Cronache

Caos sul Bando di accoglienza migranti: “Rischio epidemia, e noi non siamo poliziotti”

Il nuovo bando per l’affidamento del servizio di accoglienza straordinaria e temporanea di cittadini stranieri, indetto dalla Prefettura, è fortemente contestato dalle cooperative che gestiscono i centri di accoglienza in regione. Due i punti nell’occhio del ciclone: quello igienico sanitario e quello del controllo della persona. «Sino ad oggi, tra mille difficoltà e ritardi - affermano i gestori - la prima visita, quella dello screening sanitario per la verifica della presenza di malattie infettive, era effettuata dai medici specialistici dall’Asrem. Oggi, la Prefettura vorrebbe che questa operazione venga effettuata da un medico a carico del centro d’accoglienza». La seconda criticità riguarda il controllo del territorio e più in generale la libertà dell’individuo. «Mica facciamo i poliziotti. Perchè dovremmo far firmare l’entrata e l’uscita dal centro di una persona se questa, vista il suo status di richiedente asilo, ha gli stessi diritti e doveri di un cittadino italiano?» Criticità che sfociano in una dura critica: «Lo Stato vuole privatizzare dei servizi fondamentali quali la sanità e l’ordine pubblico senza assumersi nessuna responsabilità in caso di epidemia o incidente»

E’ scaduto oggi, lunedì 24 luglio, alle ore 13, il termine ultimo per partecipare al nuovo bando di gara per l’affidamento del servizio di accoglienza straordinaria e temporanea di cittadini stranieri, indetto della Prefettura e riservato alle cooperative che gestiscono i centri d’accoglienza in Molise. Bando di gara che viene indetto annualmente, ma che quest’anno è fortemente contestato dalle coop stesse. In particolare sono due i punti finiti nell’occhio del ciclone: il primo riguarda l’aspetto igienico sanitario, il secondo l’aspetto del controllo e della libertà individuale del migrante.

«Sono due punti – riferiscono numerosi responsabili delle cooperative – che vanno a stravolgere totalmente il nostro lavoro: chi siamo noi per limitare la libertà di un individuo? Perchè affidare a noi, che siamo privi della strumentazione necessaria e del personale medico e paramedico specializzato, la visita medica di ingresso? Qualora non fosse riscontrata e curata per tempo una malattia infettiva, quale ad esempio la scabbia, di chi sarebbe la colpa?».

Sino ad oggi a regolamentare l’arrivo dei migranti e la loro visita medica d’ingresso era un protocollo d’intesa, datato 21 luglio del 2015 numero 0036352, sottoscritto tra Regione, Prefetture (Campobasso e Isernia) e Asrem. A prendersi carico a livello medico del migrante in arrivo in Molise è una equipe medica dell’azienda sanitaria regionale, in particolare quella facente parte del reparto malattie infettive. La procedura è la seguente: al migrante che sbarca in Sicilia solitamente viene effettuata una prima visita di controllo, di routine. Non molto accurata, finalizzata giusto ad accertarne l’idoneità fisica. Dopodiché, il migrante va a destinazione e, nella fattispecie, arriva in Molise, a Campobasso.

Qui, a seconda della posizione in graduatoria stilata in base ai punteggi raggiunti nell’ultimo bando di gara, ad accoglierli vi sono i responsabili del centro d’accoglienza. Questi ultimi accompagnano gli ’ospiti’ presso un centro medico dell’Asrem dove ad attenderli ci sono i medici di malattie infettive, con l’attrezzatura necessaria per effettuare analisi inerenti: la tubercolosi, HIV, scabbia eccetera. Verifiche mediche, in sostanza, volte a escludere determinate patologie che possano, nella ipotesi peggiore, diffondersi creando epidemie.

Questa prassi, nonostante il protocollo sia ancora in essere, per un determinato periodo è stata interrotta, «c’è stato un vuoto di mesi», ed è stata ripresa solo da qualche tempo ma con una novità o modifica essenziale.
I migranti provenienti dalla Sicilia, che arrivano nel capoluogo di regione, non vengono immediatamente portati in una struttura medica pubblica per la visita d’ingresso, ma vengono smistati e portati a destinazione subito, ossia condotti nei centri d’accoglienza a loro assegnati. Qui ad attenderli dovrebbe esserci un medico di zona, sempre dell’Asrem, per effettuare la visita d’ingresso. Ma non sempre è così. La visita sarebbe «da fare appena il migrante mette piede fuori dal pullman – affermano i rappresentati delle coop – ma spesso e volentieri il medico arriva il giorno dopo o un paio di giorni dopo, e questo non va bene perchè non viene rispettato il protocollo e perchè c’è il rischio, qualora ci fosse una persona “malata” di infettare anche il resto del gruppo».

