Condominio sgomberato

Palazzo costruito su zona a rischio frana e una valanga di soldi spesi. “E ora chi paga?”

Gli inquilini del palazzo a rischio crollo in via Martiri d’Ungheria si preparano a passare una Pasqua da terremotati, ospiti di amici e parenti. Intanto l’ex sindaco di Guglionesi Giuseppe Vaccaro, proprietario di uno dei dieci appartamenti del condominio Vernucci, ricostruisce le criticità degli ultimi decenni e chiede al sindaco e al responsabile dell’Urbanistica di accertare le cause dl disastro, per il quale sono stati erogati in passato cospicui finanziamenti, che tuttavia non hanno minimamente risolto il problema. "Il Comune di Guglionesi ora deve porsi il problema risarcitorio e adottare le soluzioni necessarie per il dissesto idrogeologico della zona e la messa in sicurezza dello stabile".

Trascorreranno la Pasqua fuori casa, ospiti di parenti o in appartamenti presi in affitto all’ultimo momento i residenti di palazzo Vernucci, l’edificio di via Martiri d’Ungheria a Guglionesi sgomberato con ordinanza del sindaco. In un paio di giorni hanno dovuto lasciare tutto, svuotare le stanze, salvare il salvabile. L’edificio – questo hanno riscontrato le indagini geologiche e i sondaggi tecnici – appoggia su una zona interessata da un grave dissesto idrogeologico, e ha perso la cosiddetta “verticalità”: in pratica si è inclinato verso il vuoto, nella scarpata, arrivando a un dislivello di 13 centimetri. Insieme alla disperazione per chi lascia tutto senza sapere se e quando tornerà, aumenta l’amarezza: «Ci sentiamo soli, abbandonati. Il Comune ci ha ordinato di andar via in fretta e furia senza neanche preoccuparsi di trovarci sistemazioni alternative».
«Anche per rientrare a prendere abiti e altre cose che ci servono dobbiamo chiedere l’autorizzazione. Ma perché? Abbiamo vissuto in queste condizioni per anni».

Già. Perché i problemi di palazzo Vernucci non sono certo cominciati ieri. Lo ha spiegato, con dovizia di particolari, un ex sindaco che è anche proprietario di uno dei 10 appartamenti evacuati. Giuseppe Vaccaro ha scritto al sindaco Antonacci e al responsabile del III settore comunale sostenendo, sulla base del contenuto dell’ordinanza e di una vicenda che come ex primo cittadino conosce, la necessità di avere un riscontro puntuale sulla reale situazione dallo studio di atti, progetti e provvedimenti prodotti a partire dagli anni Ottanta. In quel periodo infatti, una decina di anni dopo l’ultimazione dello stabile, fu accertato il grave dissesto idrogeologico della zona. «Si stabilisca rigorosamente la pertinenza e l’efficacia degli interventi attuati, ovvero» scrive Vaccaro, aggiungendo che «all’epoca venne interessata la Commissione Grandi Rischi che tramite rilievi e studi in loco indirizzò l’allora Amministrazione Comunale ad attivare un intervento cospicuo sulla zona tendente a eliminare la dispersione di una rete fognaria fatiscente da lato e a valle la costruzione di un muro di contenimento. Si ottenne un finanziamento di circa ottocento milioni: della redazione del progetto venne incaricato il Prof. Alessandro Del Bufalo della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila che si avvalse nella direzione dei
lavori anche della collaborazione di un tecnico locale. In un tempo successivo si ottenne un ulteriore finanziamento di circa 300 mila euro per interesse un altro versante attiguo».

Giuseppe Vaccaro, e con lui numerosi altri inquilini dello stabile, chiede di fare luce su un punto cruciale: visto che la zona era interessata dal dissesto, e che i lavori realizzati furono progettati proprio per la soluzione del problema, cosa è successo per arrivare al punto di evacuare lo stabile? «Occorre accertare se la progettazione era sbagliata oppure i lavori realizzati male. Mi auguro di essere tratto in inganno poiché “ignorante della materia”, ma occorrono seri riscontri tecnici che rendano il conto del riaffiorare del problema e dell’acuirsi delle problematicità del fabbricato. L’invito ulteriore è quello di accertare se all’origine del tutto e dopo la realizzazione delle opere previste vi siano state nel tempo delle possibili altre concause derivanti dalla costruzione a valle della zona dissestata su via Bari di un edificio non ancora terminato e ricadente in una lottizzazione convenzionata di privati che venne osservata dalla Regione Molise con prescrizioni perché ricadente nell’area del dissesto».

E ancora: «Le problematiche statiche del palazzo si sono acuite a seguito dei lavori per il terremoto che hanno interessato alcuni stabili adiacenti. Non si può escludere che l’uso di micropali potrebbe aver contribuito a destabilizzare un terreno essenzialmente di riporto, e a contribuire a ridurre l’efficacia dei lavori realizzati negli anni novanta».

Importante e prioritario, dunque, accertare le cause a valle. «Non tanto per individuare i colpevoli (che pure dovrebbe essere un compito eventualmente dovuto in caso di riscontro oggettivo di fatti e circostanze negligenti) quanto per studiare i rimedi alla problematica dell’evidente dissesto ed evitare di sperperare altro denaro pubblico e far sì che si possa dare qualche certezza in più a dei cittadini che forse si potranno vedere allontanati dalla propria abitazione per colpe o negligenze non certamente proprie. Di una cosa comunque bisogna essere certi: la responsabilità principale è in capo alla pubblica amministrazione che consentì allora di realizzare quel palazzo in virtù di uno strumento urbanistico approvato su una zona a rischio e che nel porvi rimedio a distanza di anni dal dissesto verificatosi ha posto in essere azioni che non hanno conseguito i benefici sperati per cui è legittimo invocare la tutela della propria proprietà privata il cui principio costituzionale va sempre garantito anche in presenza di condotte che ne impediscano il legittimo uso come potrebbe verificare da un’ingiunzione di sgombero del fabbricato».

E’ chiaro, sostiene Vaccaro e con lui molti altri proprietari costretti a lasciare le case, che debba essere la pubblica amministrazione «a porsi il problema risarcitorio e ad adottare tutte le soluzioni tecniche per porre rimedio al dissesto idrogeologico dell’area mai risolto e che dovrebbero garantire la certa agibilità del fabbricato».

Intanto restano molte perplessità anche sul provvedimento di sgombero. Se c’è un provvedimento “urgente e indifferibile” motivato dalle gravi condizioni di pericolo “per la pubblica e privata incolumità”, come mai non sono state adottate misure a tutela della incolumità dei residenti nei fabbricati adiacenti e dei cittadini che passano su Via Martiri d’Ungheria? «Se il palazzo crolla – sintetizza una signora – non si sa mica da che parte cadrà. E se cade addosso alle case he stanno subito dietro? Alle villette che si trovano nella scarpata?» Domande alle quali, al momento, nessuno sa e può rispondere.

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