da pervertimento sessuale e pertanto disistimato e schivato».
 
Gianfranco Goretti, negli anni dell’Università, ha dedicato molto tempo allo studio degli omosessuali confinati alle Tremiti. Ora ha 41 anni, insegna in un liceo di Roma, e dopo aver conosciuto lo scrittore Tommaso Giartosio ha rimesso mano a quella sua tesi universitaria facendola diventare un libro. Si chiama “La città e l’isola”, pubblicato dalla casa editrice Donzelli. E’ il frutto di una ricerca storica su 45 pederasti di Catania che subirono la discriminazione e la repressione del regime fascista. Arrestati, condannati, trasferiti prima in altre isole del sud (Ustica, Favignana, Lampedusa) e poi tutti insieme alle Tremiti. Dove trovarono altri omosessuali provenienti da Palermo, Salerno, Firenze, Sondrio, Vercelli.
 
Goretti per due volte ha visitato le Diomedee in cerca di testimonianze utili alla sua ricerca: «Ho incontrato parecchie difficoltà» racconta «La gente del posto non parla volentieri dei pederasti. Il ricordo dei detenuti politici obbligati al soggiorno nell’isola di San Nicola è ancora vivo. Ma per quanto concerne gli omosessuali costretti a vivere a San Domino la memoria è molto vaga». Alla fine, si è dovuto affidare alle parole di Gaetano Carducci, ultranovantenne che rappresenta la memoria storica delle Tremiti. O ai documenti rinvenuti nell’Archivio di Stato. O, ancora, alle parole di qualche pederasta confinato nelle isole adriatiche. O a quelle di detenuti politici “inviati” a San Nicola nell’epoca del fascio, fra cui quelle un po’ sprezzanti di Mario Magri «A San Domino c’era una colonia di “signorine”: erano un centinaio di pervertiti. Questi poveri diavoli, tra i quali c’erano anche dei buoni artigiani e persino dei professori, vivevano in modo orribile».
 
A loro, agli omosessuali, non era infatti concesso abitare in case private. Erano ammassati in due cameroni sulla strada della Cala dei Benedettini, guardati a vista da un paio di carabinieri che all’imbrunire chiudevano a chiave gli ingressi, salivano sulla barca che li riportava a San Nicola per la notte, e ritornavano il mattino seguente. Nei cameroni non c’era bagno, ma solo i pioli, un’attrezzatura di fortuna per le necessità della notte. A uno dei prigionieri veniva affidato il ruolo di capocamerone e stabiliva i turni per tutte le incombenze: lo svuotamento dei pioli, la cucina, le pulizie, la raccolta delle fascine nel bosco e dell’acqua alla fontana. Oggi uno dei due cameroni è stato trasformato in una residenza privata, l’altro è stato inglobato nell’Hotel San Domino: «Ben pochi turisti» scrivono Goretti e Giartosio «immaginano la destinazione originaria del loro albergo».
 
Uno dei confinati, Giovanni B. detto peppinella, recentemente e dopo molte insistenze ha dato una intervista al giornalista Giovanni dell’Orto descrivendo così il suo periodo di confino alle Tremiti: «Ognuno cercava di fare la sua attività: chi sapeva fare il calzolaio faceva il calzolaio, chi sapeva fare il sarto faceva il sarto. Io facevo il lavoro più bello: facevo "la sarta" per i carabinieri, e me li trovavo tutte le mattine alle sei mezzi spogliati… Ce ne era uno che si chiamava V.: quanto era bello! Dopo quarant'anni me lo ricordo ancora… Poi cercavamo di vivere bene, come si poteva. Ridevamo, facevamo teatro, facevamo delle cose… Che so, arrivava un telegramma che annunciava che stava per arrivare un femmenella nuovo, e allora davamo una lira ciascuno per preparare una tavolata».
 A S. Domino c'erano anche prigionieri di altro genere, o lì venivano confinati solo gli  omosessuali? «No, c'eravamo solo noi: i prigionieri comuni stavano all'isola di fronte. C'erano anche dei prigionieri che erano veramente politici, e loro qualche volta scendevano giù da noi per fare qualche marchetta. I veri politici tenevano tutti quanti case fittate (mentre noi non potevamo), e loro stessi molte volte chiedevano permesso al direttore per venire da noi per fare due risate insieme».
Che rapporti c'erano con le guardie sull'isola? «Eh… Pure i fascisti e i carabinieri si volevano togliere lo sfizio di venire con noi, in un modo o nell'altro…».
 
Ai confinati lo Stato passava una paga – la chiamavano mazzetta – di 4 lire al giorno. Una miseria: «Qui la vita è enormemente cara» scrisse un giorno Raffaele detto ‘a leonessa, in una lettera di protesta al ministero «per dare un’idea del costo, si cita il pane per esempio, a lire 2,40 il kg., i legumi e soprattutto i fagioli l’unica risorsa per poter fare una zuppa a quasi lire 5 il kg. Non si parla di altre derrate il cui costo non permette nemmeno guardarli…». C’era un solo negozio in tutta l’isola (a differenza di San Nicola, dove i commerci erano molto più intensi) e qualche fortunato riuscì a trovare lavoro come garzone nel piccolo bazar. Altri si aggiustarono come sarti, o come barbieri, o come guardiani del gregge per conto di alcuni contadini. Ma sempre con grande difficoltà.
Fino a quando, nel 1940, per i pederasti giunse la “buona” notizia: era scoppiata la guerra e quale mese dopo l’inizio del conflitto il regime decise di liberare i confinati di San Domino: «Furono tutti graziati» scrisse con un po’ di livore il detenuto politico Magri «e partirono inneggiando al capo del governo e mai voci più argentine acclamarono il suo nome e cantarono le lodi in suo onore».

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