Ritardi che possono avere conseguenze serie, appunto. C’è il rischio, per esempio, di avere nel centro per mesi una donna malata che infetta anche gli altri ospiti. Episodio accaduto non molto tempo addietro proprio in Molise «perchè il controllo medico pare non sia stato neanche effettuato». Il fatto è accaduto a cavallo tra l’autunno dello scorso anno e la primavera di quest’anno. Una donna, proveniente da uno dei paesi dell’Africa centrale, era affetta dall’Hiv ma la scoperta è stata fatta circa 5 mesi dopo. Una scoperta avvenuta per caso: la donna era ospite di un centro della provincia di Campobasso che a inizio anno è stato chiuso. Trasferita nella nuova “casa”, è stata sottoposta alle visite mediche: analisi che solitamente vengono «fatte al momento del loro arrivo», e risultata sieropositiva. La donna, quindi, ha iniziato la terapia che dovrà fare per il resto della vita. Una svista voluta o meno, da parte di un gestore poco responsabile, che ha lasciato una per tanto tempo una persona priva di cure e con il rischio concreto di poter trasmettere la patologia alle altre coinquiline del centro.

Una situazione, questa, che potrebbe ripetersi in maniera «più sistematica stando a quanto scritto nell’ultimo bando di gara e nel relativo capitalo», del 7 marzo del 2017: “una visita medica d’ingresso e il primo soccorso sanitario. La visita è finalizzata anche all’accertamento di patologie che richiedono misure di isolamento o visite specialistiche o percorsi diagnostici e/o terapeutici presso le strutture sanitarie pubbliche, nonché all’accertamento di situazioni di vulnerabilità” e ancora “Nel caso in cui non è possibile allestire un presidio medico sanitario all’interno della struttura è assicurato la costante disponibilità di personale medico e paramedico per lo svolgimento del servizio”.

«Praticamente – lamentano i responsabili delle cooperative – ci chiedono di allestire una sorta di ospedale nel centro e qualora non fosse possibile pretendono un medico e un infermiere, tutta la strumentazione necessaria, per effettuare controlli specialistici senza dimenticare che dobbiamo allestire anche una camera d’isolomento qualora qualcuno risultasse affetto da qualche patologia. Un medico che può essere anche un semplice laureato con zero esperienza sul campo, ma: quale medico di base, ad esempio, sarebbe disponibile 24 ore su 24? E se poi il medico non individua una patologia, chi se ne assume la responsabilità? E infine, chi garantisce sulla regolarità dei controlli medici? In pratica hanno confuso un centro d’accoglienza per un Cara e privatizzato un servizio pubblico».

Qui bisogna fare un distinguo. I Cara (centri d’accoglienza per richiedenti asilo) sono gestiti direttamente dallo Stato, quindi sono degli enti pubblici provvisti di personale e strumentazione per qualsiasi evenienza, medico sanitaria in primis. I centri d’accoglienza possono essere paragonati a degli hotel o alberghi, sono gestiti dai privati e al loro interno hanno al massimo un semplice spazio adibito ad ambulatorio. Ed è tutta qui la rabbia dei gestori dei centri, che vogliono rimanere anonimi in questa fase per ovvi motivi lavorativi. Primonumero.it ne ha sentiti diversi sul territorio regionale: rimproverano alla Prefettura di aver «fatto un copia incolla di un bando che non si addice alle nostre caratteristiche, mentre poteva modificarlo nei punti dove noi abbiamo espresso le nostre criticità e rendere più semplice e più sicura la salute e l’igiene sanitaria dei migranti e non solo». Ma se come accaduto per la donna affetta da Aids il centro d’accoglienza non effettua «la visita medica d’ingresso perchè sprovvisto del medico e perchè fa affidamento su un certificato proveniente dalla Sicilia nel quale risulta sana e poi scoppia una epidemia, chi se ne assume la responsabilità? Di chi saranno le colpe?».

