Termoli ieri e oggi

Il Corso Nazionale, da Don Peppe Pannunzio e Luigi Mya a… Fasciano

Viaggio nella storia della strada più importante di Termoli della quale i commercianti hanno celebrato la “morte” durante le recenti proteste anti chiusura al traffico. Ma com’era il Corso nel secolo scorso? Dalle case signorili ai bottegai: ecco tutti i personaggi che hanno segnato il dopoguerra e i primi Anni Cinquanta con le loro attività, dai barbieri agli alimentari, dai negozi di confezioni alle cantine e alle gelaterie.

Ne ha viste tante e di tutti i colori il Corso Nazionale durante la sua ormai lunga vita. Nulla, però, che assomigli alla rappresentazione offerta nei giorni scorsi da alcuni commercianti del posto, in cui rabbia, protesta e folclore, ben miscelati, sono sfociati nella parodia dell’evento più triste della vita: la morte. La morte del Corso, appunto, inevitabile se – come dicono i “ribelli” – la strada principale di Termoli diventa per sempre libera dalle automobili.
Ma se questa è l’attualità, il passato di Termoli e del Corso Nazionale qual è stato?

La nuova Termoli e il Corso Nazionale

La storia della nuova Termoli e la stessa esistenza del Corso Nazionale sono – come si sa – originate da un atto di “generosità” borbonica. Fino al 1847 la città di Termoli è «compresa e compressa» entro le mura del Borgo Vecchio. Passando per Termoli, appunto in quell’anno, Re Ferdinando II delle due Sicilie, accoglie finalmente le suppliche dei sudditi termolesi e abolisce il divieto di costruire case “fuori le porte”. Da allora, una nuova città inizia a prendere forma. Una città semplice e razionale nelle sue linee essenziali, che qualcuno, con stupefacente ignoranza, anche in questi giorni, chiama “murattiana”.

Sviluppatasi dalla ferrovia al mare, lungo tre ampie strade diritte e parallele (i cosiddetti I-II-III Corso), intersecate a loro volta da altre più piccole e altrettanto diritte, la nuova Termoli, dai 2500 abitanti circa del 1847 passa ai 5000 del 1900. Da allora è un continuo crescere della popolazione, fino ai 32.500 registrati a fine giugno 2009.

Di questa nuova città il Corso Nazionale (il “Corso” e basta per i termolesi) è, da subito, la via “bene”, quella della case dei “signori”, dei negozi e delle botteghe. La via del passeggio nei giorni di festa, ma anche quella dei funerali, così come dei matrimoni e delle sfilate politiche, religiose, ricreative, delle gare sportive. Nato nel 1850 (fonte: C.Cappella), all’inizio del XIX secolo il Corso già risulta dotata di illuminazione (a gas) e con i marciapiedi pavimentati da lastroni squadrati di pietra. In seguito anche la carreggiata in terra battuta viene ricoperta con selci squadrate. La bitumazione arriverà intorno alla metà degli anni Trenta e costituirà un evento.

Lungo il Corso si apre piazza Vittorio Veneto, lo spazio che i termolesi sperano che un giorno non lontano diventi il salotto cittadino. È chiamata sbrigativamente “Piazza Monumento” e questo da quando nel 1926 vi hanno installato il monumento ai caduti della “Grande guerra”. Sul finire degli anni Trenta il Corso subisce uno sventramento all’altezza di Corso Umberto I. Un paio di abitazioni vengono abbattute per realizzare il collegamento diretto dalla stazione ferroviaria con via Carlo del Croix e, quindi, col porto appena ultimato.

Botteghe e bottegai

Si è fatto cenno alle attività lungo il Corso. Si tratta in prevalenza di piccoli negozi e botteghe artigiane. In qualcuna di esse il retrobottega fa anche da abitazione. Molti i ricordi e gli aneddoti riguardanti questa strada. Incancellabili quelli personali del dopoguerra e dei primi anni Cinquanta.

Anni molto duri. Soldi in circolazione ce ne sono pochi, tanta la disoccupazione e, conseguentemente, la miseria. Tuttavia c’è chi non si arrende e prova a ricominciare aprendo una propria attività. Il Corso è di per sé una vetrina e molti vi vorrebbero tenere bottega. Il traffico, che si svolge in entrambi i sensi di marcia, non è un problema, essendo davvero pochi i veicoli a motore in circolazione.

Sulla strada numerose sono sale da barba. Dall’incrocio con Corso Umberto I fino a Via Roma: Giovanni Cannarsa, titolare del salone detto “Montecitorio”, Gino Galasso all’angolo con via XX Settembre, dove nei giorni passati è stato montato l’altarino funebre della protesta dei commercianti guidati da Fasciano, Potalivo, padre e figlio. Poi Vittorino Cieri, Achille Di Pietrantonio (“Z’Achèlle”) e suo fratello Umberto.

