Senso/11

La psicologia dei doni di Natale

È il 24 dicembre e, come ogni anno, avrete avuto gli ultimi doni da individuare, preparare e distribuire. Non vorrei però che anche voi riduceste tutto questo all’individualismo e al consumismo. Parliamo di doni e non di regali per distinguere l’atto del donare come atto di dare all’Altro qualcosa di sé in maniera disinteressata. E’ il dono il termine che dovremmo usare maggiormente, anzi esclusivamente, in sostituzione dell’altro, “regalo”, spesso utilizzato come sinonimo. Il termine “regalo”, infatti, proviene dal latino regalis (regale), rex (re) e attraverso lo spagnolo “regalo” (dono al re) sta ad indicare un tributo a chi merita un riconoscimento, un dazio che si è obbligati ad offrire in cambio di qualcosa, senza che esso veicoli contenuti affettivi…

Vi ho immaginato in questi giorni alle prese col rituale rincorrersi di ripensamenti e nuove idee, di soddisfazioni e pentimenti che agitano pacchi regalo e negozi, file alla cassa ed auto da parcheggiare. È il 24 dicembre e, come ogni anno, avrete avuto gli ultimi doni da individuare, preparare e distribuire.
Sapete anche che c’è chi, prima di voi, ha tutto meticolosamente pianificato e scelto da tempo e quindi, oggi, al massimo, dovrà soltanto incontrare il destinatario del suo pacchetto e concludere il suo piano prestabilito. C’è poi chi è rilassato “per natura”, che il 24 di ogni anno improvvisa anche sul regalo importante, che non segue piani, esce, e in 10 minuti trova e compra, trasformando quella che potrebbe essere una fonte terribile di stress in una prova di invidiabile creatività; perché, nonostante l’assenza di piani e di tempo dedicato, sembra sapere sempre cosa fare, ogni anno. E ci becca sempre!

In ogni caso, loro come voi, chi con moderazione, chi con spontaneità e chi con un maggiore rigore, tutti vi lasciate trasportare da quella irresistibile tentazione di acquistare un dono, almeno per i più cari, e soprattutto per i bambini. Vige il divieto interno ed esterno di vivere queste festività a mani vuote perché è tradizione, è bello e va fatto.

Non vorrei però che anche voi riduceste tutto questo all’individualismo e al consumismo. Sono senz’altro queste alcune piaghe del nostro Tempo, ma fare un dono a qualcuno non sembri esclusivamente un gesto volto ad assicurare introiti ai produttori di merce o uno scambio sterile ed obbligato da una società perversa e materialista, o un’azione volta a soddisfare i bisogni narcisistici di chi fa il dono, che possono andare dalla benevolenza di qualcuno, alle conferme personali, fino all’autocelebrazione. Non svilite il gesto del donare con le categorie sociologiche o culturali che lo degradano a sintomo di una società nevrotica.

Vorrei che consideraste anche voi insieme a me quanto di profondo si muove e ci muove tra le strade cittadine, in questo crogiuolo di affetti, tensioni, desideri, pensieri, ansie, eccitazioni che è l’anima.
La psicologia ci insegna a riconoscere in questo circolo di emozioni il senso profondo di un rito collettivo per lo più inconsapevole, antico quanto l’Uomo, tanto potente da saper regolare le relazioni umane in ogni parte del mondo.

La gratitudine per un dono ricevuto è uno dei primi sentimenti umani ad apparire sulla scena della vita e della relazione col mondo, ed è inestricabilmente legata all’amore e alla presenza di qualcuno che, di fronte a noi, donandoci qualcosa di sé ci rivela la nostra stessa esistenza nel mondo. Pensate, ad esempio, ad un bambino che gioca con la madre al gioco del “cucù”. Immagino lo conosciate tutti questo gioco: la madre si nasconde per riapparire improvvisamente dopo qualche secondo dicendo “cucù sèttete”; il bambino, già a 4 mesi, ride eccitatissimo comunicando con la mimica e con scatti del corpo, per diversi minuti, il bisogno di ripetere più volte il gioco. Poi, gratificato, guarderà il volto della madre con l’espressione serena e appagata.

E’ il dono della presenza, un gioco che ripetitivamente fa vivere al bambino l’assenza e la fiducia nell’epifania del volto della madre. È l’apparizione del volto della madre il dono ricevuto dal bambino: un’epifania che, insieme ad altri fattori che intervengono nella relazione con la madre, permetterà allo stesso bambino di imparare ad attendere l’arrivo della Befana, o di Babbo Natale, o dei nonni con i regali o della vita con le promesse dell’impegno e della perseveranza e con la realizzazione del desiderio.