A margine di questa situazione, le cooperative mettono in evidenza anche un ulteriore problema sempre inerente l’aspetto medico/sanitario. Riguarda l’esenzione dal pagamento del ticket dei migranti. In principio erano sei mesi dopo i quali il Ministero considerava integrati, e quindi pronti al lavoro, gli ospiti arrivati dal mare. Da qualche tempo, però, la durata dell’esenzione si è dimezzata: da sei a tre mesi. «Questo è un problema che esula dalla criticità del bando di gara: è presente da sempre, purtroppo. Invece di risolverlo lo hanno ancora più aggravato».

Dal momento dell’arrivo, dalla prima visita alla verbalizzazione del migrante presso la Questura, al rilascio del Codice fiscale presso l’agenzia delle entrate sino al Cup e al medico di base per iscriversi al sistema sanitario nazionale, passano dai tre ai quattro mesi. Un vuoto nel quale i migranti vivono senza una identità e dove l’unico documento utile è l’STP (stranieri temporaneamente presenti) che viene concesso ai cittadini non comunitari non in regola con le norme relative all’ingresso. Al soggiorno sono assicurate le cure urgenti, essenziali e continuative e viene rilasciato al Pronto Soccorso o all’Azienda Sanitaria Locale (ASL) al momento della prima cura medica: ha una validità di sei mesi con possibilità di rinnovo. Tesserino temporaneo che non è più utilizzabile nel momento in cui il migrante è in possesso di un documento di riconoscimento e del ticket sanitario, che ha la durata di tre mesi non dal momento del rilascio materiale ma dal momento in cui la pratica viene accettata.
«Non avendo effetto retroattivo l’esenzione potrebbe concretamente durare anche solo un paio di mesi perchè il rilascio potrebbe arrivare anche dopo un mese. Dopodiché queste persone secondo lo Stato sono idonee al lavoro, ma il 90 per cento di esse non trova lavoro e di conseguenza le stesse sono fuori dal sistema nazionale sanitario perchè povere e quindi impossibilitate a pagarsi le cure». Si è provato a porre un rimedio cercando di farli iscrivere presso le liste dei disoccupati negli uffici di collocamento ma l’operazione non è andata a buon fine perchè loro risultano inoccupati, persone che non hai mai lavorato in Italia. «E’ una situazione che riguarda tutti e bisogna porre rimedio: queste sono persone che se stanno male devono essere curate».

Infine, tornando alle criticità del bando ministeriale fatto proprio dalle Prefetture, il secondo punto sul quale ricadono le ire dei gestori riguarda la libertà individuale del migrante. “Il rilascio allo straniero di un tesserino (badge) da utilizzare per la registrazione delle entrate e delle uscite tramite apposito sistema di rivelazione automatico delle presenze che possono essere sostituiti da un tesserino di riconoscimento e da un registro delle presenze cartacei”. «Chi siamo noi per poter limitare la libertà dell’individuo? Non siamo poliziotti e il centro d’accoglienza non è una caserma o un carcere. Abbiamo le nostre regole che gli sopiti devo rispettare, ma nulla più».

Ogni centro, solitamente, raccoglie giornalmente la presenza del migrante tramite la firma su un apposito registro che avviene entro e non oltre un determinato orario. Inoltre, l’ospite può assentarsi per un massimo di tre giorni consecutivi dove può recarsi ovunque in Italia, «sono richiedenti asilo, e il loro status li mette sulla stessa posizione di un cittadino italiano che può liberamente muoversi nel Paese rispettando le sue leggi». Scadute queste 72 ore, i gestori del centro se non avvisati di ritardi o altro, chiudono le porte al migrante andato via e le aprono ad un nuovo arrivo. «Vogliono che controlliamo il territorio e gli spostamenti degli ospiti ma questo non è nella mission di un centro d’accoglienza, è compito dei Cara che sono provvisti di tornelli, di sistemi di personale addetto alla sicurezza. Noi no: noi siamo un semplice centro d’accoglienza». Uno bando contestato e criticato tanto da far affermare: «Lo Stato vuole privatizzare dei servizi fondamentali quali la sanità e l’ordine pubblico senza assumersi nessuna responsabilità in caso epidemia o incidente»

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