Cronache

La guerra dell’accoglienza e le accuse di parentopoli. Spunta una petizione contro i migranti

Dopo la chiusura del cas Xenia, che ospitava 32 migranti e che ha fatto il giro d’Italia, la polemica diventa politica e si incentra sullo Sprar per i minori non accompagnati, fortemente voluto dal sindaco Civetta e dalla sua maggioranza. L’ex sindaco Frenza, presidente della Fondazione Giovannitti proprietaria dello stabile del centro “sfrattato” e il consigliere di minoranza Piedimonte, in pole per fare il sindaco alle amministrative di maggio, accusano: “Nello Sprar lavorano il vicesindaco, il figlio dell’assessore e i parenti di Civetta: è normale?”. Lui replica: “Qui siamo meno di 500 abitanti, i miei parenti devono restare disoccupati?” . Intanto dagli atti relativi alla vicenda spunta il parere sfavorevole del sindaco all’apertura del centro e una petizione di 212 firmatari che non volevano il cas.

I migranti se ne sono andati ormai da una settimana, trasferiti “d’urgenza” con ordinanza della Prefettura. Ripabottoni è tornata al suo silenzio abituale dopo qualche giorno di protesta, petizioni, troupe televisive arrivate a documentare il caso del borgo “che non voleva far andare via gli stranieri”, diventato emblema dell’accoglienza e sinonimo di sentimenti controcorrente.

Ma in questo paesino terremotato da 500 anime, dove la ricostruzione non è affatto finita malgrado siano passati 15 anni dal sisma di San Giuliano, la pace è un miraggio. Dietro le facciate immobili degli edifici istituzionali e delle abitazioni private freme la tensione. E ora, man mano che scema il rumore per il cas Xenia chiuso da un giorno all’altro, la polemica si nutre di un nuovo caso. E’ lo Sprar, progetto di accoglienza per i minori non accompagnati, fortemente voluto dal sindaco Orazio Civetta che l’inverno scorso ha fatto domanda per aprirlo, mentre il cas davanti al Municipio era già attivo da qualche tempo.

«Certo – chiarisce lui, che ha tutte le intenzioni di candidarsi una seconda volta alla guida del Comune – perché noi abbiamo ritenuto di cogliere l’opportunità offerta dal ministero e di gestire direttamente l’accoglienza con un progetto inizialmente da 8 minori che ora è arrivato a 12, il massimo possibile». Si chiamano Samuel, Abdullah, Mamou Dou, arrivano dall’Africa tormentata e violata, hanno tra i 15 e i 18 anni. Vivono al primo piano della scuola media, edificio vincolato e secondo alcuni osservatori affatto idoneo – essendo una scuola frequentata dagli alunni – a ospitare i minori non accompagnati.

L’Amministrazione si difende: «Macchè, è un edificio ricco di spazi, camere grandi, tutto antisismico. Mica come l’ex caserma dei carabinieri che ospitava il cas, che malgrado i lavori aveva poco spazio e ci pioveva dentro…». Domenico D’Addario è il vicesindaco nonché uno degli operatori che lavorano nello Sprar. A quale titolo? «Sono stato assunto dalla cooperativa che lo gestisce e che ha ottenuto l’appalto». La norma di legge, recepita dalla Regione Molise nel 2015, stabilisce che nelle comunità alloggio per minori, alle quali lo Sprar è equiparato, ci debbano essere figure professionali idonee, e almeno un assistente sociale e 2 educatori con laurea in pedagogia o Scienze dell’Educazione. Requisiti che Domenico D’Addario non possiede. E che scatenano le malelingue in paese e la protesta della minoranza comunale.
Tanto più dopo la chiusura del centro “rivale”, quello sul quale Civetta e i suoi non sono mai stati d’accordo.

Il Comune ammette di aver sollecitato più volte Asrem e gli organismi competenti a fare sopralluoghi e ispezioni «perché quel centro non aveva i requisiti». Michele Frenza, l’ex sindaco («senza alcuna intenzione di ricandidarmi») e presidente della Fondazione Giovannitti che risulta proprietaria dell’edificio fino a pochi giorni fa gestito dalla Senis Hospes, replica: «Chiedo al signor sindaco se in un servizio a gestione diretta, tipo Sprar, sebbene gestito da una cooperativa, ma la cui rendicontazione è sotto il vaglio e l’approvazione dell’amministrazione comunale, possa prestare il proprio servizio come dipendente della cooperativa, il suo vicesindaco».

