Il caso di malasanità

Precipita dal quarto piano del Cardarelli, Asrem condannata a risarcimento milionario

L’azienda sanitaria dovrà dare un milione e mezzo di euro un paziente di 42 anni ricoverato nel reparto di Medicina Generale. L’uomo, che aveva tentato il suicidio, era stato lasciato da solo e si era lanciato nel vuoto il 13 agosto. Scampato per miracolo alla morte, il quarantenne ha riportato dei danni permanenti. Per questo la famiglia, assistita dall’avvocato Vincenzo Iacovino, aveva deciso di rivolgersi al giudice che oggi, 24 novembre, ha dato loro ragione.

Avrebbe voluto mettere fine ad una vita perché non riusciva più a trovare motivi per sorridere. E così il 13 agosto, mentre era ricoverato al Cardarelli dopo aver tentato il suicidio, l’uomo ha scavalcato la finestra e si è lanciato dal quarto piano. Un volo di circa 20 metri. Se non è morto, ci è mancato poco. Lui, infatti, ha riportato danni permanenti perchè nessuno, in reparto, lo avrebbe «protetto adeguatamente» nonostante una terapia farmacologia di forte impatto per curare la depressione, patologia di cui soffriva da tanto tempo.

Una vicenda di malasanità certificata anche dal giudice che ha condannato l’Asrem ad un maxi risarcimento. La famiglia del 42enne, assistita dall’avvocato Vincenzo Iacovino, aveva deciso di rivolgersi al tribunale di Campobasso per ottenere giustizia. L’uomo infatti sarebbe dovuto essere ricoverato in Psichiatria, invece aveva trovato un posto letto solamente nel reparto di Medicina Generale. E qui «è mancata la stretta sorveglianza», come ha scritto nella sua sentenza il giudice Michele Dentale.

Secondo i familiari, il paziente era stato lasciato libero di muoversi all’interno della struttura ospedaliera, da solo e senza assistenza. Nel pomeriggio del 13 agosto, dunque, aveva potuto raggiungere la finestra di una stanza del quarto piano e lanciarsi nel vuoto. Dopo quel ‘volo’ aveva riportatolesioni gravissime e un’invalidità permanente. «E’ totalmente inabile a qualsiasi vita sociale e lavorativa»,la loro denuncia. Per questa storia dolorosa e incredibile l’avvocato Vincenzo Iacovino ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Campobasso l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria.

Il tribunale di Campobasso ha nominato un consulente che ha tracciato un quadro preciso della situazione e riconosciuto che la struttura sanitaria avrebbe dovuto evitare ogni pericolo per il 42enne. «Il paziente – ha scritto nella sua perizia – già al momento del ricovero richiedeva valutazioni mediche e una presa in carico di tipo psichiatrico, cosa che avrebbe dovuto portare alla eliminazione del rischio di ogni gesto autolesivo, proprio perché il paziente era stato ricoverato per tentato suicidio». L’esperto, inoltre, ha sancito che «la patologia, peraltro accertata da anni, imponeva un monitoraggio e una sorveglianza durante il ricovero e a tal fine non sono risultate sufficienti le sole consulenze psichiatriche ma sarebbe stato necessario un affiancamento di psicologi per un adeguato supporto terapeutico. Peraltro i farmaci somministrati al paziente indicavano espressamente la necessità di un monitoraggio clinico più stretto dovuta al fatto che il rischio di suicidio aumenta nella prima fase del trattamento».

Perizia confermata dal verdetto del giudice: «La terapia farmacologica somministrata al paziente – ha riconosciuto nella sentenza – sarebbe dovuta essere sempre associata a una stretta sorveglianza, cosa che invece è mancata».

Per il Tribunale, dunque, la Asrem è stata gravemente inadempiente in quanto non ha rispettato due obblighi che scaturiscono nel momento in cui l’ospedale accetta il ricovero di un paziente: fornire al paziente le cure richieste dalla sua condizione, assicurare la sua protezione, a seconda della patologia. «Per il Tribunale – osserva l’avvocato Iacovino – l’obbligo di sorveglianza da parte dei medici e del personale sanitario è tanto più stringente quanto maggiore è il rischio che il degente possa causare danni o patirne, come avvenuto in questo caso». Al tempo stesso, «gli operatori della struttura presso la quale tuttora il paziente è ricoverato, dopo oltre quattro anni, erano pienamente a conoscenza della gravità della situazione e avevano quindi l’obbligo specifico di garantire una sorveglianza idonea a evitare che il paziente ricoverato per tentato suicidio, fosse lasciato in condizioni di provare ancora a uccidersi, come poi ha effettivamente fatto, lasciandosi cadere da oltre 20 metri di altezza».

Il Tribunale dunque ha disposto un risarcimento complessivo di un milione e mezzo: la fetta principale sono gli 879mila euro per il danno biologico permanente al 90%. Poi ha riconosciuto il danno biologico – lesione all’integrità psicofisica – temporaneo (47.664 euro), il danno alla vita di relazione (231.756,50 euro) e il danno morale (289.685 euro). Infine, ci sono gli interessi e le spese legali.

La battaglia legale non è finita qui. «Ho ricevuto mandato dai familiari del paziente, paralizzato e tuttora allettato, per ottenere anche il risarcimento del cosiddetto “danno parentale” per tutti i disagi che sono conseguiti da questa tragica vicenda di malasanità», l’annuncio dell’avvocato Iacovino.

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