Termoli ieri e oggi

I gestori, i clienti, le donne Micro Bar: una storia termolese

Inchiesta sullo storico locale di Piazza Monumento - oggi sotto sequestro - attraverso il racconto dei protagonisti di sessant’anni di attività. Dal dopoguerra ai giorni nostri, da Tanino De Chellis agli Antonetti ai Salerno: come è nato ed è cambiato il chiosco più famoso di Termoli, e il grande ruolo svolto dalle donne nella sua gestione.

L’inizio
 
Quella del “Micro Bar” è una storia imprenditoriale “termolese”, nel senso che tutti i proprietari avvicendatisi nel tempo sono originari di Termoli. Cosa tutt’altro che frequente. Ed è anche, per molti aspetti, una interessante e bella storia al femminile, per il ruolo che vi hanno svolto le mogli, sia come “lavoranti”, che nella gestione vera e propria dell’attività.
 
L’inizio risale a circa sessant’anni fa, esattamente alla fine del 1948. Termoli sfiora i 10.000 abitanti. La guerra, che pure l’ha attraversata, non ha lasciato segni di distruzione fisica apprezzabili, né quella lunga scia di lutti e devastazioni, anche morali, tipica di altre parti d’Italia.  
 
Le scuole e le altre attività pubbliche sono già state riattivate, tornati al lavoro i pescatori e i piccoli contadini di Pantano Basso. Grosse difficoltà permangono, invece, per gli edili e la manovalanza. La miseria, vista la sua estensione, non produce discriminazioni. L’Amministrazione comunale cerca di fronteggiarla come può, aprendo qualche cantiere di lavoro e distribuendo sussidi e buoni viveri attraverso l’ECA (Ente Comunale Assistenza).
 
In un contesto del genere, chiedere, come ha fatto due anni prima Manfredo Sciarretta, proprietario del lido “Panfilo”, il terreno al Comune per costruire un albergo vicino alla spiaggia, appare pura follia. Invece Manfredo è solo uno che ha capito, prima di tanti altri, che il turismo può diventare uno dei volani della ripresa. Non solo, ma anche della trasformazione di Termoli in città moderna. E ciò invoglia a rischiare.
 
Tanino De Chellis
 
Incoraggiato da questi esempi, ma soprattutto sorretto da una forte determinazione, il 32enne Gaetano De Chellis, detto Tanino, fino ad allora cameriere presso il centralissimo Bar Farina (l’attuale Jolly Bar), prima della fine dell’anno chiede al sindaco «l’autorizzazione per l’impianto al Corso Umberto I di un chiosco da adibire per la vendita di bibite, caffè, latte, gelati». Folle pure lui? Tutt’altro.
 
Come il balneatore Sciarretta, anche Tanino vede giusto, inoltre possiede pure il carattere adatto per queste cose: grande fantasia, spericolatezza, qualche punta di stravaganza, simpatia. A cui aggiunge, come elemento di tutt’altro genere, un amore senza limiti per i cani. Anche il soprannome che gli hanno appiccicato, un’usanza largamente diffusa all’epoca, si distingue dagli altri in voga a Termoli: “Pampurio”.
  
Gli amministratori della città hanno un assillo: rilanciare qualsiasi attività economica, e con delibera consiliare numero 3 del 26 gennaio 1949 lo autorizzano «a installare il chiosco in legno conformemente al progetto approvato dalla Commissione edilizia», previo pagamento di una tassa di occupazione del suolo pubblico «di £. 3000 annue da pagare al Comune non oltre il 15 agosto di ogni anno, e revocabile per morosità». Durata della concessione: cinque anni, rinnovabili.
 
1949. Nasce il “Micro Bar da Gaetano”
 
Tanino si mette subito all’opera e in poco tempo il chiosco è pronto. Glielo realizza un bravo mastro falegname, Nicola Di Pietrantonio, detto “Cascella”, con laboratorio in via Adriatica. Consiste in un insieme di pannelli che, montati, formano un unico, piccolo ambiente molto luminoso. Sul lato rivolto alla piazza ha un grande finestrone con apertura a “bilico orizzontale” per il passaggio delle bevande e dei gelati all’esterno. La facciata ha forma rotondeggiante, sovrastata dalla scritta “Micro Bar da Gaetano”.
 
