Senso/9

Ascolta come mi batte forte il tuo cuore

Le emozioni ci salvano, ci guidano, colorano la vita e ci segnalano i pericoli, affiorano attraverso gesti e immagini che attraggono l’Altro, ci regalano “visioni” rendendoci folli – come suggerito da Steve Jobs. Negli ultimi anni, in famiglia e a scuola, troviamo i segni di un crescente malessere emozionale, soprattutto fra i bambini e gli adolescenti, spesso rivelato da atti sempre più frequenti di violenza, soprattutto immotivata, o da atteggiamenti e comportamenti che denotano una totale assenza di autocontrollo. Non è infatti sempre facile, sia per il bambino sia per l’adulto, saper riconoscere quello che si prova, dargli un nome e sapere che presto passerà. La difficoltà che proviamo quando si presenta una sensazione a noi sconosciuta può trasformarsi in paura o in rabbia. Inoltre, se non siamo in grado di riconoscere le nostre emozioni, tanto meno sapremo comprendere lo stato d’animo degli altri ed agire di conseguenza….

Spesso sono i bambini a mostrarci quella che noi psicologi consideriamo una delle funzioni della nostra psiche più antiche e importanti per l’evoluzione della nostra specie: l’intelligenza emotiva. Sono proprio loro, con la semplicità disarmante del loro linguaggio, diretto ed emozionalmente denso, che non conosce mai banalità, a farci riconoscere nelle emozioni una saggezza arcaica che fa impallidire il pensiero più razionale e l’intelletto più raffinato. E non abbiamo niente da dire di fronte alle loro parole delicate, discrete, che ci riappacificano con il mondo, inaspettate e disarmanti. Il loro linguaggio, quello delle emozioni, rivela spesso una sensibilità per guardare il mondo e raccontarlo per quello che è oggettivamente. Basterebbe soltanto saperlo ascoltare e provare a dargli un senso.

Le emozioni ci salvano, ci guidano, colorano la vita e ci segnalano i pericoli, affiorano attraverso gesti e immagini che attraggono l’Altro, ci regalano “visioni” rendendoci folli – come suggerito da Steve Jobs.
Un giorno un bambino di 4 anni circa – mi ha raccontato un genitore – si era avvicinato al padre che era seduto sulla poltrona, intento a leggere i messaggi sul telefonino, e gli ha mostrato una Pinypon, un giocattolo scomponibile raffigurante piccoli esseri umani, dotato di ampie possibilità di caratterizzazione del personaggio attraverso i singoli pezzi che lo compongono. A quello mostrato al padre il bambino aveva aperto la testa nella parte superiore e vi aveva inserito piccoli accessori tra i quali telefonini e iPad in miniatura. Il bambino chiese al padre di giocare con lui tenendogli per qualche secondo la Pinypon: “tieni– gli disse – lascia il tuo telefono e gioca con me, dobbiamo togliere dalla testa questi perché qua non ci possono stare, altrimenti come facciamo a giocare, eh?”.
Il padre, disarmato, senza che avesse compreso pienamente il senso di quella comunicazione, sentì semplicemente il bisogno di lasciare il telefonino e di eseguire ciò che il bambino gli aveva richiesto. Questi, pochi minuti dopo, lo guardò con gratitudine dicendogli: “è bello giocare con le Pinypon, vero?”.

“Ascolta come mi batte forte il tuo cuore” – recita l’ultimo verso di una poesia, Ogni caso, di Wislawa Szymborska, poetessa e saggista polacca premiata con il Nobel nel ’96. Versi intensi che parlano di coincidenze significative, di eventi che accadono al momento giusto, come accadimenti scelti per legge divina, significativi. Gli antichi Greci avevano assegnato la funzione di regolare il tempo giusto al giovane dio Kairos, il tempo nuovo, il tempo delle opportunità. Noi genitori, noi insegnanti, dovremmo apprendere questa capacità di afferrarlo, Kairos, per il “ciuffo dei capelli”, non lasciarcelo sfuggire, perché nella relazione con i bambini e con l’essere umano in genere, il tempo giusto si rivela con immagini ad intermittenza, affetti che si personificano o si rendono visibili attraverso immagini, gesti o parole, proprio come recitano i versi di Ogni caso di Szymborska, come fossero le maglie di una rete perfetta che però, da qualche parte, ha un buco, un buco soltanto, ma sufficiente affinché tutto possa entrare o uscire, all’improvviso, rivoltando la vita in un istante.
Questo è il potere dell’intelligenza emotiva: l’attitudine a cogliere l’affetto emergente, a farsi attraversare dagli affetti che molto spesso scelgono gesti semplici, immagini spontanee, parole dense di emozioni che “pesano” o ci rendono più leggeri: “dobbiamo togliere dalla testa questi perché qua non ci possono stare, altrimenti come facciamo a giocare, eh?”.

Negli ultimi anni, in famiglia e a scuola, troviamo i segni di un crescente malessere emozionale, soprattutto fra i bambini e gli adolescenti, spesso rivelato da atti sempre più frequenti di violenza, soprattutto immotivata, o da atteggiamenti e comportamenti che denotano una totale assenza di autocontrollo. Significativamente elevati risultano anche i tassi di incidenza della depressione e di dipendenza patologiche.
Leggo spesso sui Social commenti di esperti che propongono continuamente trattamenti mirati sulla violenza, sui traumi, sui sintomi e comprendo allora quanto distanti siamo ancora dalla natura profonda della questione. Tutti pronti ad intervenire, molto spesso in emergenza, ad evocare il potere terapeutico di un “esperto in…” o dei “trattamenti efficaci” e nessuno in grado di afferrare il senso profondo della “prevenzione” che ritengo sia la reale “cura risolutiva” di molti problemi.

