Commemorazione del 25 aprile

L’ufficiale-partigiano che non si piegò ai nazisti: “Volevano fucilarmi, viva la Resistenza” fotogallery

Michele Montagano, nato a Casacalenda nel 1921, è uno dei tanti militari italiani che, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, non abbassò la testa e fu imprigionato nei campi di concentramento: “Per me la Liberazione è il 9 aprile: sono stato tratto in salvo dal lager di Unterluss dagli anglo-angloamericani. Su un biglietto scrissi queste parole: sono finito nelle mani dei tedeschi, la mia coscienza è integra, viva l’Italia”. Questo bigliettino esiste ancora ed è conservato in un museo di Roma. La testimonianza di Giovanni Tucci, campobassano classe 1922: “Siamo quel che rimane di un momento tristissimo per la nostra nazione, che ha portato alla morte di giovani di tutta l’Italia, dal sud al nord. Grazie a quei sacrifici oggi viviamo di questa libertà”.

«Viva la Resistenza» pronunciato a voce alta e commossa da un militare italiano che ha detto ‘no’ ai nazisti e ha scelto di farsi fare prigioniero in un campo di concentramento è quanto di più alto si possa immaginare nel giorno in cui si celebra la Liberazione. Persone come Michele Montagano e Giovanni Tucci, 96 e 95 anni e una lucidità invidiabile, meritano il massimo rispetto: hanno contribuito alla liberazione dell’Italia senza piegarsi mai. Militari dell’esercito che da un giorno all’altro si sono ritrovati ‘nemici’ degli ex alleati tedeschi e fatti prigionieri all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre del 1943.
«Siamo pochi, ma buoni – ha affermato Tucci prendendo la parola nel corso delle celebrazioni del 25 aprile nei pressi del Monumento ai Caduti –. Siamo quel che rimane di un momento tristissimo per la nostra nazione, che ha portato alla morte di giovani di tutta l’Italia, dal sud al nord. Grazie a quei sacrifici oggi viviamo di questa libertà. Sono loro che ci hanno consegnato una patria libera, donandoci un bene fondamentale. Custodiamo questa memoria, senza libertà non c’è benessere e sviluppo. Signori, siamo in pochi ma buoni, facciamo sì che i valori della Resistenza siano permanenti». Come ogni anno, c’era anche Michele Montagano, nato a Casacalenda nel 1921, ufficiale dell’allora esercito italiano che si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò. E per questo fu deportato nei campi di sterminio e nello straflager KZ di Unterlüss. E’ insignito dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Cosa significa il 25 aprile per Michele Montagano?
«Per me la Liberazione è il 9 aprile: sono stato liberato dal lager di Unterluss dagli anglo-angloamericani. Ho avuto la libertà, a cui ho aspirato con tutte le mie forze per diciannove mesi in mano ai tedeschi. Quel giorno ho respirato di nuovo l’aria, nel vero senso della parola».
Come fu catturato?
«L’8 settembre l’esercito italiano si sfaldò, come tutti sappiamo. Io ero ufficiale del Regio esercito italiano, in forza alla Guardia alla frontiera e prestavo servizio in Slovenia. All’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, su ordine del Comando, con il mio reparto ci mettemmo in marcia, ma fummo catturati dai tedeschi a Gradisca d’Isonzo e trasportati a Villa Opicina (in Friuli Venezia Giulia, ndr). Ci chiesero se fossimo con loro o contro di loro. Tutti abbiamo detto: “Contro”. E ci hanno portato nei campi di concentramento».
Mesi duri, possiamo solo immaginarlo…

«La nostra prigionia l’abbiamo scelta noi, tant’è vero che io non ho niente da dire contro i tedeschi: loro hanno fatto il proprio dovere, noi il nostro. La mia coscienza mi imponeva di dire no ai tedeschi, non potevo fare il contrario. Qualcuno l’ha fatto, ma la stragrande maggioranza non si è piegata fino alla fine. Ma abbiamo sopportato per mesi una disciplina vessatoria, punizioni sadiche, la fame, la sporcizia, la mancanza di assistente sanitaria e la lontananza dalle famiglie».
E la sua vita è stata appesa a un filo, giusto?

«Per i tedeschi i militari italiani erano civili, ma noi continuavamo a sentirci ufficiali del Regio esercito italiano, ribadendo il nostro ‘no’ alla collaborazione con il nazifascismo. Tutti e 214 ci rifiutammo di lavorare per alcuni giorni. Ventuno di noi furono presi e la condanna si sarebbe consumata se 44 ufficiali non si fossero offerti spontaneamente di prendere il loro posto. Sono stato imprigionato per otto ore ad aspettare la fucilazione. Poi la condanna fu commutata in carcere a vita da scontare nel campo di sterminio di Unterluss».
Quanti anni aveva quando la presero i nazisti?
«Avevo 22 anni. Mi sono arruolato in 19, ho fatto la guerra in Grecia, in Jugoslavia. L’8 settembre ho fatto la fine di tutti gli altri ufficiali italiani. Comunque io, prima di essere trasportato in Germania, su un biglietto ho scritto poche parole: che ero finito nelle mani dei tedeschi, la mia coscienza era integra, e ho aggiunto “Viva l’Italia”. Questo bigliettino esiste ancora, è nel museo di Roma e forse sono l’unico ufficiale italiano che l’8 settembre del 1943 ha detto viva l’Italia. Questa è la cosa più bella della mia vita».

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