L’inaugurazione avviene in primavera. Renata, la gentile veneziana che ha sposato De Chellis, ricorda nitidamente quel momento: «C’era parecchia gente, tra gli altri lo stesso sindaco Armando Di Bitonto e il prete della parrocchia per la benedizione». Il locale parte subito alla grande, in poco tempo diviene il ritrovo alla moda della città. Tanto che anche il corrispondente de “Il Tempo” Enzo Memeo, nel dar vita sul giornale a una rubrica di fatti e curiosità locali la intitola: “Attorno al Micro Bar”.
 
Oltre al servizio efficiente e di qualità, il locale è famoso per l’ottimo gelato artigianale. Con l’arrivo dell’estate l’attività e il successo esplodono. Decine di tavolini all’aperto attirano molta gente, in particolare i villeggianti.
 
Con il titolare e la signora Renata, vi lavorano altre due persone: i camerieri Nicolino Di Renzo detto “Villamagna”, classe 1905, uno dei più contesi a Termoli per la sua indiscussa professionalità, e un apprendista, il diciottenne Vincenzo Ciampone, al quale gli amici hanno regalato il soprannome di “Cciappétte”.
 
Non solo il personale e il servizio sono di prim’ordine, ma anche l’arredo. De Chellis è l’unico   a usare, qualche tempo dopo l’apertura, tavolini e sedie di vimini per lo spazio all’aperto. «Quelle sedie – rammenta la signora Renata – costarono ciascuna 3000 lire, una fortuna per l’epoca. Mio marito teneva a fare bella figura e non badava a spese. Per esempio sui tavolini è arrivato a posare tutti i giorni piccole confezioni di fiori freschi e addirittura a profumare le tovaglie». 
 
Un’ulteriore svolta nella storia del locale è la concessione dell’apertura notturna. Il Micro Bar è il primo locale pubblico di Termoli a ottenerla. De Chellis in quelle ore ne affida la gestione a tale “Don” Mosé Arosio, un monzese già esercente del bar alla stazione ferroviaria.
 
Prima di chiudere la pagina dei ricordi personali, Renata De Chellis ci regala un aneddoto di quei primissimi anni di attività: la “trasferta” alla Madonna a Lungo nel giorno della tradizionale scampagnata del martedì dopo Pasqua. L’impresa (si fa per dire) è immortalata persino in una foto in cui si vedono lei, il giovane cameriere Ciampone e lo stesso Tanino De Chellis, malamente riparati da un ombrellone, dietro una luccicante macchina da caffè marca “La Pavoni”.
 
I nuovi soci. La gestione Antonetti
 
Purtroppo la bella favola di Tanino De Chellis non dura molto. Qualche tempo dopo l’apertura ecco affacciarsi le prime difficoltà e la necessità di allargare ad altri la società. È così che fanno il loro ingresso nella proprietà Eustachio Antonetti, fino ad allora operaio agricolo, di 26 anni, e il ristoratore Antonio Romantini di 45. L’anno è il 1952. In seguito Romantini lascia il Micro Bar per aprire nei pressi della stazione il ristorante “Il Gambero”, e Antonetti diventa proprietario unico.
 
Il 1957 è l’anno in cui il locale subisce la prima delle sue ristrutturazioni. In realtà si tratta di un rifacimento totale, dovendo sostituire integralmente il legno con materiali più robusti e duraturi, quali ferro e travertino. La progettazione e direzione lavori è affidata all’architetto Ugo Trivelli. Per l’esecuzione sono chiamati il mastro muratore locale Basso Del Gatto, l’indimenticato “Maciste”, e due fabbri vastesi, i fratelli Trivelli, parenti del progettista.
 
Così modificato nel suo aspetto esteriore e anche nell’arredo interno, il “Micro Bar di Antonetti attrae ancora più clientela. Al pari della signora De Chellis, un ruolo fondamentale lo assolve la signora Colomba, ma per tutti Olimpia, moglie di Eustachio. È lei, assai più che il marito, a svolgere servizio bar e di cassa e tenere le pubbliche relazioni.
 
Nel contempo il locale accentua sempre di più la sua funzione sociale e di pubblico servizio: i noleggiatori di auto lo usano come postazione telefonica per il loro lavoro, i ferrovieri e i viaggiatori in sosta come punto di ristoro durante le ore notturne. Più tardi nel tempo, clienti e semplici passanti potranno godersi anche le partite dei campionati mondiali di calcio da un televisore gigante montato all’aperto dal radiotecnico Marcello Tarantini.
 