Domenico D’Addario, che durante la notte, rotazione con altri, garantisce che i 12 piccoli ospiti non restino soli, «non ha i titoli per fare quello che fa» nemmeno secondo Domenico Piedimonte. Consigliere di opposizione e probabile candidato sindaco contro Orazio Civetta, è determinato a chiarire come mai la Prefettura di Campobasso, che aveva garantito la “graduale dismissione” del centro di prima accoglienza, abbia affrettato le cose. Ha chiesto e ottenuto di avere accesso agli atti, cioè agli scambi tra Comune e Prefettura, e mette in evidenza il “parere sfavorevole” rilasciato dal sindaco all’apertura di un cas in paese. Il parere è datato 7 ottobre 2016, ed è firmato da Civetta, il quale informa la Prefettura dell’esistenza di una petizione di 212 cittadini «contrari a tale accoglienza».

Già. Perché Ripabottoni, la comunità i cui abitanti sono scesi in strada per chiedere che i 32 migranti non venissero trasferiti, che hanno firmato contro la loro partenza, è la stessa che un anno e mezzo prima aveva firmato per non farli arrivare, accompagnando la raccolta da un messaggio chiaro: “Noi cittadini di Ripabottoni esprimiamo un parere negativo alla venuta dei migranti nel nostro Comune non per razzismo ma per salvaguardare la nostra sicurezza”.

«Non sono stato io a promuovere la petizione – si difende il sindaco – ma è stata una cosa spontanea, e io ne devo tener conto. Come ho fatto, per esempio, quando ho chiesto l’applicazione della norma di salvaguardia, quella che stabilisce un numero massimo di ospiti per un paese piccolo come questo, e ho sollecitato la chiusura del cas quando abbiamo attivato lo Sprar, pur essendo d’accordo con una dismissione graduale del centro».

In quello Sprar oggi lavorano 6 persone, a parte due figure professionali esterne, «e tutte hanno firmato la petizione contro l’arrivo dei migranti» evidenzia Piedimonte. Michele Frenza aggiunge: «Ci lavora il vicesindaco, chiediamoci se è una cosa normale. E il figlio dell’assessore esterno». E non solo loro. In un paesino di queste dimensioni, si sa, le voci corrono in fretta ed è difficile tenere riservate certe informazioni. Allo Sprar, su sei dipendenti, 4 sono vicini al sindaco. A parte il suo vice e il figlio dell’assessore, ci sono la moglie del cugino e la madrina della figlia più piccola. «E cosa dovrei fare?» risponde Civetta alle accuse di parentopoli, «lasciare che tutti i miei parenti o i miei amici restino disoccupati? Impedire loro di lavorare? Ripabottoni è un paese piccolo, ci si conosce tutti, ovvio che sia così».
Sicuri che abbiano i requisiti per fare quello che fanno? Domanda la minoranza comunale. «Non sono stati assunti dal Comune, ma dalla cooperativa che gestisce Lo Sprar» replicano in Municipio. Che poi è la Koinè, la stessa che gestisce il cas e lo Sprar della vicina Casacalenda, dove due strutture per migranti convivono da 5 anni in barba alla sbandierata norma di salvaguardia.

Non c’è pace a Ripabottoni, il paese del sindaco barista, dove i conflitti e le beghe politiche sono pane quotidiano. La vicenda alla ribalta nazionale divide, spacca e solleva le reazioni della gente fra la piazza, la chiesa e la scuola dove si dividono il tetto migranti minorenni e alunni del posto. Alla vigilia della campagna elettorale, inevitabile che una storia simile esploda in un caso politico. «Il sindaco è sordo – scrive in una lunga riflessione sulla vicenda Claudio D’Aurizio – perché dopo aver aperto uno Sprar – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – in un comune dove già presente un Cas – Centro di accoglienza straordinaria, si chiama(va) Xenia quello in questione – senza interpellare o interpretare la volontà dei propri concittadini, esaspera l’applicazione del provvedimento Minniti chiamando a giustificazione del proprio operato la stessa volontà dei concittadini. Che si sentono, in questo modo, presi per i fondelli. Il sindaco è sordo perché le 150 e più firme raccolte in pochissime ore testimoniano di una mossa particolarmente infelice: le votazioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale sono previste proprio per il 2018 e, con ogni probabilità, lo sfoggio di tutta questa arguzia politica difficilmente contribuirà ad assicurargli la rielezione».
«Vedremo – controribatte il sindaco uscente e ricandidato – Vedremo da che parte sta la gente di Ripabottoni».

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