Cronache

Schiave del sesso a due passi dal Molise: erano segregate in un casolare-lager, 6 arresti

I carabinieri di San Severo e San Paolo Civitate hanno scoperto due casolari a Ripalta, frazione di Lesina in cui venivano segregate oltre dieci ragazze bulgare. Venivano fatte prostituire con la forza, picchiate e maltrattate da cinque connazionali, fra cui tre donne che facevano da controllori, e da un cittadino italiano. Per tutti sono scattate le manette. Il posto è abitualmente frequentato da tanti "clienti" molisani, vista la vicinanza con la nostra regione.

Le tenevano segregate in stanze senza finestre, chiuse a chiave coi lucchetti, in condizioni igieniche terribili. Così le hanno trovate i carabinieri delle stazioni di San Severo e San Paolo di Civitate che pochi giorni fa hanno fatto irruzione in quelle stanze minuscole nascoste nelle campagne di Ripalta, frazione di Lesina, a meno di trenta chilometri dal Molise. Dentro c’erano dieci giovanissime ragazze, di varie nazionalità, alcune arrivate in Italia da pochissimo, tanto che non sapevano una parola d’italiano. Erano finite nella trappola di alcuni connazionali che, d’accordo con un anziano del posto, avevano messo su una rete di sfruttamento della prostituzione. Sei le persone arrestate, fra cui cinque bulgari e in particolare quattro donne.

Erano loro a contattare le ragazze. «Vieni in Italia, ti trovo un posto da badante, ti danno tanti soldi e sei al sicuro». Ma la realtà era ben diversa. Una volta giunte in Puglia, a San Severo, le giovanissime venivano minacciate e i loro aguzzini si svelavano per quello che erano. Toglievano loro cellulare e documenti e le rinchiudevano in un casolare a Marina di Ripalta, non lontano dal bivio di Ripalta, dove giornalmente poi le portavano per attrarre i tanti clienti che frequentano l’area al confine con il Molise e dove giocoforza tanti sono anche i “clienti” molisani.

Ed è proprio a uno dei clienti che una giovane ha chiesto aiuto. Salita in macchina per una prestazione sessuale, la ragazza ha chiesto aiuto nel suo italiano zoppicante. L’uomo deve essersi impietosito o forse spaventato, dato che ha deciso di condurla alla stazione dei Carabinieri più vicina, quella di San Paolo Civitate. È stato necessario l’ausilio di un interprete per capire cosa volesse denunciare la ventenne.

Portata nella caserma di San Severo, dove alcune donne dell’Arma hanno fatto il possibile per calmarla, la giovane ha iniziato a parlare, svelando l’esistenza di quel lager e fornendo i dettagli di dove si trovava e cosa accadeva lì dentro. In quelle camere di pochi metri quadrati non avevano che una lampadina, una stufa e nessuna finestra. Il casolare erano recintato con del filo spinato, mentre le celle erano in condizioni igieniche da lasciare sotto choc.

Quando i militari hanno fatto irruzione hanno notato qualcosa di strano. C’erano delle altre stanze, con molto più spazio e tenute decisamente meglio. Erano le stanze delle tre aguzzine delle giovani prostitute. Tre donne, tutte bulgare, che facevano da controllori e che al momento del blitz hanno provato a confondersi con le altre. Sono state le testimonianze delle vittime a chiarire le responsabilità delle tre sfruttatrici, le quali ritiravano quotidianamente il denaro guadagnato dalle giovani straniere, tutte fra 20 e 25 anni. Facevano da contabili, le tenevano d’occhio sulla strada e le rifornivano di preservativi. Addirittura c’erano punizioni a bastonate per quelle che in una giornata non riuscivano a portare a “casa” almeno cento euro.

I carabinieri hanno effettuato degli appostamenti prima di far partire l’irruzione e hanno individuato la macchina che trasportava le ragazze dai lager alla statale 16 e viceversa. Durante il blitz l’italiano proprietario del casolare, 73 anni, è stato inoltre trovato in possesso delle chiavi e i militari l’hanno beccato proprio mentre tornava con in auto una delle vittime. Era lui mensilmente a ritirare l’incasso dalle tre “protettrici”.

Dai racconti è emersa l’esistenza di un secondo casolare, abitato da una coppia di bulgari, un uomo e una donna. Lì i due avevano nascosto tutti i documenti delle giovani schiave del sesso. Per fortuna adesso sono state liberate e hanno potuto rassicurare le rispettive famiglie prima di essere affidate ad alcune comunità protette. Per i sei responsabili si sono aperte le porte del carcere di Foggia con accuse gravissime: induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, oltre al reato di riduzione in schiavitù che è al vaglio della Procura foggiana.

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