Indimenticabili in quegli anni al “Micro Bar” le tavolate a base di ciavedèlle, di polli arrostiti o pizza appena sfornata, a cui prendono parte, a ora tarda, i numerosi amici del proprietario e, spesso, il personale degli altri bar della piazza. Con Antonetti  lavorano in qualità di camerieri il già menzionato Nicolino Di Renzo (vi resterà per poco) e soprattutto Rocco Romantini, detto “Anzillone”, e il giovanissimo Franco Bontempo.
 
Anche la moglie di Eustachio Antonetti ricorda una “trasferta” esterna. Risale al 1957, quando l’allora sindaco La Penna chiese loro di assicurare il servizio-bar alla I Sagra del pesce. «Non facemmo neppure in tempo a iniziare, che un violento acquazzone mandò all’aria tutto».  Poi dice di quegli anni: «Sono stati anni di duro lavoro e di sacrifici, basti dire che i miei figli li ho praticamente cresciuti in piazza. Abbiamo però avuto in cambio molte soddisfazioni».
 
I Salerno
 
Ma anche per Antonetti e signora arriva il momento di mollare. Lo fanno nel 1979. Olimpia, però, non è abituata a starsene con le mani in mano e apre una gelateria in Corso F.lli Brigida, di fronte al “Lumiére”, chiamandola col suo nome. A rilevare l’ormai storico locale di piazza Monumento è il quarantenne Basso Salerno, da tutti chiamato Bassuccio, già gestore del Bar dello Sport, in fondo al Corso Nazionale.
 
Lo aiutano sua moglie Liliana e, più limitatamente data l’età, i due figli maschi, Achille e Massimo. Ma ecco abbattersi, improvvisa, su di loro la tragedia. Nel 1980 Bassuccio muore a soli 41 anni in un incidente stradale. Una prova durissima aspetta ora Liliana e i suoi giovani figli.
 
Ma sanno reagire, con il lavoro e la volontà di riuscire. Nel 1984 ristrutturano il locale, ormai cadente a causa del grave degrado dei materiali. Per non sbagliare incaricano uno dei migliori tecnici di Termoli: l’architetto Antonio De Felice.
 
All’inizio degli anni 90 il desiderio di accrescere il prestigio del locale è tale che i fratelli Salerno, ormai cresciuti ed esperti (Massimo nel frattempo è diventato un qualificato Barman Aibes), sempre con il supporto fondamentale della madre, innovano radicalmente sia nel servizio che nell’arredo. Dice Massimo al riguardo: «Per me e mio fratello il “Micro Bar” ha rappresentato un’ottima scuola di formazione professionale e il locale un arricchimento dell’offerta dei servizi di qualità a Termoli».
 
Nel 1991 il Comune impone a tutti i bar concessionari della piazza di non utilizzare più gli ombrelloni come copertura. Il gazebo dei Salerno trasforma quello spazio in un elegante salotto. Nel 1993, per primi introducono l’orchestrina dal vivo, che terranno fino al 2005. Nel 1994 viene loro concesso di chiudere a vetro 40 metri quadri dello spazio esterno e loro lo arredano come si deve, con tendaggi, stufe per l’inverno e ventilatori in estate. Nel marzo 2006, in quello stesso ambiente vi è stata anche la presentazione del romanzo giallo “La tela di Sant’Agata” di Patrizia Morlacchi.
 
Nel 1997 i fratelli termolesi e la loro madre aprono il Masachi Caffè in Corso Nazionale  e nel 2006 il “coffee shop” L’Opera in via delle Acacie, laboratorio di pasticceria e catering con annesso punto vendita. Ma il colpo più importante i Salerno lo realizzano nel 2003, rilevando a Pescara il centralissimo Caffè Berardo, riportandolo, dopo anni di decadenza, al prestigio di una volta in poco tempo. Complessivamente i dipendenti sono ora 55.
 
Ma la marcia, fin qui inarrestabile, dei Salerno subisce il primo e del tutto inatteso stop nell’ottobre scorso. La programmata ristrutturazione del “Micro Bar” è bloccata dai carabinieri e il locale sottoposto a «sequestro preventivo», in attesa di chiarire alcune presunte difformità col progetto approvato.
 
Un progetto affidato alla società specializzata riminese “AFA Arredamenti”, che prevede «un chiosco di 40 metri quadri, con a fianco una struttura di 100 metri quadri, con una pedana e una base di alluminio ricoperta di legno», il tutto in «uno stile più moderno».
 
La storia, per ora si ferma forzatamente qui, in attesa di essere presto ripresa. Questo, almeno, è l’auspicio di molti a Termoli.

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