Ma non solo: grazie alla presenza di un adulto sollecito che fa dono di sé, del suo tempo e della sua stessa esistenza, il bambino apprende a riconoscere la fonte del proprio benessere nelle relazioni fondate sull’amore, sulla fiducia e sulla dedizione.
È già da qui che il donare rivela il senso profondo di espressione di affetti autentici, di gesti di riconoscimento dell’Altro e di se stessi nella relazione col mondo.

Come avrete notato, ho parlato sinora di doni e non di regali per distinguere l’atto del donare come atto di dare all’Altro qualcosa di sé in maniera disinteressata, e non a caso ho ricordato la gratitudine del bambino nel gioco con la madre che è il maggiore modello al mondo di amore vero e di scambio profondo; ossia, nella sostanza, un dono disinteressato di sé all’Altro.

È questo il termine che dovremmo usare maggiormente, anzi esclusivamente, in sostituzione dell’altro, “regalo”, spesso utilizzato come sinonimo. Il termine “regalo”, infatti, proviene dal latino regalis (regale), rex(re) e attraverso lo spagnolo “regalo” (dono al re) sta ad indicare un tributo a chi merita un riconoscimento, un dazio che si è obbligati ad offrire in cambio di qualcosa, senza che esso veicoli contenuti affettivi.

Quando voi fate un dono, invece, vi rivelate da un punto di vista affettivo, mettete in atto un gesto intimo e creativo che celebra la relazione tra voi e l’Altro, la vostra capacità di esporvi nel farvi conoscere, nel donarvi, nel capire l’essenza e le esigenze dell’Altro, assumendovi il rischio di essere anche rifiutati; in colui che riceve il dono, invece, si rivela la capacità di ricevere, di saper accogliere, anche assumendosi il rischio di rimanere frustrati e delusi.

Donare è anche il confronto con l’Altro da sé e con le sue reazioni, e quindi attiene all’epifania dell’anima, alla rivelazione di aspetti profondi di sé e dell’Altro;si basa infatti sull’assunzione del rischio di illusione e di delusione reciproca, proprio come accade quando in una nuova relazione affettiva ci esponiamo con le nostre paure e il nostro coraggio alla presenza del partner nella nostra vita.

Amare è donare e il dono è veicolo dell’anima, esso trasfonde parte di noi, la nostra stima e il nostro amore nell’Altro; se si dà senza riserve, qualcosa di noi si fonde con l’Altro.
È in questa area di profonda unione con colui o colei che riceve il dono che può insinuarsi, opponendosi all’amore, l’atteggiamento meramente consumistico tipico della cultura moderna. Il regalo, allora, sostituirà il dono: si seguirà la moda o il consiglio della pubblicità, incuranti del desiderio e dei sentimenti dell’Altro, omologandolo al sentire collettivo e non fondendosi con lui.

Il regalo così inteso è di colui o colei che teme di entrare in contatto con gli altri, di costruire un rapporto intimo, che implica il dover contenere ciò che si prova. Esso quindi sostituisce l’amore disinteressato con una difesa dal “donarsi” reale e concreto, un rifugio strategico per la difesa dall’affetto dell’Altro.
L’importanza del dono è rivelata anche dal tempo dedicato alla costruzione nella nostra mente dell’immagine e della scena che prefigura il momento del donare: attraverso il dono, quindi, si offre all’Altroanche il proprio tempo, che è un frammento del Tempo del nostro esistere. Quale più grande dono del nostro tempo? In una vita frenetica, che dà sempre la precedenza agli impegni, il lavoro, tutto ciò che risulta essere “più urgente”, convogliare le nostre energie, fermarsi a pensare, a immaginare e a dedicare tempo alla scelta del dono equivale a donare un frammento della nostra vita ai pensieri e alle emozioni di chi riceverà qualcosa di noi.

Il bambino che attenderà anche questo Natale il vostro dono sarà gratificato profondamente dalla percezione di essere stato “presente” nella vostra mente. Un altro termine usato al posto di “regalo o dono” è, non a caso, “presente”, termine che ha a che fare con il fatto di essere “attento”, attento ai bisogni dell’Altro, ai desideri e necessità di chi sta per ricevere il nostro dono.
Riconoscere l’affetto nei doni del Natale, individuarli come canali di espressione dei propri sentimenti autentici nei confronti dell’Altro equivale a perpetuare ogni anno un rito sacrificale: il rito della rinuncia (perché donando mi privo di qualcosa) in base alla quale si crea un vuoto, un vuoto che però è lì a preannunciare la possibilità di una calorosa accoglienza (l’accoglienza della gratitudine dell’Altro e dell’amore che il dono catalizza), un vuoto che ricorda la mangiatoia di Betlemme, ancora vuota il 24 dicembre, ma pronta ad accogliere il dono della vita.
Buon Natale a tutti!

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