La poesia di Szymborska suggerisce la necessità di insegnare all’essere umano quello che potremmo definire “il linguaggio emozionale”, introducendo nelle scuole dei programmi di “alfabetizzazione emozionale” che trasmettano ai bambini, sin dalla scuola dell’infanzia, le capacità interpersonali essenziali: “ascolta come mi batte forte il tuo cuore” – è il monito che la poetessa ci ha lasciato.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) già nel 1993 ha inserito la gestione delle emozioni tra le life skills indispensabili per vivere. Per essere in buona salute, infatti, risulta fondamentale proprio l’”intelligenza emotiva”. Potremmo insegnarla ai bambini fin da piccoli e, magari, ai genitori sin dai corsi di preparazione al parto o anche di preparazione alla vita matrimoniale.

Non è infatti sempre facile, sia per il bambino sia per l’adulto, saper riconoscere quello che si prova, dargli un nome e sapere che presto passerà. La difficoltà che proviamo quando si presenta una sensazione a noi sconosciuta può trasformarsi in paura o in rabbia. Inoltre, se non siamo in grado di riconoscere le nostre emozioni, tanto meno sapremo comprendere lo stato d’animo degli altri ed agire di conseguenza. La mia speranza è che un giorno possiamo tutti insegnare ai nostri figli, come è accaduto per l’informatica e per l’inglese, anche comportamenti quali l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia, l’ascolto degli altri e la cooperazione. Per il momento possiamo comunque attivare percorsi, anche informali, tra le mura domestiche o in classe, di “alfabetizzazione emotiva”, che le scoperte scientifiche hanno dimostrato essere utili per prevenire diverse problematiche.

L’intelligenza emotiva è stata definita solo recentemente, nel 1990, da Salovey e Mayer e studiata da Goleman come la capacità appresa di percepire, comprendere, esprimere e gestire le emozioni, in modo che queste siano funzionali alla nostra salute e non nocive. In pratica si impara a conoscere cosa si sta provando, cosa stanno provando gli altri, e ad assegnare un nome alle nostre emozioni, a quelle degli altri, e infine a gestirle in modo funzionale perché “non ci inducano” in stati di sofferenza e di malessere duraturo.
Ascoltare come ci batte forte il cuore dell’Altro – questa è l’intelligenza emotiva, ossia la capacità di immedesimarci negli stati d’animo delle altre persone sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti, predisponendoci in particolare nel rapporto con i bambini a cogliere – per il ciuffo dei capelli – l’attimo in cui l’affetto si rivela attraverso immagini, gesti e parole.
Per consentire al nostro cuore di risuonare forte delle emozioni degli altri, però, occorre avere familiarità con le proprie emozioni. Dunque il punto di partenza, la “scuola primaria” per le nostre emozioni, è rappresentata proprio dal prendere coscienza di esse: quanto più saremo aperti verso le nostre emozioni, tanto più sapremo leggere i sentimenti degli altri.

Jung diceva “chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia”, e il bambino deve necessariamente affidare la funzione dell’autoconsapevolezza alle figure adulte di riferimento per la prima parte della sua vita. Queste devono essere pronte ad accogliere la richiesta e a rispondere in modo efficace al compito assegnato dalla natura umana.
Se quel genitore non si fosse emozionalmente sintonizzato con il bambino che gli chiedeva di abbandonare il telefonino per liberare spazio nella testa, recuperando invece uno spazio relazionale primario per poter “giocare insieme”, la situazione avrebbe generato un profondo turbamento e, se ripetuta, avrebbe comportato un costo enorme in termini di salute. Molti bambini, infatti, apprendono da queste interazioni ad evitare di esprimere le proprie emozioni o, addirittura, ad anestetizzarle.

Una mancata o scarsa “familiarizzazione” con le emozioni comporta difficoltà più o meno gravi nella modulazione dell’intensità e della durata degli stati emozionali, la perdita di gradualità e fluidità nella transizione tra uno stato emotivo e l’altro, l’incapacità di variare l’espressione delle emozioni a seconda del contesto, l’incapacità di tenere insieme stati emotivi opposti tollerando l’ambivalenza.
Quanta influenza possa avere la sfera emotiva sui destini scolastici e professionali è noto a tutti: nonostante ciò, continuiamo a prestare la massima attenzione alle capacità intellettive ignorando la dimensione emozionale. La produttività, l’efficacia, la capacità di intercettare la “via giusta” e di perseverare nella realizzazione di un proprio progetto di vita dipendono in gran parte dal grado di sviluppo delle attitudini emozionali.

Dedichiamo tutti più tempo alle emozioni, afferriamole negli attimi irripetibili in cui esse ci avvolgono di stupore per la saggezza millenaria di cui sono custodi! Abbiamo da decenni iniziato a parlare di “alfabetizzazione informatica”: è arrivato il momento di declinare l’educazione dei giovani anche in senso emozionale.
E con Wislawa Szymborska vi saluto dandovi appuntamento alla prossima domenica:
“(…) Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”.

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