Veleni post assemblea

Il no alle primarie lacera il Pd. “Frattura non è il nostro presidente”: i dissidenti verso l’addio

Colpo di scena dopo l’assemblea del Pd: alcuni esponenti della minoranza pronti a lasciare il partito in netto contrasto con l’asse Frattura-Fanelli. Lo stop alle primarie di coalizione per la scelta del candidato governatore alle Regionali è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: "Paolo di Laura Frattura non ci rappresenta più". Tra gli ex democratici qualcuno seguirà Danilo Leva e Francesco Totaro nel nuovo partito di Pierluigi Bersani, Movimento dei Democratici e progressisti.

«Che si fa? Ce ne andiamo?». E’ la domanda su cui da giorni si stanno arrovellando gli esponenti della minoranza del Pd. Brucia ancora l’esito dell’assemblea di sabato scorso a Termoli, quando sono stati messi all’angolo dall’asse Frattura-Fanelli. Il governatore e il segretario regionale hanno vinto due round: il primo sulla legge elettorale regionale, il secondo sulle primarie, rinviate al dibattito interno della base e dei circoli. Un modo per prendere tempo e forse per arrivare poi ad ‘accorgersi’ che si è in clima di campagna elettorale ed è troppo tardi per organizzare le consultazioni coinvolgendo gli elettori.

Un quinto dei componenti dell’assemblea regionale, in primis il senatore Roberto Ruta, aveva firmato la richiesta di primarie per la scelta del candidato presidente alle Regionali. Richiesta che, è noto, è stata bocciata.

Un colpo che brucia ancora parecchio, è come il sale su una ferita per gli esponenti della minoranza. Per qualcuno perciò quell’assemblea ha segnato una svolta: in ‘questo’ Pd non si riconoscono più. «Io non riuscirei a votare Frattura alle prossime Regionali, figuriamoci come potrei convincere gli elettori a farlo», il ragionamento dei più sfiduciati.


I più arrabbiati nel Pd di Frattura e Fanelli, considerati alleati dell’europarlamentare di Forza Italia Aldo Patriciello, non ci vogliono più stare. Sono una decina, forse una quindicina: sostengono i bene informati. Un piccolo drappello in grado di provocare la prima lacerazione in un partito dove le convivenze sono sempre state difficili, spesso giustificate con «la diversità di vedute e la bellezza del dibattito interno».

A livello nazionale il divorzio si è consumato alla fine di febbraio, quando Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza hanno abbandonato Matteo Renzi e fondato Articolo 1 – Mdp (Movimento democratici e progressisti). Dal Molise hanno cambiato casacca Danilo Leva, Francesco Totaro e Augusto Massa. Quell’esperienza e i rapporti ormai logori potrebbero indurre altri esponenti della minoranza del Pd a fare lo stesso. Ad esempio, si parla di Costanza Carriero, la bionda ‘pasionaria’ di Campomarino, e di Vincenzo Cordisco. E pazienza se i sondaggi nazionali danno il partito di Bersani al 3,5%, dunque senza il quorum necessario per superare lo sbarramento del 5% previsto nella nuova legge elettorale di Matteo Renzi. «Non facciamo la politica per mestiere», commenta uno dei malpancisti.

Resta fortemente critica la posizione dell’ex vice segretario Michele Di Giglio, di cui si vocifera l’addio: «Anche se sono in minoranza, resto nel Pd», dice lui.
Altri, nel Pd, stanno preparando un’altra strategia: provare a ‘sabotare’ Paolo di Laura Frattura dall’interno, un po’ come avvenuto a Roma con il braccio di ferro tra Bersani e D’Alema da una parte e Renzi dall’altra. Solo che poi a livello nazionale l’ex ministro e l’ex premier hanno sbattuto la porta, invece l’attuale segretario è tornato in sella e si è vendicato con la minoranza: nessuno degli eletti della mozione Emiliano è stato designato nella segreteria. Invece qui i dissidenti tenteranno di fare scacco matto all’attuale governatore. Come? Per ora il piano di guerra è top secret.
SP

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