Salendo, la sartoria di Giulio De Santis, detto “Gelejòtte”, Luigi Mya (Giggio Mi’), colta figura di animatore culturale, con lo studio fotografico e i pupazzetti del presepe, Alfredo Di Giulio, “U mastre”, spesso in stivaloni e pantaloni alla zuava nel suo “Bazar”. La tipografia di Eliseo Jovine, detto “Tizzone” e quella di Attilio Cappella, l’orologeria e oreficeria di Salvatore Sciarretta (“Šcatelélle”) e quella elegante e raffinata di Don Peppe Pannunzio.

Ci sono gli alimentari del vastese Sebastiano Lemme, di Salvatore Casolino, alias “Squajachiumme” (anche torrefazione del caffè), del “casolano” (cioè di Casoli, prov. di Chieti) Giulio Pietropaolo. Il negozio di merci varie dell’ex capostazione Iannucci dove oggi c’è l’abbigliamento Mancini, poco oltre il forno di Salvatore Caruso (“Capelòtte”) e vicino quello di “Rómemanze” (Costanzo De Gregorio e sua moglie Lucia Catenaro). I bar: il “Tre Stelle” dei fratelli Mautone, con i pinguini affrescati sopra una parete della gelateria, il bar detto della “Ciòppe” dei coniugi Giovannina Russo e Luigi Priore, il “Farina” di Domenicuccio Farina, quello di Maria A Còcche”, il Bar (gelateria) dello Sport di Manfredo Sciarretta, dove si produce il “cono sport”, uno squisito gelato rivestito di cioccolata.

Di fronte la mitica gelateria di Basso Ragni, con l’altrettanto mitico gattone di ceramica posato sul bancone. Accanto, la cantina della signora D’Aloisio, detta la “Civitese”. Un’altra cantina, sull’ex via Borgo (oggi via D’Andrea), ma ugualmente affacciante sul Corso, è detta “Sètte Giacchétte” o, se si vuole, in una versione più “chic” “Lass Giacch”. Due le tabaccherie: quelle di Demetrio Luzzi e Paolo Potalivo, il primo originario di Guglionesi, il secondo di Montenero di Bisaccia. Sul Corso si trovano all’epoca la sede del Banco di Napoli, la sezione del Pci (in coabitazione con la Camera del Lavoro CGIL), l’ufficio postale, l’esattoria comunale e quello dei telefoni (con le indimenticabili sorelle Innocenzi).

E poi ancora la cartolibreria Spinozzi, il negozio di modista di Dragani, l’edicola di Aurora Sciarretta e quella di Vincenzo Tundo e figli, il negozio di calzature del “Serrano” (cioè originario di Serracapriola) De Luca, che come insegna di richiamo ha una scarpa gigante posta su una mensola all’esterno del locale, il distributore di benzina.

Non mancano le farmacie, due, le uniche per lungo tempo a Termoli: Sciarretta (oggi Cappella) e D’Andrea (oggi Marino), i negozi di tessuti di Flaviuccia Sciarretta e della “Sammartinese (Renzi), quello di “Ze Pitre”, cioè Pietro Zuppone, l’abbigliamento dei fratelli Martinelli (oggi Aprile confezioni), la coltelleria di Di Muzio, col figlio Raffaele, detto “Churcill”, l’orologeria D’Aloisio.

Poche, invece, le attività collocate sul tratto del Corso compreso tra Corso Umberto e piazza Regina Elena (la Madonnina). L’autorimessa Fiat con annesso autonoleggio del Cav. Pantaleo, il negozio di abbigliamento di Don Ciccio Cariello, ex comandante della milizia fascista locale, dove si pratica il rito, sempre uguale, del bicchierino di rosolio offerto ai clienti, quello di materiale elettrico di Luigi De Santis, detto “Luigino della luce” e quello di biciclette (marca Doniselli) e bombole del gas di suo figlio Gaetanino. Di fronte a loro la bottega di meccanico di Bruno Zanardi, un simpatico milanese sposato a Termoli, e per finire l’ingrosso della famiglia Di Gioia (il cui fabbricato è stato abbattuto di recente).

Le case signorili

I grandi palazzi signorili del Corso sono quelli dei Graziani e dei Muricchio, del medico Don Paolo Sciarretta, quello del famoso cagnolino attaccabrighe (U caccenille Don Pavele), del rag. Italo Sciarretta, ultimo podestà fascista di Termoli, dei fratelli Arnaldo e Bruno (Gino) Sciarretta, farmacista il primo, medico il secondo, del citato Cariello, dei Di Gioia, dei D’Agostino (la famiglia del vescovo Biagio).

Accanto e attorno a essi vi sono anche case modeste, se non addirittura casupole, come quelle site in prossimità del ponte sulla ferrovia. Qui Corso Nazionale si allarga dividendosi: verso via Cesare Battisti e verso la statale 16 (oggi viale Trieste). Nel triangolo che forma, una bella fontana a forma di conchiglia adorna l’ambiente circostante. Al suo posto ora c’è la colonna con la Madonnina. È qui che i funerali, dopo l’ultima benedizione alle salme, si avviano per il cimitero. Da qui, superati i tre palazzi dei ferrovieri, finisce l’abitato e inizia la campagna.

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